La bambola viaggiatrice
Un’amica e compagna di viaggio mi ha inviato queste righe tratte dal libro per ragazzi Kafka e la bambola viaggiatrice dello scrittore spagnolo Jordi Sierra i Fabra. Leggetele, sono molto delicate e c’è una morale in cui è difficile non riconoscersi…
“Un’anno prima della sua morte Franz Kafka visse un’esperienza insolita. Passeggiando per il parco Steglitz a Berlino incontrò una bambina, Elsi, che piangeva sconsolata: aveva perduto la sua bambola preferita, Brigida. Kafka si offrì di aiutarla a cercarla e le diede appuntamento per il giorno seguente nello stesso posto. Incapace di trovare la bambola, scrisse una lettera – da parte della bambola – e la portò con sé quando si rincontrarono. “Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure.. ”, così cominciava la lettera. Quando lui e la bambina si incontrarono, egli le lesse questa lettera attentamente descrittiva di avventure immaginarie della bambola amata. La bimba ne fu consolata e quando i loro incontri arrivarono alla fine, Kafka le regalò una bambola. Era ovviamente diversa dalla bambola perduta, e in un biglietto accluso spiegò…“i miei viaggi mi hanno cambiata”. Molti anni più avanti la ragazza cresciuta trovò un biglietto nascosto dentro la sua bambola ricevuta in dono. Riassumendolo diceva: ogni cosa che tu ami è molto probabile che tu la perderai, però alla fine l’amore muterà in una forma diversa“.
Anch’io da piccola ho vissuto la disperazione per la perdita di due amori: un coniglio di pezza di nome Pip e una bambola di nome Cecilia dai capelli veri di mia bisnonna. Entrambi furono “eliminati” da mia madre perché riteneva fossero giunti a capolinea (una grande donna mia madre, ma non perfetta!).
Parlando di fatti più recenti, dopo l’amarezza di questi mesi per un amore perduto (ma era un calesse*…), rientrata da quest’ultimo viaggio alla fine del mondo, mi sembra di aver girato pagina. I viaggi insegnano anche questo, a mettere una distanza. E a lasciare andare. Ripeto allora, con maggior convinzione, quanto avevo scritto a settembre riflettendo proprio sul “calesse”: se la vita, come spesso accade, ci toglie quel che ci aveva dato, seguiamo l’insegnamento di un proverbio buddhista “Alla fine solo tre cose contano: quanto hai amato, come gentilmente hai vissuto e con quanta grazia hai lasciato andare cose non destinate a te”.
Anna
*per i più giovani… il riferimento è al film di Troisi Pensavo fosse amore… invece era un calesse.
PS: oggi sono fioriti di colpo e tutti insieme crochi, camelie e gelsomini. O forse prima non me ne ero accorta io.