Dimmi se sei felice
“Decise che avrebbe fatto il giro del mondo e dappertutto avrebbe cercato di capire che cos’è che rende la gente felice o infelice… se un segreto della felicità esisteva, avrebbe certo finito col trovarlo”. Così Hector, il giovane psichiatra protagonista del romanzo di Francois Lelord, inizia il suo viaggio. E come la sua, anche le nostre partenze sono una ricerca, forse non sempre così consapevole, di quell’elusivo oggetto del desiderio che si chiama felicità.
Viaggiando in paesi dove secondo i nostri parametri ci sarebbe ben poco di cui rallegrarsi, ci capita di scoprire con un po’ di stupore che la gente non sembra essere infelice come “dovrebbe”. Sondaggi e ricerche confermano che lo scarto fra paesi ricchi e paesi poveri nel livello di felicità percepito è minimo e che depressione, noia e suicidi sono molto più diffusi nella nostra parte di mondo. Dunque se il PIL è direttamente proporzionale alla durata della vita, non sembra esserlo alla felicità della stessa. Forse perché è un indice quantitativo che ha a che fare con produzione e consumi, ma si sa, non sempre quantità e qualità vanno a braccetto. La felicità è qualcosa di sfuggente e di difficilmente misurabile: certo è più facile dire quando manca che quando c’è. Terzani ne aveva dato una definizione sicuramente frutto della sua esperienza di viaggiatore: “uno che si accontenta è un uomo felice”. Ossia, felice è chi vede il bicchiere mezzo pieno, se lo fa bastare e ne è soddisfatto. Noi occidentali, se non proprio infelici, non ci sentiamo neppure felici. Non solo tendiamo a vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto, ma ne beviamo anche il contenuto a grandi sorsi, pur senza riuscire ad appagare la nostra sete. Fuor di metafora: diamo per scontati i beni necessari, e sempre più anche quelli superflui, così quando mancano ci provocano infelicità, quando tutti i “bisogni” vengono soddisfatti, si ha immediata assuefazione e se ne creano di nuovi in una spirale consumistica infinita. Eppure la conquista della felicità potrebbe essere semplice. Secondo i comandamenti stilati dall’ONU per essere felici sono necessari: una razione di cibo e sufficiente acqua potabile, un tetto, istruzione per almeno sei anni, un lavoro, tre vestiti e tre paia di scarpe a testa; e poi una radio, delle pentole e una bicicletta per famiglia, una TV ogni cento abitanti, cinquanta letti d’ospedale ogni centomila abitanti, assistenza a vecchi e malati. Sicuramente a noi non manca nulla di tutto ciò, ma la felicità è relativa e la sua percezione dipende dalla realtà in cui si è inseriti. La nostra “soglia di felicità” è molto più alta. Forse la risposta che ci potremmo riportare a casa dai nostri viaggi è questa. Che, soltanto per essere casualmente nati nella parte giusta del pianeta, siamo dei privilegiati. Che per noi la felicità non è solo un diritto, come recita la costituzione americana, ma dovrebbe essere un obbligo morale, visto che disponiamo del necessario e anche del superfluo. E che è possibile limitare i nostri bisogni. Anche perché le risorse non sono illimitate e una parte di mondo sta pagando il prezzo del nostro più o meno triste benessere in termini di miseria e di ingiustizie. Morale: allontanarsi un poco dal proprio mondo aiuta almeno a rendersi conto di poter essere felici.
Consiglio di lettura: “Il viaggio di Hector o la ricerca della felicità” di Francois Lelord
E se volete vedere le statistiche dei paesi più felici, cliccate qui.
Pubblicato su il reporter
enrico
Non credo Anna: penso che il viaggio sia una condizione dell’essere per chi è viaggiatore. Quando un passero si libra in volo dal ramo cerca la felicità? O semplicemente segue un istinto connaturato al suo essere e dunque ….vola? Non so quale sia l’istinto che ti guida nei tuoi viaggi Anna….il mio è quello dell’esplorazione come movimento della coscienza prima che del corpo: infatti mi trovo spesso a viaggiare col pensiero oppure ad esplorare valli e monti immobile su una collina. Il viaggio è dentro la natura stessa dello spirito umano…come la crescita e l’evoluzione sono nella natura stessa di qualunque forma di vita. Un caro saluto. Enrico
A.M.
ciao Enrico, il viaggio, se è vero viaggio, è certo prima mentale e emozionale che fisico. Ma il mio tentativo di riflessione in questo caso cercava non di declinare le possibili motivazioni o i significati del viaggio, ma di vederlo come strumento di misura per la nostra felicità nel quotidiano. grazie come sempre per la tua attenzione e la tua profondità, anna
A.M.
Grazie a voi tutti gli amici di Facebook! ecco alcuni dei vostri commenti. Purtroppo FB e il computer sono mondi mediati, ma comunque ci permettono di sapere che non siamo soli a cercare…
• quanta verità c’è in queste parole e serenità peccato che si ritorni alla realtà dopo aver riempito il nostro zaino di felicità e indimenticabili emozioni , un nostalgico nomade!!!!!!!! Angelo
• F come Fantasia che aiuta il cammino quotidiano della nostra vita a renderla un viaggio “sempre e…per sempre” verso la Felicità! Un nomade per sempre Cinzia
• che cos’è la felicità ? e se fosse l’insostenibile leggerezza dell’essere !! Silvano
• Alla domanda rispondo decisamente: si !!! Nei paesi dove sono stato, cosiddetti terzi, ho trovato sempre gente sorridente ed a mio avviso felice. Non mi sono mai accorto che mi guardassero con occhi anelanti la mia posizione di occidentale che viaggia….ma al contrario sono stato io ad interrogarmi sulla mia condizione e, nel rifletterci sopra, ne sono uscito sconfitto !!! La loro dignitosa povertà è pari alla loro felicità e, paragonando la mia ” felicità” al loro sorriso felice ed invitante, ho capito che il viaggiare serve anche a questo, a capire che la felicità spesso non è quella cosa che intendiamo noi !!!!!!!
Grazie Anna per avermi risvegliato alcune mie riflessioni. Ciao a presto !! Roberto
• d’accordissimo Antonella
• non è un’unità di misura ..ma viaggiare aiuta a vivere meglio… il problema è che non tutti hanno mezzi e finanze per viaggiare.. ma, forse, felicità è anche viaggiare attorno ad un bel fiore! Ivo
• certamente aiuta! Lorenzo
• Grazie Anna dei tuoi messaggi……sono piccole perle! Agostino
• Si in parte si, ma solo se stai bene con te stesso o con chi ti accompagna, non viviamo in una campana di vetro e ovunque andiamo e ci troviamo interagiamo, con tutto quello che ci circonda e che ci ha richiamato in quel luogo e in quel momento…..la felicità è uno stato passeggero che và colto in quel preciso attimo e ci aiuta a capire che bisogna vivere anche dell’oggi,del momento del qui e ora e a sbarazzarsi del futuro ( che non conosciamo) e el passato ( che è passato appunto e non torna se non in certi momenti) …ciao Anna ma non devi provocarmi così….la mia vena filosofica emerge prepotentemente e prevale …un bacione. Paolo
• Quanta verità in questo scritto! bisognerebbe prendere esempio dal Bhutan dove hanno introdotto nel PIL l’indice della “felicità” percepita nel paese.. un esempio unico nell’intero pianeta! chissà come cambierebbero le classifiche dei paesi occidentali considerando questo parametro.. Ciao Anna e grazie per la riflessione, profonda come sempre. Roberto
• Eh…sì…condivido pienamente! Saper guardare il mondo con occhi diversi aiuta a rendersi conto di poter essere felici! Patrizia
• ha ragione data troppo per scontata ( a tal proposito ) mi viene in mente… è molto interessante proprio questo, imparare a viaggiare, dentro se stessi con stesso lo spirito e amore per la scoperta col quale si viaggia attraversando nel mondo. Ed è sempre una ricchezza infinita pensare e riflettere, anche grazie a spunti come il suo.
Le dico grazie. Costanza
• il viaggio, se preso come occasione di conoscenza degli altri, di confronto con stili di vita diversi e di contatto con con la natura, vicino o lontana, diventa un occasione di riflessione anche su noi stessi e sul nostro approccio al quotidiano. Viaggiando non troviamo la felicità, riscopriamo ciò che potrebbe darcela e che spesso già abbiamo, ma soprattutto ci fa coprire di quanto possiamo fare a meno per stare, bene ci fa conoscere qualcosa in più di noi (per mille motivi). Antonella
laura (Raya)
Per mia esperienza posso ammettere che la felicità è uno stato dell’essere strettamente legato all’emozione dell’hic et nunc e non un qualcosa da ricercare all’esterno.