Le mie Letture

Cara Gaia… Cara Anna…

on
01/07/2008

Scambio di mail fra una giovane scrittrice e una viaggiatrice “politicamente scorretta” a proposito del libro di Gaia De Pascale “Slow travel. Alla ricerca del lusso di perdere tempo“.

Cara  Gaia…

… ti ho ascoltata a Torino al Salone del Libro e davvero mi hai catturata con il tuo modo colto ma diretto e semplice di colloquiare. E belli sono gli articoli letti sul tuo sito. Quindi è con la migliore delle predisposizioni che ho aperto il tuo libro sul viaggio lento. Scritto davvero bene e sono certa che molti lettori potranno trovare diversi interessanti spunti di riflessione.

Se però il lettore è un po’ più smaliziato, per libri letti o chilometri percorsi, ti confesso che  alla fine del “viaggio”, chiuso il tuo libro, gli rimane la sensazione di un’esperienza soprattutto mentale e molto poco fisica. E questo riferito a un libro che vorrebbe essere un invito e un elogio dei sensi e della sperimentazione personale all’interno del viaggio. Nella premessa scrivi: “E poi, mi piace pensare che la scrittura abbia la stessa ragione del viaggio: viaggiare“. Vero, il rischio però è di metterci l’anima, ma che poi manchi il corpo. Raccontare di viaggio, che sia l’antropologo o il semplice viaggiatore a farlo, vuol dire metterci anche e forse soprattutto quella sostanza e quella materia, che poi la scrittura deve filtrare affinché il risultato non sia solo un racconto autoreferenziale delle proprie avventure. Nella tua scrittura si leggono tracce di viaggi passati, ma sembrano presi dalla letteratura più che dalla memoria.

Ci sono poi diverse affermazioni in cui non mi ritrovo, alcune sono riferimenti di poco peso, che qui tralascio, altre concetti più articolati. Qualcuna in ordine sparso.

Si tratta di distinguere il concetto di viaggio da quello di vacanza” (e fin qui tutto bene) “che è poi ciò che distingue lo scegliere dal farsi scegliere”. E perché? Non puoi anche semplicemente scegliere di farti una vacanza in pieno e totale relax, senza necessariamente “essere scelto”?

L’unica vera regola è sapersi fermare rinunciando a insegnare agli altri il mondo, e impedendo che qualcun altro si ostini a insegnarlo a noi”. Ma in fondo è quello che tu fai nel tuo libro. Perché o/o e non e/e? Perché bicicletta contro auto? Treno contro aereo? Libri contro guide? Carnet de Voyage contro fotografia? Perché no a filmini e diaporama, ma sì ai libri di viaggio (in cui spesso raccontiamo le nostre avventure in modo anche più autoreferenziale, visto che in genere le fotografie cercano di offrire un’immagine del paese e della gente e non tanto dell’autore…). Credi nella scrittura: “Qualunque libro di viaggio esce per forza di cose dagli stretti ranghi in cui solitamente il turista è costretto dalle vacanze di massa per tentare almeno di farsi ricerca, esplorazione, viaggio dentro il viaggio”. D’accordo, ma perché sembri essere così contraria alle guide di viaggio? “Ingannare i diktat di una guida e di tutto un sistema che l’ha pensata, prodotta, immessa sul mercato e infine adorata come un testo sacro, riuscendo così a trovare… la vita”. Le guide sono semplici strumenti, usati con intelligenza possono essere utilissime. Perché no alla macchina fotografica, che dici capace di raccogliere solo “messinscene e teatralizzazioni rapide quanto la pressione dell’indice su una digitale”? o  il “simulacro dell’altro, quell’immagine di un’immagine che già alla partenza avevamo cominciato a tratteggiare dentro di noi” (…) . Ma anche leggendo un libro incomincio a immaginare un luogo e la gente che lo abita… Non tutti i libri sanno scavare nella realtà del paese e offrirci “immagini” che ci aiutino a capirlo, ma non per questo criminalizzo la categoria. Oppure, per coerenza, smettiamo anche di leggere. E di scrivere.

Alcuni dei concetti espressi nel libro mi sembrano essere nuovi conformismi che oggi fanno moda.  Ti confesso che sono un po’ stufa dei diktat di chi mi dice come viaggiare, di quei fautori del turismo responsabile / consapevole / sostenibile (movimento d’opinione che ha tutto il mio appoggio), che dividono di qui i buoni, di là i cattivi. Alla fine provocano in me una reazione contraria. Mi viene voglia di rivendicare il diritto di fare la turista, di soggiornare solo in hotel, di viaggiare in aereo e non in bici, di leggere una, anche due guide (e magari perdermi lo stesso), perché la libertà deriva dalla conoscenza e dalla possibilità di scegliere, non dal partire seguendo solo una direzione (l’abbiamo fatto, certo, ma se gli strumenti ci sono tanto vale usarli in modo intelligente). Rivendico il diritto di proiettare foto al ritorno: a Cantù lo faccio pubblicamente da oltre dieci anni, invitando a proiettare altri fotografi-viaggiatori  e l’affluenza del pubblico è sempre altissima, il che mi fa supporre che ci siano sufficienti spunti di interesse per fare uscire la gente di casa, visto che non offro cene in premio. Rivendico il diritto di viaggiare come voglio in base al mio stato d’animo, al luogo e al tempo che ho a disposizione. Mi verrebbe da dire sì anche ai last minute (che ho sempre evitato), anche se in quel caso spesso non è una scelta, ma davvero “si è scelti”, come per i saldi, con il risparmio come unico valore aggiunto (ma con i tempi che corrono, per riuscire a viaggiare, anche quello conta).  E poi, come scriveva l’amato Oscar Wilde, “Resisto a tutto fuorché alle tentazioni“: se gli aerei inquinano, regolamentiamo i voli, non aspettiamoci che sia l’utente finale a dire di no a tante allettanti proposte!

L’unico consiglio che mi sento di dare a chi parte, è di rispettare i propri tempi, e naturalmente la gente, le culture e i luoghi che incontra. I tempi non sono uguali per tutti, e per ognuno cambiano negli anni e anche nei luoghi. Non tutti possono o vogliono andare in bicicletta, o qualche volta può essere addirittura meglio, per conoscere un paese, fare un volo in aereo e poi fermarsi, piuttosto che lunghissimi attraversamenti in bici o in moto.

“Segui il tuo passo” si dice in montagna, poi, ci ritroviamo in vetta.

Con sincera stima e affetto, Anna

 

Cara Anna,

cercherò di risponderti nel modo più esaustivo possibile, cercando di fregare quel tempo (sempre lui!) che in questo periodo sta invece sempre più fregando me…

– Per quanto riguarda la distinzione tra vacanza e viaggio, tu dai a quel “farsi scegliere” una connotazione negativa che io non avevo intenzione di dare. È vero, penso che la vacanza, rispetto al viaggio, implichi una certa dose di “passività”… ma è proprio questo il suo bello! Sì, la vacanza si sceglie, ma si sceglie proprio per delegare un po’ di fatiche e responsabilità a qualcun altro. Cosa c’è di male? Assolutamente niente, te lo dice una tornata da quindici giorni passati al mare sotto un ombrellone!

– Macchina fotografica, automobile, ecc. Mi spiace che tu abbia letto le mie osservazioni su determinati mezzi di locomozione o determinate tecniche di riproduzione della realtà come degli out out destinati a dividere i buoni dai cattivi. Non è così, e mi spiace proprio perché questo significa che non mi sono spiegata bene. Quello che volevo mettere in luce è che, a volte, certi mezzi che usiamo per attraversare il mondo (le automobili), per orientarci al suo interno (le guide turistiche) o per catturarlo (macchine digitali), finiscono per essere non più strumenti al nostro servizio, ma oggetti che ci rendono schiavi. Non una critica all’oggetto in sé, dunque, ma al suo cattivo uso. Anzi, ancora più nello specifico: all’automatismo del cattivo uso, quell’abitudine che ci impedisce di essere perlomeno un po’ ironici verso certi tic e certe dipendenze, e che ci fa compiere certi gesti meccanicamente, senza nessuna coscienza di quello che stiamo facendo, e di conseguenza senza nemmeno darci la possibilità, per una volta, di non farlo. Non ce l’ho con il Baedecker, insomma, ma con chi l’ha considerato un testo sacro che per definizione non poteva sbagliare. Non con la macchina fotografica, ma con l’ossessione dello scatto che ci spinge a vedere i luoghi unicamente attraverso un obiettivo. Non con l’automobile, ma col fatto di non poterne fare a meno per andare a comprare il pane due isolati più in là.

(Come vedi, quando parlo dei “difetti” del viaggiatore contemporaneo, qui come nel libro, uso sempre la prima persona plurale. Questo per dire che, in fondo, ogni mia critica è prima di tutto un’autocritica…)

– Quindi, in definitiva, vorrei riportarti queste parole di Slow Travel: è mia convinzione che viaggiare lentamente significhi anche prendersi la libertà di scegliersi da soli le proprie mete, di stabilire l’andatura migliore per sé rigettando le regole dei sedicenti professionisti del vagabondaggio. In pratica, di fare quello che sempre si dovrebbe con i consigli (soprattutto quelli non richiesti): ascoltarli per poi dimenticarsene il prima possibile. Tu forse gli hai dato poco peso, io forse le ho tradite senza nemmeno accorgermene. Ma i primi consigli che mi auguro che la gente non segua mai sono proprio i miei. Io non lo faccio, perché dovrebbero farlo gli altri? J Come diceva il grande Fabrizio De André:

“Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”.

– Ultima cosa: hai ragione quando dici che in Slow Travel c’è più mente che corpo. La mia non è una guida, e non è un racconto di viaggio. E’ una riflessione su una specifica filosofia di viaggio che ha punti assai condivisibili e altri discutibili. Tutto qui. E’ un libercolo dalle poche pretese, “bastardo” nel senso letterale del termine, che attinge ora alla memoria, ora all’esperienza, mescolando vita vissuta e vita letta o semplicemente immaginata. Confonde volutamente le due cose (e anzi: sapresti riconoscere, tu, quali viaggi sono veri e quali fittizi, inventati, rubati cinicamente alle parole di altri? Io non lo so quasi più… ma in questo contesto, importa poi davvero?). Io credo che nella scrittura ci sia un’altra verità, più vera del vero. Credo che uno dei libri più belli scritti sull’India sia quello di Guido Gozzano, che in India non c’è mai stato

Avevo solo una pretesa: sparpagliare sul foglio suggestioni legate a un certo modo di viaggiare. E se non ci sono riuscita, pazienza. Ci ho voluto provare, e questo è il mio risultato. E il fatto che, nel bene e nel male, siamo qui a discuterne, vuol dire che il mio lavoro ha comunque fatto il suo dovere: ha viaggiato.

Un abbraccio, Gaia

Gaia De Pascale “Slow travel. Alla ricerca del lusso di perdere tempo“, Ponte alle Grazie 2008, € 9,35

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4 Comments
  1. Rispondi

    Anna

    01/07/2008

    Grazie Gaia per la bella risposta.
    Confermo la mia opinione, sei davvero brava … e sinceramente mi sento di confermare anche quanto ho scritto, ma la tua mail mi è davvero piaciuta. E chissà che un giorno non riusciremo a riprendere il confronto a voce, magari provando anche a indovinare quali sono i viaggi reali, quali quelli letterari, quali quelli sognati… Adesso mi aspetto una critica anche al mio libro… me la merito!!! E la pubblicherò sul blog naturalmente, quindi non essere troppo vendicativa! Un abbraccio, Anna

  2. Rispondi

    Gaia

    01/07/2008

    Come no? Sarò ultra-vendicativa!
    Scherzo ovviamente, grazie a te per lo spazio che mi hai dedicato sul tuo bel sito.
    Spero anch’io di avere presto l’occasione di un confronto a voce, del resto sarebbe proprio buffo se una viaggiatrice vera e una, almeno in parte, “immaginaria”, non riuscissero a incontrarsi nemmeno nel raggio di poche centinaia di chilometri…
    a presto!
    Gaia

  3. Rispondi

    roberta

    02/07/2008

    anna, d’accordissimo con te.
    basta con le categorie, turisti e viaggiatori, vacanzieri e impegnati, scrittori e fotografi e chi più ne ha più ne metta. Ci sono viaggiatori “fai da te” che non capiscono una mazza di quello che vedono e altri “francorosso” che sono aperti e curiosi ma per mille ragioni non possono viaggiare diversamente. Smettiamo di fare gli snob e di giudicare per categorie!
    questo detto in generale, perchè non ho letto il libro e non sto dicendo che l’autrice l’abbia fatto. Mi rivolgo genericamente a noi che ci consideriamo “veri viaggiatori” e spesso siamo un po’ stronzi e con la puzza sotto il naso… Io per prima!
    con affetto

  4. Rispondi

    Alessandro Arrighi

    06/08/2008

    Ciao Anna… splendido sito…
    Io sono in partenza…
    Parto per un paese comunista per vedere la rivoluzione… e forse sognare l’America, o la città di Utopia…
    Un abbraccio grnde e Triplice.
    Ale

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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