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05/02/2010

Viaggiare sì, ma dove. Spesso pecchiamo di eccessiva superficialità nella scelta delle nostre mete, sedotti da un immaginario costruito a misura di turista, ma che ha poco a che fare con il paese reale. Iniziamo il nostro giro del mondo partendo dall’Africa, un continente che da sempre esercita un grande fascino su esploratori e viaggiatori.
“L’Africa è vasta, una massa terrestre e non una nazione. Non esiste una sola Africa. Da cima a fondo esistono tante Afriche tra di loro distinte” scrive Eddy L. Harris. La sua essenza è la varietà di culture e paesaggi, popoli e lingue, riti e miti. Impossibile darne un’unica definizione. Ma al di là di queste diversità, esistono due Afriche, la nostra e la loro. Raramente si incontrano, un po’ come in Libia le carovane di fuoristrada dei turisti sfiorano le rotte dei migranti senza vedersi. Karen Blixen parlava della “mia Africa” e lo stesso possiamo dire per molti appassionati di viaggio. Per loro l’Africa è l’avventura in fuoristrada sulle piste dei parchi o dei deserti, l’incontro con le antiche culture dei villaggi dogon o con le superstiti etnie “primitive”. Attraversandola spesso non percepiamo la grande povertà che circonda quella che gli antropologi definiscono la “bolla ambientale” in cui viaggia il visitatore. Ma la verità è che la “loro Africa”, quella di chi ci vive, ha il primato della miseria, conta – secondo i dati del Forum sociale Mondiale di Nairobi del 2007 – 34 dei 50 paesi meno sviluppati, 35 milioni di sieropositivi e malati di AIDS su 40 milioni nel mondo e 1/3 della sua popolazione soffre la fame. Denutrizione, mortalità infantile, carenza di scuole e ospedali, guerre efferate, bambini-soldato, slums, megalopoli spaventose, perdita d’identità, criminalità, emigrazione, disastri ambientali…
Il “mal d’Africa” è una medaglia con due facce. Se l’Africa è anche questa e se è vero che decine di canali televisivi tematici ci raccontano tutto degli animali selvaggi, che l’incontro con le ultime etnie si riduce a esotismo a buon mercato, che le tradizioni sono state folclorizzate isolandole dal loro contesto rituale, che tecnologia e navigatori satellitari hanno tolto all’avventura il suo sapore, allora perché il continente nero continua a sedurre i viaggiatori? Complicato rispondere, perché l’Africa più di ogni altro paese è un’esperienza fisica, da vivere sulla pelle e difficile da esprimere a parole. L’Africa risveglia i sensi, si espone impudica e seducente, non ha fretta, cammina, aspetta, si adatta. Ha non una, ma tante storie, un po’ come i suoi oggetti che hanno molte vite, riciclo dopo riciclo. Mescola saggezza e magia, umanità e divinità. Lì si incontrano una voglia di vivere e una felicità quasi incomprensibili in base ai nostri parametri di benessere. Ma in luoghi dove manca l’essenziale e ci si arrangia con poco più di un dollaro al giorno, forse si è felici semplicemente di sopravvivere. D’altra parte la logica africana non è la nostra. E la nostra non è la loro. Un antropologo mi raccontava che i suoi amici maliani erano rimasti sconvolti dal fatto che noi occidentali ci mettiamo a dieta per dimagrire e che abbandoniamo i nostri anziani negli ospizi. Un’ovvietà che apre una voragine fra due culture. Certo, anche in Africa, come in tutto il resto del mondo, i cambiamenti sono violenti e dirompenti e la globalizzazione mescola e confonde “autentico” e “contaminazioni”. Forse però gli africani riescono più di altri popoli a far convivere tradizione e modernità, vecchio e nuovo. Forse il segreto dell’Africa è che ha qualcosa di speciale, qualcosa per cui trovo una sola parola adatta, anima.

Per approfondire: Ryszard Kapuscinski, “Ebano” di Feltrinelli e Alberto Salza, “Niente. Come si vive quando manca tutto” di Sperling & Kupfer.

A.M.

Pubblicato su il reporter

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10 Comments
  1. Rispondi

    Luca

    06/02/2010

    ho passato un mese e mezzo in mali……mal d’africa assolutamente….e tante lacrime per la loro africa ciao

  2. Rispondi

    Iole

    06/02/2010

    Sono stata in Burkina a novembre, tornero’ in Mali in marzo, grazie Anna del tuo articolo e delle tue parole che come sempre arrivano al cuore

  3. Rispondi

    Caterina

    06/02/2010

    condivido quanto scrivi sull’Africa e mi permetto di aggiungere che non è solo l’africa a proporre l’argomento. Dipende sempre da come noi vediamo le cose, da quanto ci piacciano e da quanto grande sia la nostra anima.
    Saluti cari

  4. Rispondi

    Roberto

    06/02/2010

    Ciao Anna, credo anche io di essere stato sedotto dall’Africa pur avendone vista solamente una piccola parte !! L’Africa è anche contraddizione, è tutto e il contrario di tutto, e se ti rapisce è proprio per questo suo personalissimo modo di essere.
    Non vedo l’ora di tornare per una immersione totale nel suo deserto!!!
    A presto, Roberto

  5. Rispondi

    Italo

    06/02/2010

    Finchè la tua “produzione” sarà così bella lettori non ti mancheranno mai! Ciao.

  6. Rispondi

    Stefano

    07/02/2010

    dici bene, scrivi meglio:
    l’Africa più di ogni altro paese è un’esperienza fisica, da vivere sulla pelle . L’africa è proprio così, il vecchio ed il nuovo tutto mescolato, tecnologia e il grigri al collo, internet in ogni sperduto paesello e il guaritore che ti fa la magia per il mal di pancia. quelli del primo mondo a cercare danze e rituali a pagamento e loro gli africani l’ultimo modello di cellulare. un poco d’africa l’ho vista, continuo a tornarci 3 / 4 volte all’anno e di primitivi ne vedo pochi. Sono sempre più convinto che sia arrivato il momento di viaggiare nell’africa contemporanea quella degli slums: alla scoperta del segreto dell’africa

  7. Rispondi

    Patrizia

    07/02/2010

    anch’io ho una visione letteraria della’Africa, quindi una visione che è passata attraverso un punto di vista fantasioso, per cui taccio.
    Posso dire però che di tutti gli/le africani/e conosciuti in Italia mi ha colpito il loro sorriso, un sorriso di ringraziamento se gli offri un caffé, un sorriso dinnanzi alle loro tragedie come se fossero consapevoli che il sorriso è un modo per guardare ad una straripante ingiustizia, per non soccombere completamente e la facilità di sorridere perché (forse è una mia idea) non conoscono la noia……PatriziaN.

  8. Rispondi

    Stefano

    07/02/2010

    Sono appena tornato dall’Africa e ogni volta lo scontro/confronto con il nostro piccolo mondo funzionante è violento e lascia inevitabilmente tanti spazi bianchi tra i pensieri. Hai ragione nel dire che è un’esperienza difficile da raccontare ma ogni volta che condivido qualche aneddoto con amici e sconosciuti riesco per qualche istante a rivivere quell’atmosfera, quegli odori, quegli sguardi come se sotto la mia pelle qualcosa si sveglia ogni volta che parlo della mia Africa. Ho avuto più di un’occasione di scrivere su questo sito della mia esperienza e forse la cosa più bella che conservo quando torno in Italia è quella voglia di rimettere in discussione tutti i miei punti di riferimento per capirne l’importanza o ridimensionarne la grandezza.
    Amo dire a chi mi vede partire che l’Africa è un viaggio nel viaggio, dentro noi stessi e dentro quell’anima selvaggia e genuina che il continente nero nasconde gelosamente agli occhi dei turisti.

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    Francesca Guazzo

    08/02/2010

    ciao Anna, seguo sempre i tuoi scritti con grande interesse. Mi permetto di aggiungere un appunto al tuo articolo. Vivendo come sai tra Africa orientale e meridionale praticamente in viaggio per la maggior parte dell’anno dico che il voler pensare ad una “nostra Africa” e una “loro Africa” forse è una visione troppo eurocentrica e il voler vedere l’Africa con occhi europei porta ad una falsata interpretazione di ciò che i nostri occhi vedono e il nostro cuore incontra in questo continente. Quando parli di turismo di massa, ti dò ragione per alcuni luoghi (per fortuna pochi e puntuali) così come per tradizioni floklorizzate, ebbene, è successo e succede tutti i giorni. Il turismo può “bruciare”tutto. Non possiamo pensare che le cose siano migliori se restano sempre uguali nè tantomeno se sono a misura di turista. Se un masai ha il cellulare è un masai “meno masai”? Certo che no! E’ come dire che un pastore sardo è meno pastore se ha il riscaldamento in casa!!! In sostanza, il problema sta nelle aspettative che vengono date spesso dalla figura estetica che si costruisce attorno ad un masai dalle riviste di settore, dagli articoli che sono sempre corredati da immagini…come sempre, il turista bada molto all’aspetto estetico e meno alla parte “interiore”…. ancora una volta, a dimostrazione che capire l’Africa con occhi freschi d’Europa diventa davvero un lavoro complesso. Possiamo cambiare questo tipo di turismo? Non possiamo purtroppo eliminarlo, ma cercare di farne uno diverso, sì!!! Più volte sento la frase “non sarà più così tra dieci anni”. Beh, non possiamo pensare che l’Africa resti ferma a rappresentare quella nostra idea romantica di viaggio! Così come non possiamo credere che la cultura sia solo rappresentata da perline colorate e che sia vera solo se visualizziamo “il diverso” di fronte a noi. Invito chi viaggia a tornare più volte negli stessi luoghi e a non collezionare timbri sul passaporto; ogni tanto sento questa espressione: “la Tanzania si è già fatta nel 2005”. Che arricchimento tornare più volte nello stesso Paese, su itinerari diversi o anche uguali, vedere un parco nella stagione secca e nella stagione delle piogge, approfondire un argomento che nel precedente viaggio abbiamo scoperto! Conosco la geografia di Africa orientale e meridionale certamente meglio di quella italiana e trovo che il primato, da queste parti, non stia nella miseria nè nella fame o nella serie di disastri che citi…lasciamo i dati e le statistiche alla parte di mondo che li ha fatti, per una volta. Senza negarne la realtà aggiungo che il vero
    primato che vedo tutti i giorni sta nella grande dignità e nella capacità di crescita straordinaria che, nonostante tutto, è fortissima e lo scrivo cercando di uscire dalla banalità o dalla ovvietà… è davvero così. Come fare un regalo all’Africa? Parlare meno dell’Africa come continente, ma sempre più di ciascuno dei 52 singoli stati che la compongono. Tra l’altro, anche la parola “Africa” è, ancora una volta, una parola che nasce sempre nella nostra Europa.
    Con affetto, ti aspetto in Malawi.
    Francesca – Africawildtruck

  10. Rispondi

    A.M.

    12/02/2010

    Grazie a tutti voi. Alcuni di voi sono amici e so il vostro amore per l’Africa e lo sforzo di capirla senza farsi sedurre da un generico mal d’Africa.
    D’accordo con Patrizia, in effetti gli africani sembra sempre che non si annoino, sembra sempre abbiano qualcosa da fare anche quando non fanno nulla. Il contrario di noi che siamo sempre indaffaratissimi ma forse ci sfugge il senso e spesso siamo vittime di noia e depressione. E il sorriso… è un po’ come l’abbraccio di cui parlavo nell’ultimo post “con-tatto”. Vero, magari ridiamo, ma il sorriso… quello è merce sempre più rara… D’accordo con Stefano, riuscire a rimettersi in discussione, ridimensionare bisogni e prendere le distanze dai propri problemi è uno dei grandi regali del viaggio…
    Volevo provare soprattutto a rispondere al lungo commento di Francesca, una che in Africa c’è di casa, nel vero senso della parola!
    Dalla visione eurocentrica credo sia difficile sottrarsi, è la nostra, ma già esserne consapevoli è importante. C’è una bella frase di Calvino che rende il concetto: “Il nostro dove, la nostra cultura, filtra al posto di assorbire e narrare in modo onesto senza cercare di capire, cede alla tentazione di giudicare”. Per il resto molti concetti che esprimi mi trovano assolutamente d’accordo, sono gli stessi che da più di un anno settimana dopo settimana scrivo nei miei post de il reporter. Ho dedicato un intero post (Ritorno 2) proprio al concetto di tornare nei luoghi già “fatti” come brutalmente si dice. D’accordo anche sull’Africa che cambia e non a misura della nostra immagine “romantica”. Dissento solo su un punto, quello che le statistiche del primato della miseria le facciamo noi… Forse è vero che noi misuriamo il PIL e non la “felicità interna lorda” come in Bhutan, ma ti confesso che leggere dati come quelli riportati nel libro di Salza che cito mi hanno sconvolto. E lui è un altro che l’Africa la vive davvero, non uno che fa somme di numeri e percentuali in uno studio asettico in qualche città occidentale..
    Un abbraccio a te e a tutti voi, anna

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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