Agonia delle popolazioni tribali nel cuore dell’India
Ripubblico un post scritto nel 2010 relativo alle popolazioni tribali dell’Orissa. Il rapimento dei due italiani Paolo Bosusco e Claudio Colangelo non può non toccarci. La speranza e l’augurio è che possano uscirne presto e illesi. I due italiani che andavano soli e a piedi nei villaggi, non possono essere certo accusati di fare turismo invasivo. Per come sono descritti da chi li conosce, si hanno tutte le ragioni per credere che siano anche assolutamente rispettosi delle popolazioni tribali. L’unica loro colpa può essere l’essersi spinti in aree a rischio, anche se fino ad ora non c’erano stati rapimenti di stranieri.
Dal post sottostante, dove riporto le parole di un amico indiano profondo conoscitore di questa regione e della sua gente, emerge come i naxaliti, con la scusa di difenderle, di fatto usino le popolazioni tribali per combattere la loro guerra contro il governo indiano. Lo stesso stanno facendo con i gli italiani rapiti.
Il turismo però non è sempre innocente. E molti di noi vivono un senso di disagio quando, armati di macchina fotografica, scelgono come soggetti le popolazioni tribali. Proviamo a riflettere. Poi ognuno si comporti in base alla propria etica, a una sola condizione: il rispetto dell’altro.
Lettera di un amico indiano a commento dell’articolo di Arundhati Roy su Internazionale 851/2010
Per chi volesse leggere l’articolo è disponibile la versione in inglese di Outlook India
Dear Anna,
l’articolo di Arundhati Roy è scritto bene, l’ho letto e riletto e conservato. Questo argomento come sai mi sta profondamente a cuore. Ho trascorso trent’anni fra i tribali e ho una casa di fango fra i parajas, non lontano da dove lei è stata. Amo i tribali, conosco la loro realtà e da loro ho appreso i valori della vita.
Il testo è di Arundhati è buono, fino ad un certo punto anche vero rispetto ai problemi affrontati dai tribali dopo l’indipendenza: il complesso di superiorità intellettuale dei burocrati hindu e il disinteresse della macchina governativa. Lei ha però cercato di romanticizzare i maoisti senza scavare fino in fondo. L’agonia dei tribali e la loro miseria sono sfruttate dai leader maoisti hindu, spingendoli a prendere le armi e a uccidere.
Sono messi al muro, schiacciati fra gli interessi delle industrie che vogliono trasferirli dalle loro terre ancestrali e quelli dei quadri maoisti armati fino ai denti. Ragazzi minorenni, maschi e femmine, sono costretti a prendere le armi e a perdere la loro preziosa fanciullezza. Come può giustificare i rischi dei combattimenti contro i militari? Non difendo la macchina governativa, ma voglio assolutamente chiarire quanto sia pericoloso dipingere i maoisti con toni romantici. Lei li descrive come gandhiani con i fucili, ma non credo che Gandhi ne sia contento nel mondo dei morti, avendo sempre lottato contro ogni genere di violenza.
Arundhati ha visitato per una sola volta nella sua vita un’area tribale, ma ne ha tratto conclusioni definitive e le ha diffuse come il verbo di un messia che può avere accesso al mondo occidentale in quanto famosa. E’ diventata una pedina nel gioco di scacchi della propaganda comunista senza davvero rendersi conto di quanto male e quanto dolore alla fine dovranno subire i tribali.
deep regards
Srikant
E’ questa la mail tradotta in italiano di Srikant, un caro e fraterno amico, antropologo indiano e profondo conoscitore delle aree tribali, con cui ho avuto la grande fortuna di fare diversi viaggi in India.
Avevo letto l’inserto pubblicato sul numero del 18 giugno di Internazionale sulle popolazioni tribali dell’India Orientale, un lungo articolo a firma di Arundhati Roy, scrittrice indiana che conosco e i cui libri ho amato. Lo stesso reportage è stato pubblicato sul settimanale indiano Outlook e ha sollevato molte critiche in patria. L’articolo, ben scritto, mi ha però lasciato non convinta. Mi è sembrato di fare un salto indietro di qualche decennio, quando romanticamente abbiamo abbracciato cause che hanno portato distruzione e morte (sto pensando ad esempio alla rivoluzione culturale cinese e a quanto successo in Tibet e non solo). Così gli ho chiesto un suo parere. Credo che le sue parole meritino una profonda riflessione.
Srikant Mishra
Thanks Anna,
Let people know how futile is this endless boodshed in tribal territory.Arundhati roy and people like her should realise how much harm they have already done to the Gonds.
Let wisdom prevail
with lots of affection to you, who helped to express the silent common mans view
Srikant
laura (Raya)
grazie a te, Anna, e alle tue ammirevoli e preziose iniziative! un abbraccione
Marco Carnovale
Anche io ho apprezzato alcuni scritti di Roy, ma non capisco come si possa, nel XXI secolo, rifarsi ancora al personaggio di Mao, che ha fatto più vittime di Hitler e Stalin messi assieme. Solo dopo la morte di Mao la Cina è uscita dal buio e si è avviata, se pur con enormi contraddizioni, verso il suo futuro.
Luigi
Grazie del contributo Anna!
Pierpaolo
Partendo da un punto di vista molto indiano, io credo che ognuno persegua la sua battaglia, ognuno con le sue ragioni, ognuno con le sue speranze. Non si tratta di stabilire chi è giusto e chi sbagliato, non è possibile individuare il “punto zero”. Ognuno ha il diritto di fare ció che il suo ruolo (o karma) l’ha chiamato a fare. Esploratori responsabili, turisti irrispettosi, guerriglieri armati, giornalisti male informati, scrittrici invasate, tribali oppressi, governi squilibrati. Ognuno è qui, a suo modo, per muovere la storia. That’s the indian way. Questo è ció che siamo.
A.M.
Ciao Pierpaolo. Posizione molto fatalista e autoassolutoria quella indiana, che da occidentale non giudico, semplicemente non mi appartiene. Io sono artefice e responsabile del mio comportamento, anche se non sarò certo io a cambiare le sorti del mondo…
Pierpaolo
Cara Anna, non giustifico, osservo e cerco di capire. Non giustifico mai. Invece io credo che se tu ci credi davvero le sorti del mondo le puoi cambiare. Siamo lacrime di pioggia in un oceano infinito ma prima o dopo lo Tsunami arriva…
A.M.
… diciamo che cerco di comportarmi come se un po’ di differenza io la possa fare per lasciare il mondo migliore di come l’ho trovato. Ma non so se ci credo davvero. Certo, ci ho creduto.