Racconti di Viaggio

Akakus Libia: il Deserto Dipinto

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12/09/2011

Dove avventura, natura, storia ed arte sono in raro equilibrio

Complice l’embargo tolto solo di recente, la Libia è ancora trascurata dal turismo di massa, nonostante sia un paese sicuro e non toccato dall’ondata violenta dell’integralismo islamico che ha travolto la vicina Algeria. Ma ha moltissimo da offrire: oltre al fascino del deserto, un ricchissimo patrimonio di pitture e graffiti rupestri, a ricordo di quando il Sahara era verde, l’architettura di terra delle sue città oasi e rovine greco-romane fra le più belle del Mediterraneo.
Insomma ce né per tutti: per chi ama l’avventura e la natura, ma anche per gli appassionati di storia ed arte.
Sahara significa “grande vuoto” in lingua araba. Sahara: 9 milioni di kmq di sabbia e roccia. Perché andarci, perché tornarci allora?
Sicuramente un viaggio nel deserto è sempre di grande bellezza, è un viaggio impossibile da dimenticare, ma anche difficile da raccontare senza rischiare di cadere nei soliti luoghi comuni: “magici tramonti”, “cieli trapuntati di stelle”, “dune spettacolari”…
Forse le parole più appropriate per descriverlo sono quelle di un grande viaggiatore dello spirito, Giacomo Leopardi, che il deserto non lo vide mai: “Interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete”. La fascinazione è data dal silenzio e dall’essenzialità. Scrive Kapuscinski in “Lapidarium”: “Andare in Africa, nel Sahara. Amo il deserto, ha qualcosa di metafisico. Nel deserto tutto il cosmo si riduce a pochi elementi. Il deserto rappresenta l’universo ridotto all’essenziale: la sabbia, il sole, le stelle di notte, il silenzio, il calore del giorno. Si hanno con sé una camicia, dei sandali, cibo frugale, un po’ d’acqua da bere, tutto nella massima semplicità. Niente si frappone tra te e Dio, fra te e l’universo.”
Il deserto non è per coloro che provano l’angoscia del silenzio e della solitudine, che non sono capaci di ridurre al minimo i propri bisogni almeno per il breve intervallo di una vacanza, che si spaventano nel confrontare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, i tempi incommensurabili dell’universo e quelli minuscoli dell’uomo.
Ma per gli altri il deserto può offrire molti spunti di riflessione e di osservazione.
Si scopre un succedersi di orizzonti, un paesaggio mutevole e tutt’altro che monotono, dalle imponenti dune dell’erg alle piatte distese di ghiaia del reg, dagli strani profili dei pinnacoli di roccia erosi dal vento alla parabola sensuale e perfetta delle barcane, le dune mobili spinte dai venti dominanti. Poi irreali come improvvisi miraggi, le sorgenti, i laghi, le palme e le oasi, perfetti microcosmi dove l’uomo è riuscito a vivere in equilibrio con l’inospitale deserto circostante.
Il deserto viene spesso definito un “mare di sabbia”, dove le dune sono onde, le rocce scogli e le oasi isole. E del mare ha l’incanto, sempre diverso e sempre uguale. Tutto insensibilmente cambia, materia, colore e forma. Il vento, signore assoluto di questi spazi, accarezza le rocce, solleva e deposita i granelli di sabbia a seconda del peso e del diametro, pennellando il paesaggio con diverse sfumature di colore. E’ un mondo minerale apparentemente sterile e ostile alla vita, dove però bastano poche gocce di pioggia per far germogliare semi addormentati da anni, far nascere effimere praterie e permettere la sopravvivenza di una vita vegetale e animale mirabilmente adattata alle condizioni estreme del deserto. Ma un tempo, e parliamo del tempo in scala umana, soltanto alcuni millenni fa’, qui vi era una vegetazione rigogliosa, grandi laghi e fiumi e una fauna selvaggia simile a quella che oggi popola le regioni tropicali dell’Africa. Poi negli ultimi 3-4000 anni vi è stato un processo di desertificazione che ha portato ad una profonda modificazione del paesaggio che ha assunto i caratteri attuali.
A testimonianza di questo paradiso perduto rimangono non solo letti prosciugati di fiumi, conchiglie fossili e ossa di animali, ma soprattutto graffiti e pitture tracciati dall’uomo sulle pareti interne dei ripari di roccia, preservati nei millenni grazie al clima secco, nonostante l’esposizione all’erosione della sabbia e del vento.
Sono migliaia i siti di arte rupestre distribuiti nei Paesi sahariani e subsahariani, ma la maggior concentrazione si ha nelle aree del Tassili algerino e dell’Akakus libico, tanto che l’UNESCO ha dichiarato quest’area, già parco naturale dal 1973, patrimonio culturale dell’umanità.
Il nome è Tradart Akakus: Akakus, la parete ripida occidentale, Tradart, la parte a est, inclinata verso oriente. E’ un altopiano di circa 900 m d’altezza, con cime che superano i 1300 m, lungo 150 km e largo 30 km, nell’estremo sud della Libia, al confine con il Tassili algerino, di cui è la propaggine orientale. La sua è una morfologia tormentata: è una sorta di gigantesca cattedrale gotica, con pinnacoli e guglie scolpiti e lavorati dalla natura, graffiti e pitture creati dall’uomo sulle sue pareti.
Se non ci fosse questo stupendo album dei ricordi, l’idea di un Sahara popolato da coccodrilli, ippopotami e grandi mandrie di erbivori sembrerebbe pura follia. Già nel 1800 si avevano notizie di queste pitture, ma fu solo molto più tardi nel nostro secolo che vennero organizzate vere e proprie spedizioni che svelarono la ricchezza e la bellezza di quest’immensa galleria d’arte all’aperto. Vi sono rappresentati migliaia di anni di storia dell’uomo, il passaggio da cacciatore a pastore nomade, a coltivatore, la diffusione della ruota e dell’alfabeto.
Gli archeologi e i paletnologi, primo fra tutti Fabrizio Mori, hanno cercato di datare pitture e incisioni, evidenziando cinque fasi, da 10.000 anni fa’ fino agli inizi della nostra era.
La più antica è la fase della Grande Fauna Selvaggia (chiamata anche Era Bubalina dal gigantesco bufalo dalle corna arcuate) in cui predominano i graffiti di grandi animali tracciati con solco profondo nella pietra, mentre l’uomo è solo una comparsa. Segue la fase delle Teste Rotonde, grandi figure enigmatiche, sorta di divinità dalle sembianze umane. Durante queste fasi l’artista è probabilmente uno sciamano che agisce a scopo rituale per propiziare la caccia o favorire la fertilità. Vi è poi la fase Pastorale o Bovidiana, con scene minuziose e dettagliate di vita quotidiana, tracciate con tratto lineare e asciutto: sono pitture dai brillanti colori ocra, tutte di grande bellezza e di alto livello artistico. Con la fase del Cavallo ci accostiamo all’epoca storica, i tratti somatici delle figure scompaiono, la testa diviene a bastoncino e appaiono i famosi carri dei mitici Garamanti. Ultima, con la progressiva desertificazione e l’introduzione del dromedario, la fase del Camelino,: lo stile delle pitture diviene più rozzo e sono spesso sovrapposte scritte in tifinagh, l’antico alfabeto berbero che i tuareg sono ancora in grado di decifrare.
Nonostante l’avanzare delle sabbie, il deserto non perse però di importanza: continuò ad essere percorso da grandi vie carovaniere per il trasporto di avorio, oro, animali e schiavi rimanendo il punto di incontro fra l’Africa mediterranea e quella nera. A testimonianza sono rimasti i villaggi fortificati e le città oasi dell’interno e sulle coste le grandi città portuali edificate da fenici greci e romani, fra le cui grandiose rovine, a Leptis Magna e a Sabratha, si concluderà il nostro splendido viaggio.

Bibliografia consigliata
Sahara – Viaggi d’Autore, Le Vie del Mondo – Touring Editore 1999.
Castelli Gattinara – Libia, arte rupestre nel Sahara – Polaris 1999
P. Laureano – Sahara, giardino sconosciuto – Giunti 1988 –
F. Mori – Arte rupestre e culture del Sahara preistorico – Einaudi.
Antonie de Saint Exupery – Il Piccolo Principe.

Di Anna Maspero Dalla rivista Avventure nel Mondo 4-5 / 2000

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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