Buon appetito!
Viaggiando in Bolivia in quella che ormai è la “scorsa” estate, mi chiedevo cosa sarebbe la nostra cucina senza il peperoncino, le patate, il mais e il pomodoro, sconosciuti fino alla scoperta delle Americhe. E come potremmo rinunciare al cacao e soprattutto ai suoi deliziosi derivati? Sono tutti preziosi regali che ormai consideriamo anche nostri a tutti gli effetti. Quasi abbiamo perso memoria delle origini degl’ingredienti e di molte pietanze, anche se è ancora possibile viaggiare lungo le vie della diffusione nel mondo di cibi, spezie e bevande: il pepe dalle Indie, il tè dalla Cina, il caffè dall’Etiopia…
Cibi e cucine sono da sempre il risultato dell’incontro di uomini e culture, dello scambio di merci e della contaminazione di gusti da una parte all’altra del mondo. Scambi che testimoniano come quel fenomeno che oggi viene genericamente chiamato globalizzazione, sia una realtà costante nella storia dell’uomo, anche se ora è più evidente perché rapidissimo e diffuso a livello mondiale. Un fenomeno che come esportazione di modelli sembra sempre più a senso unico, dall’Occidente verso il resto del mondo, con la logica conseguenza di un livellamento invece che di un arricchimento delle culture. Eppure, almeno per quel che riguarda i cibi, sembra che questo nostro mondo globalizzato non abbia perso la voglia di sperimentare con ingredienti diversi ed esotici. Sotto la spinta dei flussi migratori, anche le nostre cucine, comprese quelle con una grande tradizione come l’italiana, sono diventate sempre più cosmopolite. I mercati e i negozi vendono ingredienti esotici, nei ristoranti di cucina fusion si inventano nuovi stili gastronomici con inedite variazioni di piatti locali e nei ristoranti etnici si propongono piatti originari di altri paesi, attenuandone i sapori pungenti e speziati per renderli più gradevoli ai nostri palati. Soprattutto molti ingredienti hanno saputo conservare una propria identità “DOC” più o meno certificata e molti cibi sono ancora un segnale di appartenenza, capace di esprimere significati profondi legati alla storia, al territorio e alle tradizioni di un popolo. Sono parte anch’essi di quel “patrimonio intangibile” dell’umanità che l’UNESCO cerca di preservare, ma che è molto più difficile difendere perché, se nessuno può scippare un paese del suo patrimonio tangibile fatto di monumenti, molto più difficile è con usi, costumi e tradizioni. Chissà che il mangiare, un’esperienza sensoriale completa evolutasi nei millenni e trasformatasi da semplice necessità in cultura, possa essere d’esempio per un mondo che sappia armonizzare e mescolare saggiamente profumi, colori e sapori.
Pubblicato su il reporter – Riveduto e aggiornato da “A come Avventura”, di Anna Maspero
Per continuare la lettura: Chef Kumalè, “Il mondo a tavola”, Einaudi 2007