Amor America Racconti di Viaggio

Bolivia , Magia delle terre alte

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20/09/2009

La Bolivia è un paese dalla geografia difficile, senza uno sbocco sul mare e chiusa fra le cordigliere andine e la vegetazione esuberante dell’Amazzonia, ma sa ricompensare il visitatore con un’intensa esperienza di viaggio in un contesto naturale e umano rimasto ancora integro.

Nonostante sia un paese tropicale, con i due terzi del territorio occupati da un bassopiano coperto da foresta e pampa, è la regione andina la zona più conosciuta e visitata. D’altra parte non è facile sottrarsi all’incanto degli straordinari paesaggi delle “terre alte”. L’itinerario più spettacolare si snoda nell’estremo angolo meridionale del paese e dura circa una settimana. Si parte da Tupiza, a 2950 metri d’altitudine, circondata da aspre e selvagge quebradas, straordinarie formazioni rocciose e foreste di pietra dagli incredibili cromatismi. Intorno piante di cactus creano una perfetta scenografia da film western. E’ bello esplorarne i dintorni con calma, a piedi, in bicicletta o a cavallo, o per i più pigri, in fuoristrada. Lasciata Tupiza la pista continua a un’altitudine media di 4000 metri con passi che superano i 5000, lungo la via del sale, un tempo percorsa da carovane di lama con i loro carichi. Qui la vita non è molto cambiata nel corso dei secoli. Ai tempi della dominazione spagnola questi luoghi erano ricchi di miniere, mentre oggi la scarsa popolazione ha un’economia di sussistenza basata sull’allevamento dei lama. Poche ed essenziali le strutture turistiche. Ma è qui che l’altopiano boliviano nasconde i suoi gioielli più preziosi: il surreale e abbacinante Salar de Uyuni e le centinaia di lagune salmastre dalle tinte diverse, le cui tonalità variano nell’arco della giornata, passando dal rosso mattone al ruggine, dal blu cobalto al celeste e al turchese. L’aria è trasparente, il silenzio assoluto, la notte illuminata da milioni di stelle. Il paesaggio è quello della puna, la steppa delle altitudini intorno ai 4000 metri, con temperature notturne che possono scendere a -30° e venti violentissimi che soffiano ad intervalli regolari per gli sbalzi di termici fra giorno e notte. In questo deserto di rocce crescono radi cactus e la llareta, un arbusto che assomiglia ad un lichene e che costituisce il solo combustibile reperibile. Dove scorre l’acqua di scioglimento dei nevai o vicino alle lagune crescono ciuffi gialli di paja brava, sufficienti per la sopravvivenza di branchi di lama, alpaca e delle timide vigogne, un camelide selvatico protetto perché a rischio d’estinzione. Entriamo nella Reserva Nacional de Fauna Andina Eduardo Avaroa (REA) e finalmente appare, ai piedi del perfetto cono tronco del Volcán Licáncabur, la Laguna Verde, famosa per le sue metamorfosi di colore. E’ possibile pernottare nello spartano rifugio a 4400 metri d’altitudine, oppure proseguire verso nord fino a raggiungere la Laguna Colorada. Attraversiamo un’ampia vallata sabbiosa punteggiata da rocce lavorate dal vento e dal gelo che danno al paesaggio un aspetto surreale, tanto da essere note come Rocas de Salvador Dalí. Una sosta alle pozze termali di Aguas Calientes, dove ci si può immergere nell’acqua piacevolmente calda, e in mezzora siamo a Sol de Mañana, a quasi 5000 metri, fra fumarole, soffioni, geyser e pozze di fango ribollenti: un paesaggio primigenio e infernale, che diviene ancor più spettacolare all’alba, quando la bassa temperatura rende l’emissione dei fumi più potente. Un’altra ora di pista e appare la Laguna Colorada. E’ un luogo di bellezza assoluta. Centinaia di aristocratici fenicotteri dal collo sinuoso e dalle zampe lunghe e sottili, stazionano nelle acque poco profonde alimentandosi di alghe e minuscoli molluschi che filtrano con i loro grandi becchi.

Dalla Laguna Colorada nel sud della Bolivia la pista continua attraverso il deserto rosso della Pampa de Siloli, dove il vento ha modellato le rocce in forme bizzarre che richiamano più i paesaggi del Tassili che quelli sudamericani. Lungo la pista si susseguono altre lagune dai diversi colori e non è raro incontrare la viscaccia, qualche timido ñandú e la volpe andina a caccia dei piccoli di fenicottero. Intorno, l’immenso e nitido orizzonte dell’altopiano chiuso da una corona di montagne dalle diverse sfumature di colore per i minerali affioranti. A Chiguana una sosta per il controllo passaporti in un fortino dove un piccolo contingente militare sta a guardia del nulla in un’atmosfera che ricorda il Deserto dei Tartari di Buzzati. Siamo ormai vicini al bordo meridionale del salar, meglio fermarsi per la notte, magari in un hotel de sal, dove tutto, ma proprio tutto, è costruito con blocchi di sale compresi tavoli, sedie e letti. Al mattino partenza prestissimo per vedere il sorgere del sole nell’abbagliante e sterminata distesa lunare del Salar de Uyuni, 12.000 chilometri quadrati di sale, originariamente chiamato Salar de Tunupa, nome di una divinità aymara e del vulcano che gli fa da sentinella. Quando piove la superficie di un bianco abbacinante si allaga, creando incredibili effetti ottici, riflettendo come in uno specchio il paesaggio circostante. Tutto raddoppia creando geometrie surreali, così che si prova la sensazione di volare fra le nubi sospesi nell’aria. In lontananza appare come un miraggio l’Isla Inkahuasi, una delle trentadue “isole” disabitate del salar. Sembra galleggiare nel cielo per il gioco di riflessi, poi si rivela essere una formazione rocciosa ricoperta di cactus. Dal punto più alto si gode un panorama stupendo sulla superficie piatta del salar che contrasta singolarmente con la verticalità dei cactus. L’isola è inserita in tutti i circuiti turistici in partenza da Uyuni, ma se vi arriverete all’alba o vi tratterrete fino al tramonto potrete ancora godervi in solitudine questo paesaggio unico al mondo. rmai il viaggio volge alla fine. Al margine settentrionale del salar raggiungiamo il villaggio di Coquesa ai piedi del Volcán Tunupa, dal cui mirador si gode una vista ineguagliabile soprattutto al tramonto. Poco distante è Uyuni, una città vagamente surreale, dalla strana atmosfera da day after, spazzata da venti gelidi e illuminata da un sole senza calore, ma dove si ritrovano le comodità della città: internet cafè, banche, alberghi e ristoranti e un ufficio del turismo. Nel salar ancora oggi si estrae il sale con mezzi primitivi, pale e picconi, per tagliarlo in blocchi regolari o raccoglierne lo strato superficiale in mucchi conici, poi lavorati e raffinati. Ma sotto questa crosta bianca è nascosta anche la più grande riserva mondiale del prezioso litio, un metallo utilizzato per la produzione di batterie e possibile alternativa al petrolio per la moderna industria automobilistica. La sua estrazione è solo agli inizi. Noi non possiamo che augurarci che lo sfruttamento delle risorse naturali e il turismo non abbiano un impatto devastante su questo fragile ecosistema, ma possano invece diventare una risorsa importante per quest’area desolata e bellissima.

A.M.

Pubblicato su il reporter 

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2 Comments
  1. Rispondi

    caterina

    23/09/2009

    Ritengo sia indelicato, nei riguardi di Anna Maspero, non lasciare segno del mio passaggio attraverso le sue indefinibili righe.
    Nella foto i colori esaltanti introducono il lettore nel regno delle emozioni e se ne esce turbati ,quasi, dal tocco esclusivo della Maspero oltre che per l’aver sperimentato il brivido che la vera Bellezza inevitabilmente procura.

    Grazie di cuore.
    caterina

  2. Rispondi

    A.M.

    24/09/2009

    Caterina, mi sta viziando!!!
    Però confermo, la Bolivia e in paricolare i luoghi raccontati sono davvero di una bellezza assoluta.
    Grazie, anna

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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