Altrove… è un luogo migliore per vedere se stessi?
Perché alcuni viaggiatori scelgono di andare altrove? E cos’è l’altrove? Soprattutto, esiste ancora? Baudelaire alla domanda “Cosa ci faccio io qui?” rispondeva: “Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!”
Parole di invito alla fuga dalla vecchia Europa verso un Eden perduto e un altrove incontaminato, come fu per Melville, Stevenson, Gauguin e molti altri artisti e scrittori a cavallo fra Ottocento e Novecento. Ma noi, noi moderni viaggiatori cosa ci facciamo lì, in quei paesi esotici, mete privilegiate delle nostre partenze? Tendiamo a credere negli assiomi: altrove uguale lontano, lontano uguale diverso, bello o comunque interessante. Assiomi che non sempre funzionano. Già Gauguin, deluso da Papeete, nel suo ultimo viaggio si rifugiò nelle isole Marchesi alla ricerca di una natura ancora vergine e popolazioni più primitive. Oggi, che la rapidità del processo di globalizzazione annulla le distanze e rende il mondo sempre più simile, ciò che ci aspetta all’altro capo del mondo si riduce di frequente a semplice esotismo o folclore svuotato di significato. L’altrove esiste, ma è sempre più spesso un “métissage” fra passato e presente, fra tradizionale e moderno, che un poco delude il nostro immaginario turistico e le nostre aspettative di “autentico” e di diverso. Ma la storia, ancor più quella presente, è fatta di “autentiche” e vitali contaminazioni, anche feconde e non necessariamente da esorcizzare. E il diverso (ma non l’altrove) lo troviamo forse più facilmente nel “melting pot” sotto casa nelle nostre città multietniche. Terzani scriveva: “Ogni posto è una miniera. Basta lasciarsi andare, darsi tempo, osservare la gente. Così anche il posto più insignificante diviene uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità davanti al quale ci si potrebbe fermare senza bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente dove si è: basta scavare“. Altrove non significa necessariamente lontano. Contiene in sé i concetti di alterità e di luogo, non di distanza. Significa paesaggi naturali e umani diversi, lingue, abitudini, usi e costumi altri. Differenze che si traducono in quello spaesamento capace di offrire una straordinaria esperienza di viaggio a chi lo affronta con la giusta predisposizione mentale, a chi è capace di mettere in gioco schemi, aspettative e certezze, a chi lascia alle cose il tempo per accadere e sa abbandonarsi alle suggestioni dei luoghi e degl’incontri. Se invece viaggiamo secondo una rigida programmazione, se pretendiamo alti livelli di comfort e di sicurezza e disponiamo di tempi esigui che non ci permettono di uscire dalla strada battuta, l’incontro con l’altrove sarà necessariamente limitato e uniformato sugli standard di chi ci ha preceduto, imprigionato da quelle “bolle ambientali” in cui sono generalmente confinati i turisti. E anche se incontreremo un vero altrove non addomesticato a uso e consumo del turista, il nostro sguardo rimarrà inevitabilmente in superficie, il nostro viaggio assomiglierà più a una vacanza, incapace di arricchirci di vera esperienza e genuine emozioni. Se invece riusciremo a scavare, come ci dice Terzani, ritorno dopo ritorno sentiremo di appartenere a una sorta di “società dei viaggiatori” che possiede delle mappe meno assolutistiche, ma più ampie e flessibili per orientarsi nella vita e per osservare noi stessi, l’altro e il diverso. Allora, e solo allora, potremo rispondere affermativamente alla domanda rivoltami da un amico: “altrove è un luogo migliore per vedere se stessi...?” Sì, anche se non è il solo. Così come andare altrove non è certo l’unico possibile modo di viaggiare, ma rimane, almeno per me, quello più stimolante e appassionante.
A.M.
Pubblicato su il reporter
Maurizio Balsamini
L’altrove sotto casa: è proprio vero!
Fare due passi in quel crogiolo multientnico che è il quartiere di Porta Palazzo a Torino non è molto diverso dal fare una passeggiata nella Medina di Tunisi o Marrakesh, almeno per quello che riguarda l’umanità che ti sta intorno.
E non è necessario prendere l’aereo, io ci arrivo con un paio di mezzi pubblici.
E’ un vero peccato che la paura della diversità impedisca a gran parte della gente di assaporare questo vicinissimo “altrove”.
Anna Maspero
E proprio vero Maurizio, il “diverso” incontrato sotto casa ci fa un po’ paura. E’ un diverso che è entrato nel nostro mondo e mette in discussione le nostre certezze e talvolta i nostri valori. Se invece lo incontriamo davvero altrove, fuori dal nostro mondo, ci fa inevitabilmente meno paura, anzi, ci incuriosisce e siamo felici se riusciamo a familiarizzare. Credo sia umano e comprensibile. Ma il viaggio ci può aiutare a superare questa ambivalenza. La nostra condizione di viaggiatori ci rende più permeabili e ci priva dell’abituale corazza di indifferenza e di pregiudizi che indossiamo in patria. Così l’incontro con queste persone nelle loro terre di origine potrebbe facilitare anche la comprensione reciproca e la convivenza, se solo al ritorno a casa riuscissimo a non contrapporre l’altrove al qui, ma a mantenere la stessa apertura mentale del viaggio.