Andata e ritorno
Qui di seguito un mio brano vincitore del concorso del Festival della Letteratura di Viaggio.
Andata – Quando, partendo per un viaggio in un paese straniero, oltrepasso una certa curva della strada e alle mie spalle scompare la sagoma familiare della fattoria dove vivo, mi assale un senso di leggera malinconia e mille ansie e dubbi si affollano nella mia mente. Poi, non appena allaccio la cintura di sicurezza sull’aereo, i timori si dissolvono e mi pervade un dolce oblio, una piacevole sensazione di libertà. All’arrivo, quando scendo dalla scaletta dell’aereo, chiedo sempre il permesso di visitare la nuova terra. Vorrei inginocchiarmi, ma temendo di sembrare un po’ strana, mi limito a unire le mani in un gesto di ringraziamento e rivolgo mentalmente la mia preghiera al dio dei viaggiatori. E al mio angelo custode… anzi ai miei angeli, perché credo di averne almeno un paio che si danno i turni. Poi cerco un mezzo per raggiungere la città e, anche se spesso non corrisponde esattamente al modello standard, basta la scritta “taxi” per dargli una parvenza di ufficialità. Trovo un posto sui sedili e attendo senza fretta, guardando il nuovo mondo che incomincia lentamente a svelarsi. Sono partita davvero, sono finalmente entrata nella mia piccola personale odissea. Anche se non assomiglio al viaggiatore descritto da Paul Bowles, quello che parte senza una meta certa e senza sapere se e quando tornerà, lascio che sia la strada a guidarmi, mi abbandono a lei come a un’amante, ne ascolto le suggestioni, raccolgo gli spunti e godo degli incontri che mi regala. Ma in tasca ho sempre un biglietto di A/R, perché, in confidenza, mi spiacerebbe non tornare. Banale forse, ma ragionevole credo. L’importante è avere sempre un pretesto per ripartire (e uno per ritornare…).
Ritorno – Nonostante altre strade e altre mete mi tentino, ritrovo sempre la via di casa. Una leggera curva e riappaiono i luoghi a me familiari, rassicuranti custodi di storie, ricordi e legami. Solo lì, nel mio campo base, posso ridare un ordine e un senso ai pensieri e alle immagini accumulate e continuare il mio cammino. Anche per gli antichi il viaggio era un nostos, un ritorno, come nell’Odissea che ne è l’archetipo. L’eroe si metteva alla prova e poi tornava carico di gloria e arricchito dalla conoscenza di nuovi mondi. Così anch’io torno a casa un poco più esperta, capace di un nuovo sguardo sul vecchio mondo e sul vecchio io. Il viaggio arricchisce la stanzialità di nuovi significati, le radici si rinsaldano offrendo nuova linfa ai rami perché si allarghino verso il cielo. Ritornare permette di scoprire che il nostro piccolo mondo racchiude un pezzo d’infinito. Viaggiare ci rivela che l’infinito ha molti modi di manifestarsi e il nostro mondo è uno dei tanti possibili. Certo, soltanto se è vero viaggio, perché, si dice in veneto, “Viagiar decanta, ma chi parte mona, torna mona”.
A.M.
giuseppe
non so chi abbia vinto, ma io avrei votato x te!!!