Chi parte mona, torna mona
Per gli antichi il viaggio era un “nostos”, un ritorno. L’eroe si metteva alla prova e poi, carico di gloria e arricchito dalla conoscenza di nuovi mondi, ritrovava la strada di casa. Come nell’Odissea, che del viaggio è l’archetipo. Ma per noi, moderni Ulisse, viaggiare significa soprattutto partire e arrivare, mentre prestiamo poca attenzione alla dimensione del ritorno, che ne è invece parte essenziale. Tanti sono i ritorni. Possibili e impossibili.
C’è chi parte e forse non tornerà più, anche se spesso sogna di farlo. Emigrante per scelta o per necessità, destinato a essere per sempre straniero. C’è chi, emulo di Paul Bowles, non sa se e quando tornerà. Per lui, moderno vagabondo, la partenza è l’inizio di un’erranza dalla meta incerta. C’è chi, al contrario, va in vacanza, magari lontano, ma porta con sé tutte le proprie certezze e sicurezze. In fondo non è mai davvero partito. E c’è chi, viaggiatore forzato, appena partito sogna già di tornare… C’è anche chi, affabulatore delle serate invernali fra amici, parte solo per poter raccontare di essere partito. C’è chi s’innamora del nuovo mondo e, anche se è costretto a tornare, cuore e testa rimangono là. C’è chi torna, ma sogna solo di ripartire al più presto per un qualsiasi altrove. La sua anima è in fuga. Dal suo mondo, forse da se stesso. Infine c’è chi parte con un biglietto di A/R in tasca e conta di tornare. Banale forse, ma in fondo mi sembra ragionevole.
Così tante sono le possibili declinazioni della parola ritorno che appare strano come questa dimensione sia spesso trascurata anche nei racconti di viaggio. Completata la circonferenza e arrivati di nuovo al punto di partenza, la narrazione si chiude sulla parola fine. Dovrebbe invece aprirsi nuovamente con la parola inizio. Se dovessi rappresentare graficamente il viaggio su un foglio di carta bianca, non traccerei una linea, diritta o tortuosa, ma che va sempre avanti, accumulando nuove partenze e nuovi arrivi. Neppure una circonferenza in cui il punto iniziale e quello finale coincidono. Viaggiare dovrebbe assomigliare più a una spirale, una forma che, allargandosi intorno al proprio inizio, è capace di racchiudere in sé la linea e la circonferenza. Si parte da se stessi e dal proprio piccolo universo e si va alla scoperta di altri mondi che diventano parte di noi. Poi si ripercorre all’inverso la spirale del viaggio, si torna ai luoghi cui apparteniamo, ma i nostri orizzonti si sono allargati e noi stessi siamo diversi. Scrive T. S. Eliot: “la fine di tutto il nostro cercare / sarà arrivare dove siamo partiti / e conoscere il luogo per la prima volta”. E’ già tutto, semplicemente e meravigliosamente, in queste poche righe. Come per gli antichi viaggiatori, si torna più esperti, capaci di un nuovo sguardo sul vecchio mondo e sul vecchio sé. Certo, soltanto se è vero viaggio, perché, si dice in veneto, “Viagiar decanta, ma chi parte mona, torna mona”.
A.M.
Pubblicato su il reporter