Buone e cattive abitudini
Abitudini ce ne sono diverse, e non tutte da buttare. Naturalmente ci sono quelle buone e comunque, in dose omeopatica, le abitudini sono rassicuranti e permettono un adattamento al proprio ambiente, opzione necessaria soprattutto perché non sempre c’è possibilità di scelta. Se poi si è costretti a emigrare altrove, mantenerne alcune permette di salvaguardare identità e appartenenza.
Quando però le abitudini si trasformano in necessità o addirittura in dipendenza, allora è tempo di partire, perché, come scriveva Paul Morand, “andarsene è vincere la propria causa contro l’abitudine”. Anche se non sempre troviamo il diverso e l’altrove, e forse non sempre lo cerchiamo, il viaggio è comunque un’interruzione della routine, e la routine è una sorta di pilota automatico che atrofizza i sensi e i sentimenti, meccanizza i gesti e appanna la visione del mondo. In viaggio invece guardiamo, proviamo, parliamo, leggiamo, fotografiamo, scriviamo e, volenti o nolenti, dobbiamo metterci in gioco e adattarci almeno un poco agli usi e costumi locali.
Forse sta proprio qui la differenza fra turista e viaggiatore: il primo vuole ritrovare o ricreare le proprie abitudini anche altrove, e, anche quando cerca l’esotico e il diverso, è solo per il tempo di una foto. L’altro non teme lo spaesamento e si adatta alla nuova realtà, o almeno ci prova. Se chi davvero ama viaggiare è uno che difficilmente diventa schiavo delle abitudini, corre però un altro rischio, partenza dopo partenza: quello di assuefarsi al viaggio stesso, di perdere il dono e il piacere dello stupore, trasformando proprio il viaggio in routine. Accade al viaggiatore compulsivo, spesso un disadattato più che una persona capace di adattamento. Allora, forse, è il tempo non di partire, ma di fermarsi e riflettere.
In tema: “Il turista nudo” di Lawrence Osborne, viaggiatore alla disperata ricerca di un altrove incontaminato, pur sapendo che, ovunque vada, c’è un tour operator che l’aspetta…
Pubblicato su il reporter – Parole Nomadi -Abitudini