Il Senso del Viaggio

Amo l’umanità, è la gente che non sopporto

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01/04/2011

Per risolvere la questione del razzismo sarebbe sufficiente quanto scritto nel primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e diversi, ma uguali in dignità e diritti”. Non serve altro: siamo persone, diverse, ma con gli stessi diritti, diritti che anzi andrebbero ampliati a tutti gli esseri senzienti. Eppure, se la scienza nega il concetto stesso di razza riconoscendo che fra uomo e uomo come fra specie e specie vi è un continuum genetico, il razzismo gode invece di buona salute, e anche a casa nostra. Non bastano le dichiarazioni per cancellarlo: in qualsiasi momento può riemergere dall’inconscio per diventare teoria e pratica quotidiana quando non legge di stato. Forse perché la paura del diverso appartiene alla natura stessa dell’uomo e la divisione del mondo tra noi e l’altro percorre la storia intera.

Claude Lévi Strauss, che certo non poteva essere tacciato di razzismo, lo spiegava con un linguaggio d’antropologo partendo dal concetto di etnocentrismo, un termine che indica un atteggiamento diffuso e di fatto necessario per difendere i propri valori e la ricchezza della propria cultura. Quando però questa difesa porta a identificare il diverso come inferiore, l’etnocentrismo si trasforma in intolleranza fino a sfociare in discriminazioni e razzismo. Per questo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è una sintesi perfetta contro la deriva razzista, perché riconosce allo stesso tempo la diversità ma anche l’uguaglianza di ogni essere umano.

I rapporti fra stati e fra persone sono inevitabilmente rapporti di forza che portano a confronti, scontri e sconvolgimenti da cui poi nascono equilibri nuovi. Le culture si sono sempre mescolate in modo lento attraverso migrazioni o più violento attraverso conquiste, colonialismo e sopraffazioni. Ora questa ibridazione culturale avviene in maniera sempre più rapida, ma anche più subdola attraverso quel fenomeno che tutto comprende che è la globalizzazione. Viviamo in una società sempre più multiculturale e meticcia. Questo è percepito come un valore e un arricchimento per alcuni aspetti della nostra vita, come è il caso di cibo e musica, dove si ha la possibilità di attingere a note e spezie diverse, di mescolare gli ingredienti in uno stile “fusion”, sposando tradizione e innovazione. Quando però si parla non di pietanze e canzoni, non di umanità o di Terzo Mondo in senso astratto, ma di gente in carne e ossa e soprattutto qui e ora, emergono i nostri meccanismi di difesa. Che si chiamano razzismo. Proprio come l’aforisma che Charles Schulz faceva dire all’ironico Linus: “Io amo l’umanità… È la gente che non sopporto”.

In un recente discorso Angela Merkel ha sottolineato il fallimento del multiculturalismo e la necessità che gli immigrati adottino la cultura e i valori dei tedeschi. Condividere o meno le sue affermazioni dipende dalle idee di ciascuno, credo però sia perdente cercare di omologare forzatamente o di cancellare il diverso. Così come è inutile erigere muri per tenere gli altri a distanza, di fatto imprigionando noi dentro a un ghetto privilegiato. L’unica strada, benché difficile, è favorire l’integrazione in una società pluralista così forte da essere capace di rispettare le alterità culturali, comportamentali, religiose ed etiche. E per un piccolo ma benefico cambiamento individuale c’è una ricetta piacevole: viaggiare. Perché trovarci qualche volta nella condizione di essere noi lo straniero e il diverso, è un ottimo antidoto alla xenofobia, primo passo verso il razzismo.

Per approfondire: Marco Aime “La macchia della razza”, Ponte alle Grazie
Pubblicato su il reporter – Parole Nomadi- Razzismo

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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