Bolivia, un paese sempre più complesso
Da appassionata di un paese bello e sofferente come la Bolivia volevo puntualizzare relativamente a un paio di affermazioni lette in due mail “I disastri dei rossi in Sudamerica” e “Sudamerica: l’unico «disastro» è il Venezuela” inviate in questi giorni al sito Italians di Beppe Severgnini.
Scrive il Signor Tavaglini “Cinque anni fa fui chiamato in Bolivia per lavoro, il popolo – semplice, ospitale e generoso – mi riuscì simpaticissimo. Mi piace la Bolivia. E’ piena di pace La Paz.” Anch’io cinque anni fa , nel 2003, ero a La Paz, nel mezzo delle proteste contro l’impostazo, un prelievo forzato del 12,5%, cui seguì l’octubre negro, un mese di blocchi stradali e scioperi violentemente repressi, con molti morti, tanto che il Presidente Sánchez de Lozada fu costretto fuggire a Miami. E storicamente parlando, dal 1825, data di proclamazione dell’indipendenza, al 1982, inizio di un periodo di alternanza democratica, in Bolivia ci sono stati quasi duecento colpi di stato, più che in qualunque altro paese al mondo credo. Insomma non proprio un paese tranquillo…
Risponde il Sig. Bonarcadi “In Bolivia si sta semplicemente assistendo a un cambio di potere a livello etnico: dai meticci della parte orientale agli indios andini“. In realtà la Bolivia andina è un paese indio ma anche in buona parte meticcio, la Bolivia orientale è più bianca e meticcia, ma molti sono gli indigeni dell’altopiano lì emigrati con la chiusura delle miniere negli anni ’80. Santa Cruz, grazie anche al commercio illegale della coca, è diventata un polo economico ricco e dinamico contrapposto a La Paz, rimasta centro del potere politico. Quindi l’Oriente non ha mai avuto il potere politico, oggi che ha quello economico grazie soprattutto a gas, petrolio e agricoltura intensiva, vuole maggiore peso politico e autonomia economica. In tutto ciò giocano anche le esigenze delle multinazionali chiaramente contrarie alle nazionalizzazioni di Morales, la cui gestione non è esente da contraddizioni, ma che comunque cerca di ridare dignità e mezzi di sussistenza alla parte più povera della popolazione, che è e rimane quella indigena. Tutto è molto complicato e non liquidabile con un “com’era bello” o “sono tutti problemi etnici”.
A. M.