C come (I) Care
Pubblicato su il reporter –Parole Nomadi – I care
Viaggiare può essere fatale. Non intendo per i viaggiatori (quello è un rischio calcolato e inevitabile, presente poco o tanto in tutte le attività umane). Parlo dell’impatto su ambiente, società e culture altre. Il turismo si occupa di tempo libero, ma è un’industria sempre più pesante e meno sostenibile, non fosse altro che per la quantità di persone che sposta da una parte all’altra del globo. Il naufragio della nave da crociera Concordia è l’esemplificazione di come i grandi numeri moltiplichino i rischi ambientali. Il paradosso del turismo è che ha un impatto negativo proprio su quel territorio e quelle culture che vorrebbe valorizzare, ma che in realtà scopre, consuma e poi abbandona o ‘declassa’, spostandosi su nuove mete destinate a subire la stessa sorte di progressivo degrado.
Siamo tutti colpevoli, come canta de André: “anche se proviamo a crederci assolti, siamo tutti coinvolti”. Anche quando scegliamo le destinazioni ‘giuste’, natura incontaminata e popolazioni ‘autentiche’. Anzi, in questo caso gli effetti rischiano di essere ancora più pesanti rispetto a quelli di chi si chiude in un villaggio turistico per un paio di settimane. Non basta viaggiare in modo semplice e spartano, in certi luoghi bisogna proprio non andarci, con buona pace di novelli esploratori e improvvisati antropologi, di governi e T.O. Se poi il ‘progresso’ arriverà anche lì “perché così va il mondo” o perché così decidono le popolazioni che vi abitano, per lo meno non saremo stati noi gli irresponsabili responsabili. Per salvare gli ambienti più fragili e salvaguardare l’integrità fisica e culturale di chi ci vive, questi luoghi devono essere considerati ‘off limits’. Non è sempre necessario andare a vedere di persona così da poter dire “io ci sono stato”, collezionando istantanee da condividere nei social networks con un “Mi piace”. E’ ora che al semplice “Mi piace” sostituiamo un “I care”, o come diremmo noi “mi importa …mi sta a cuore…”. Perché se tutti dicessimo più spesso “I care”, forse potremmo dare realtà ai sogni e soprattutto un futuro alla terra e a chi verrà dopo di noi.
Come viaggiatrice mi disturba l’atteggiamento di tanta stampa turistica che decanta gli ultimi paradisi invitando a visitarli prima che sia troppo tardi e poi, raggiunto lo scopo (ricevuto il viaggio premio o l’inserzione pubblicitaria dall’ente turistico, venduti la rivista o il pacchetto), manda un inviato a testimoniare i probabili danni provocati dai turisti su quegli ambienti fragili, dandosi pure una patente ecologista e scaricando le colpe su chi ha solo seguito il loro consiglio.
La prognosi dell’impatto turistico non è necessariamente funesta: in molti luoghi è possibile compensarne i costi con i benefici o meglio ancora, far sì che ambiente e popolazioni residenti possano guadagnarci. La natura, là dove ‘paga’, ha più probabilità di sopravvivere ad altre e spesso più devastanti forme di sfruttamento come l’industria estrattiva e del legname, l’allevamento intensivo, le monoculture, la caccia indiscriminata… E’ questo un turismo dai molti aggettivi, ognuno con una sfumatura di significato diversa: responsabile, etico, sostenibile, verde, ecologico, sociale, rurale, accessibile, di comunità, equo e solidale… termini spesso abusati, ma che indicano la sola strada percorribile. Non è solo per viaggiatori alternativi, ma deve rivolgersi anche al turismo tradizionale che, muovendo i grandi numeri, ha una ricaduta maggiore su popolazioni e territori. Impresa difficile, perché, come diceva l’indimenticato Alex Langer, “Il turismo è compatibile con l’ambiente solo a dosi omeopatiche”. Ma cambiare è necessario. Tutti noi in quanto ‘consumatori’ (ci piaccia o no, il vocabolo è appropriato) abbiamo un potere enorme, spesso sottostimato e poco esercitato, ma che ha la forza di condizionare il mercato: il potere di scelta. Usiamolo!
Lettura consigliata: “Il Turista Nudo” di Lawrence Osborne, tipico scrittore snob alla ricerca degli ultimi primitivi prima dell’arrivo dell’l’homo turisticus.
Anna
Laura (raya)
Grazie Anna, una fotografia realistica, approfondita e molto ben scritta: purtroppo è così, esserne consapevoli è il primo passo. ‘I care’ mi appartiene. Tks!
Viaggi e Baci
Condivido in pieno il tuo pensiero e vorrei estenderlo oltre al discorso naturalistico.
Mi è capitato anni fa di andare in villaggi turistici in quello che consideriamo Terzo Mondo (ma che fra un po’ ci mangerà i risi in testa!) e trovare bambini sulla spiaggia a scambiare semplici battute in italiano in cambio di qualche spiccio.
Le turiste non ci pensavano due volte a rientrare in villaggio, svaligiare il buffet e la linea di cortesia, aprire il portafogli dicendo “poveretti, guarda che carini! almeno so dove vanno i miei soldi” (N.B.: le stesse persone in Italia non darebbero un tozzo di pane all’extracomunitario che ha “invaso” il loro condominio e ora non ha un lavoro)
Ne ero disgustata …
Ma si rendono conto o no che con questi gesti creano un popolo di accattoni che appena arriverà la prossima moda turistica si ritroveranno senza nessuna fonte di elemosina e non avranno imparato a far nulla nella vita? I loro padri sapevano pescare, spaccandosi di lavoro per pochi centesimi. Loro allungando una mano e facendosi accarezzare i ricciolini guadagnano molto di più, ma se la sorte gira si ritroveranno con il culo a terra e nessuno disposto a tendergli una mano per farli rialzare!
Ecco … solo un’ulteriore spunto su cui riflettere!