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12/03/2010

Da sempre ci raccontiamo che il nostro è “il paese più bello del mondo”. Non ne sarei però più così sicura, anche se l’Italia rimane la nazione con la più alta densità di siti patrimonio dell’umanità. Avendo bellezza in abbondanza ci siamo permessi di sperperarla, senza accorgerci che certe ferite al paesaggio e ai nuclei antichi delle città sono per sempre, proprio come i diamanti. Ciò che è certo è che anche noi abbiamo la nostra dose di bruttezza che quotidianamente ci aggredisce per strada, nelle periferie, nelle aree industriali e ovunque un’urbanizzazione selvaggia si è dilatata senza regole. Anche a questo abbiamo fatto l’abitudine e pensiamo che in fondo sia il prezzo da pagare allo sviluppo e al benessere. Il patrimonio che fortunatamente ancora custodiamo ha comunque educato il nostro occhio a alla bellezza, quella un po’ classicheggiante che nasce dall’armonia delle forme. Così, anche se per un processo naturale di assuefazione notiamo appena il bello e il brutto che ci circondano in patria, abbiamo però una particolare predisposizione per notarli appena varchiamo i confini. Ancora più vero se si viaggia in India, come io ora, perché qui più che altrove il contrasto fra questi due estremi è drammatico, vistoso e sfacciato. E’ un continuo alternarsi e mescolarsi di profumi e puzze, corone di fiori e rifiuti, vestiti di seta ricamati d’oro e stracci, spiritualità e miseria, lusso e fogne a cielo aperto. E poi tubi al neon, grovigli di cavi elettrici, costruzioni pacchiane o rimediate, nuovo e vecchio che si sovrappongono senza armonizzarsi.

Oggi osservavo rapita un gruppo di ragazze avvolte nei loro sari mentre giocavano con le onde… la trasparenza leggera dei veli, i tessuti bagnati che fasciavano i loro corpi, i colori vivi e i sorrisi… All’improvviso mi si sono avvicinati due mendicanti. Uno stava misurando la spiaggia a forza di braccia perché non aveva le gambe, l’altro aveva le mani senza dita e coperte dalle croste della lebbra. In India non solo il brutto, ma anche la deformità, la povertà, la sofferenza, la stessa morte, sono mostrati, addirittura ostentati. Per noi che invece abbiamo la tendenza a rimuoverli è un violento pugno nello stomaco.

Il brutto appartiene al mondo sviluppato e a quello povero, ma inevitabilmente coabita soprattutto con il degrado. Detto questo è anche vero che noi tendiamo a giudicare come brutto tutto ciò che non corrisponde ai nostri canoni di bellezza, perché ci portiamo dietro oltre alle nostre categorie classiche, un modello di mondo dove i valori sono il nuovo, l’ordinato, la perfezione che diventa uniformità, l’esclusivo che equivale a esclusione, le tinte smorzate di una tavolozza di colori che oscilla senza troppe varianti dal nero per l’abito al grigio metallizzato per l’auto. Invece in questo mondo disordinato, imperfetto e precario che è l’India, lo straniero è in bilico fra repulsione e fascinazione, perché insieme al brutto scopre una nuova dimensione, lontana dai sacri canoni di bellezza, ma ugualmente capace di sedurre. Nei volti, nei sorrisi, nei corpi, nei vestiti e nei colori oltre che naturalmente in un’arte raffinatissima e profondamente diversa dalla nostra.

Morale: vale la regola di sempre, viaggiare dovrebbe essere un atto di umiltà, non abbiamo il monopolio dei giudizio di ciò che è bello o non lo è. E valgono le parole di Magris ne “L’infinito viaggiare”: “Non chi ha nostalgia dell’antico e confonde l’eterno col passato, né chi si rifugia in patetiche e aride solitudini arcaiche e aristocratiche, ma chi accetta con umiltà di mescolarsi alla promiscua confusione quotidiana, al mutamento di tutte le cose relative… impara a riconoscere e a rispettare la dignità degli uomini anche quando essa gli si presenta in… forme cui egli non è abituato e che lo possono anche respingere o turbare”.

Un consiglio di lettura: “Il Milione” di Marco Polo, viaggiatore capace di farsi sedurre dall’altrui bellezza.

A.M.

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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