Amor America Racconti di Viaggio

Bolivia, Terra Indigena

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12/11/2006

Pubblicato sul quotidiano La Provincia- Como 2006 – Di Anna Maspero

Con il 60% della popolazione di indios, il 30% di meticci e solo il 10% di bianchi, la Bolivia è il paese sudamericano più profondamente e autenticamente indigeno, sia per il numero dei suoi abitanti, sia per la vitalità della cultura originaria. Gli abiti tradizionali sono indossati non solo nelle campagne, ma anche nelle città dell’altopiano, come a La Paz, dove si incontrano uomini d’affari in giacca e cravatta insieme a migliaia di cholas paceñas, le venditrici di strada infagottate nelle loro voluminose gonne e con l’immancabile cappello borsalino inclinato sul capo. Culti tradizionali e riti in onore degli antichi dei sopravvivono accanto alla liturgia cattolica o mimetizzati dietro ad essa, in un incredibile sincretismo, capace di trasfigurare la forza vitale di Pachamama, la madre Terra, in quella serena della Vergine, spesso rappresentata in forma di montagna da una roccia triangolare dipinta e vestita con paramenti sacri.
Nelle terre basse vivono una trentina di etnie, Chiquitano, Moxeño e Guaraní e altre minori, ma i due gruppi indigeni che da soli costituiscono la maggioranza della popolazione sono i Quechua e gli Aymara dell’altopiano, uomini silenziosi e tenaci, con i capelli nerissimi, i volti color bronzo dall’espressione indecifrabile e un fisico temprato dall’altitudine e da secoli d’oppressione. Sono gli eredi di una ricchissima cultura andina, su cui si sono innestati gli elementi inca e poi quelli ispanici.
Gli indigeni, pur essendo la maggioranza, hanno vissuto dalla conquista in poi, in uno stato di emarginazione e sottomissione che li ha condannati alla miseria e a un’apartheid di fatto. La popolazione, falciata dalla fame e dalle malattie importate dai bianchi, schiavizzata nelle miniere e asservita nei latifondi, scese dai dieci milioni d’abitanti dell’impero inca, a circa due milioni nel cinquantennio seguente la conquista. Gli indigeni, benché spagnolizzati, cristianizzati e privati della loro identità, riuscirono a conservare e a trasmettere, di generazione in generazione, parte degli antichi valori, usanze e credenze che finirono per fondersi a quelli importati dagli Europei. Il desiderio di tornare ad un passato nostalgicamente idealizzato e di riscattare la dignità perduta animò numerose rivolte indigene: la più famosa fu quella di Julian Apaza, soprannominato Tupac Katari, che nel 1781 con un esercito di Aymara marciò su La Paz. Fu catturato e poi squartato da quattro cavalli, ma le sue ultime parole: “oggi mi uccidete, ma tornerò un giorno e sarò milioni”, sono divenute il grido di tutti i movimenti popolari susseguitisi nel tempo. Con la rivoluzione nazionale del 1952 gli indigeni ottennero i diritti costituzionali, fra cui quello di voto, ma le loro condizioni di vita rimasero invariate e ancora oggi più di metà della popolazione vive con meno di due dollari al giorno.
La Bolivia, la regione più ricca della colonia spagnola durante i secoli XVI e XVII, è oggi il paese più povero dell’America del Sud, nonostante l’indubbia abbondanza di materie prime e l’alto potenziale di sviluppo. Purtroppo, come disse Simón Bolívar, “All’America del Sud è stata negata non solo la libertà, ma anche un’attiva ed efficiente tirannide”. A trecento anni di dominazione spagnola ha fatto seguito una lunga serie di governi corrotti, spesso imposti con colpi di stato, che hanno dilapidato le risorse del paese e svenduto le imprese strategiche; senza mai sviluppare impianti di trasformazione delle materie prime. Oggi, a fronte della scoperta di nuovi ricchissimi giacimenti di petrolio e gas naturale, i loro sfruttamento è reso difficile per la mancanza di infrastrutture e per l’assenza di uno sbocco al mare, sottratto dal Cile nella Guerra del Litoral più di cento anni fa.
Dagli anni ’80 si è però assistito ad un risveglio indigeno con il recupero e la valorizzazione delle identità originarie. Nel 1994 la nuova Costituzione ha sancito la realtà multietnica e pluriculturale del paese e “unità nella diversità” è diventato lo slogan nazionale. L’ aymara Victor Hugo Cárdenas fu eletto vicepresidente nel 1993, nelle elezioni del 2002 moltissimi indigeni sono divenuti deputati, portando nell’austera Sala del Parlamento piume e bombette, ponchos e scialli, addirittura la foglia di coca, masticata dagli stessi rappresentanti dei partiti indigeni. Il resto è storia di questi giorni: Juan Evo Morales Aima, di famiglia campesina dell’altopiano, ex sindacalista dei coltivatori di coca delle terre basse e deputato del MAS (Movimento al Socialismo), ha vinto le elezioni con la maggioranza assoluta dei voti e il 22 gennaio 2006 è stato insediato alla Presidenza della Repubblica Boliviana. E’ il primo nativo d’America ad essere eletto Presidente dopo più di 500 anni dalla Conquista. Prima di assumere la carica ufficiale, ha voluto essere investito del comando con i riti tradizionali della cultura originaria a Tiwanaku, culla della civiltà andina. A questa incoronazione simbolica a capo delle trentasei etnie delle terre alte e basse di Bolivia, hanno presenziato quindicimila persone, per ore in attesa sotto la pioggia a quasi 4.000 metri d’altitudine. Evo è apparso davanti a loro a piedi scalzi, in omaggio alla Pachamama, vestito con l’unku, il mantello tradizionale dei sacerdoti aymara, con in testa un cappello a quattro punte simboleggianti i punti cardinali e in mano il bastone del comando.
Termina così una lunga e dolorosa crisi iniziata nell’ottobre del 2003 con la fuga del Presidente Gonzalo Sánchez de Lozada davanti alle manifestazioni di piazza e si apre per il Paese una nuova fase storica. Molti sono i problemi che richiedono interventi urgenti, primo fra tutti quello del gas, degli idrocarburi e di un mercato equo per le materie prime, poi le richieste di autonomie regionali e l’inclusione nella vita del paese dei settori di popolazione da sempre esclusi. E rimangono i problemi di sempre: le piantagioni di coca, la richiesta di terre da coltivare, la mancanza d’istruzione e di strutture sanitarie, le carenze di acqua e luce.
Il futuro è incerto, ma per gli indios boliviani questo è il momento della festa e della speranza.
A.M.

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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