Il Senso del Viaggio

Doctor Livingstone, I Presume

on
12/10/2010

Dalla rivista Avventure nel Mondo n. 4/1989
Era il 1989 e riflettevo sul senso del viaggio…
“Dr. Livingstone, I presume”. Queste poche parole sono sicuramente ancora in grado dl evocare in molti di noi nostalgie elitarie e rimpianto per un’AWENTURA per la quale oggi sembra non esserci più spazio.
Ogni angolo di questo nostro mondo è già stato scoperto, esplorato e turisticizzato e ci viene offerto su un piatto d’argento da una miriade di organizzazioni di viaggio tutto compreso, o, per chi non volesse nemmeno muoversi dalla poltrona di casa, da tutta una serie di programmi video e televisivi.
La parabola di passaggio dall’esploratore, al viaggiatore, al turista, si è ormai consumata e in noi di A.M. e similari si insinua il dubbio di essere In fondo turisti come gli altri (con in più una vena di masochismo).
Cerchiamo allora di analizzare questa parabola per vedere che spazio a rimasto all’avventura.
il viaggio a stato da sempre un elemento caratterizzante le varie società umane e patrimonio della stessa cultura occidentale: dall’antichità greco-romana, attraverso lo stesso mondo medioevale-cristiano come pellegrinaggio, fino al viaggio come esplorazione, conoscenza di nuovi continenti, sfida all’ignoto, purtroppo regolarmente seguita da violenza, sfruttamento, colonialismo e neocolonialismo. Una concezione di viaggio più moderna e parzialmente ancora valida, a quella dei viaggiatori ottocenteschi: il Grand Tour. alla ricerca delle proprie radici, itinerario di conoscenza del mondo (in realtà piuttosto circoscritto) e di se stessi.
Dal dopoguerra e soprattutto dal boom economico degli anni sessanta, il consumismo si è impadronito del viaggio, trasformandolo in una grande industria dell’evasione, dove tutto è organizzato, previsto, preparato ed edulcorato per il turista. La stessa capacità evocativa dell’Avventura è stata ridotta un richiamo pubblicitario per vendere sigarette, profumi e fuoristrada.
In un film recente “Turista per caso”, l’immagine della casa editrice di libri di viaggio è una poltrona con leali, ossia viaggiare avendo la sensazione di rimanere seduti nella propria poltrona, vedendosi scorrere davanti le immagini come sullo schermo di un televisore. Questo è quanto normalmente accade ai frequentatori di viaggi organizzati e di hotel dl classe internazionale, se si esclude qualche imprevisto non cercato, stramaledetto e poi gonfiato ad arte nel racconto a posteriori. Spesso il massimo della difficoltà è una coincidenza persa e il massimo dello sconvolgimento il cambio di fuso orario.
Il viaggio, anche quello insolito, è diventato alla portata di tutti, o quasi tutti… — E allora che m’importa di farlo? — pensa il nostro nostalgico elitario.
In effetti una pausa ogni tanto, per noi forza­ti dei viaggiò, non foss’altro per chiedersi perchè viaggiamo, non può essere che salutare. Che senso ha dunque il nostro andare per il mondo? La stessa domanda si poneva Leonardo Da Vinci: “Che ti move o orno, ad abbandonare le tue proprie abitazioni della città, a lasciare li parenti e li amici ed andare In lochi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo?” Ma la sua risposta oggi non può più essere sufficiente. Fortunatamente sono rimasti degli angoli me­ravigliosi, ma Il mondo ha perso molta della sua ‘naturale bellezza’. Spesso le Immagini che riportiamo dai nostri viaggi, parlano invece di miseria e distruzione ambientale. Soprattutto I vari Paesi hanno perso ormai completamente la loro diversità. In un mondo votato alla monocultura, cerchiamo angoli dove ancora sussista Il diverso e Il genuino e talvolta abbiamo l’impressione di scoprirli. Riusciamo a cogliere gli ultimi bagliori di società morenti e un po’ contribuiamo alla loro morte. O raggiungiamo «paradisi. da poco scoperti, sapendo che presto diventeranno preda dell’industria turistica. Fermiamo in immagini il folclore di dubbia genuinità e la miseria sicuramente D.O.C., e fingiamo di non vedere che questi paesi rincorrono ciò che noi abbiamo lasciato o forse fuggito, che imitano l’occidente ma spesso nei suoi aspetti più deteriori e banali, perché sono i soli che gli è dato di conoscere o che possono permettersi.
Perchè viaggiamo allora? Perché viaggiamo se solo talvolta riusciamo ad accostarci alla bellezza e sempre più raramente alla diversità? Non certo per relax o per ritemprarci da un anno di lavoro, visto che spesso torniamo dal viaggio più affaticati che mai e bisognosi di un periodo di «vera, vacanza.
Le risposte possibili sono molte. Si viaggia per curiosità, ma anche per noia; per fuggire dalle nevrosi (illusione!), ma anche per routine; per incanalare l’inquietudine in sostituzione di miti crollati, ma anche perchè è «in.; per conoscere, ma anche per poter dire – lo ci sono stato – e accrescere la collezione di diapo e oggetti ricordo; per vivere emozioni nuove, ma anche per costruirsi una memoria del proprio passato; per la gioia di partire.., e per quella di tornare.
Se molti di questi motivi probabilmente giocano un loro ruolo nelle motivazioni che ci spingono, però c’è anche altro. Quest’altro è l’AVVENTURA. Ma come, non era morta? No, è solo più difficile da vivere, sepolta com’è da stereotipi, falsi bisogni, eccesso di offerte e proposte. Cerchiamo allora di riappropiarcene. A questo proposito consiglio, soprattutto a insegnanti ed educatori la lettura di una raccolta di saggi dal titolo Linee di fuga. L’avventura nella formazione umana, a cura di R. Massa. Questo libro focalizza l’attenzione sull’avventura come dimensione formativa dell’adolescente. Ma in fondo chi è disponibile alla ricerca e alla scoperta è sempre un po’ adolescente.
L’avventura dunque è stata banalizzata, ma il bisogno profondo di andare oltre il conosciuto, è sempre stato un’esigenza e continua ad esserlo per noi come specie e come singoli individui.
Un bisogno forte soprattutto nell’adolescente, dove, se non trova spazio per manifestarsi, rischia di diventare ricerca di emozioni proibite, fuga nella droga o nella violenza. Purtroppo per l’adolescente di oggi è, come per noi adulti, più difficile liberare l’avventura. Da ragazzina mi bastava una capanna di frasche e subito era avventura. La mia geografia dei paesi extraeuropei si è ampiamente nutrita dei libri di Defoe, Kipling, Conrad, Salgari (e la versione televisiva di Sandokan è stata ben misera rispetto alle immagini che quei libri erano riusciti a evocare).
I miei primi sogni dl viaggi veri, sono nati guardando le splendide e allora Incredibili foto pubblicate da Bonattl negli inserti di Epoca, che ancora religiosamente conservo.
Oggi all’infinlto sono stati dati confini precisi, la siepe è scomparsa ed è difficile immaginare al di là di essa “interminati spazi..”
Pochi ragazzi hanno oggi la possibilità di costruirsi una capanna di frasche; i classici. dell’avventura hanno perso molto del loro potere evocativo, se rapportati a film di più semplice e immediata fruizione, dove tutta una serie di effetti speciali trasformano l’avventura In fantascienza; anche le Imprese di Bonattj rilette oggi, ci sembrano poca cosa se confrontate al sistematico superamento di traguardi impossibili da parte di Individui supersponsorizzati.
Se l’avventura è una componente basilare dell’adolèscenza, ha però anche una potenzialità esistenziale nell’adulto, per interrompere (non necessariamente per fuggire) la routine quotidiana e, forse, tornarvi con un atteggiamento nuovo e per instaurare rapporti su una base diversa rispetto a quelli famiglia-lavoro in cui spesso siamo costretti.
Che cos’è dunque l’AVVENTURA per un adulto? Ml limiterò all’analisi dell’avventura come viaggio, ma naturalmente ci sono altri campi in cui può manifestarsi.
L’avventura è un percorso interiore e non solo esteriore, mentale e non solo fisico. Avventura è come si vive un evento, anche se semplice, è disponibilità verso dà che può avvenire, è andare oltre il conosciuto (riferendosi in questo caso a quello dell’individuo). L’avventura cambia a secondo del contesti sociali, culturali e geografici, a seconda dell’età e degli interessi, i suoi paesaggi possono essere metropolitani o desertici, vicini o lontani. Non consiste nella pericolosità del percorso (e poi chi ha detto che è più pericolosa la giungla amazzonica di Central Park?). Non è impresa sportiva al limite delle possibilità umane. Non è survival a tutti i costi, tentativo a volte patetico dl eludere tutti i comfort
a nostra disposizione. Questi sono test delle proprie capacità e della propria resistenza. L’avventura è, come nell’accezione romantica, Grand Tour per conoscere il mondo e verificare i propri valori, il che non ha molto da spartire con il survval e l’exploit sportivo. Ognuno deve potersi scegliere il tipo di avventura che più gli interessa e la quota di difficoltà che è in grado di affrontare. Sicuramente l’avventura solitaria, su itinerari insoliti e difficili, mette più alla prova l’individuo, permette scoperte che colpiscono maggiormente l’immaginazione, anche se questo non sempre equivale a una percezione più profonda della realtà. Ma anche un’avventura parzialmente mediata e vissuta in gruppo può permettere altrettanto validi itinerari di conoscenza, anche se forse meno eclatanti.
Dall’analisi dell’avventura passiamo allora a quella di A.M.
A.M. è riuscita a inventare una formula in cui la mediazione di un’organizzazione non cancella l’avventura, almeno per chi è disposto a viverla. Con un tocco di genio ha fatto del non garantito un’attrazione (anche se lo «scomfort», come qualcuno l’ha chiamato, non deve diventare lo scopo del viaggio, e questo non è sempre chiaro a tutti), il non volersi garantire tutto, il non avere una rigida tabella di marcia, ma un itinerario flessibile, il lasciare spazio all’imprevisto che non di rado può spalancare una finestra su un angolo di mondo, sono tutti elementi che dan­no consistenza all’avventura. E anche le «disavventure. di cui si leggono lettere ai vetriolo sul giornalino, non sono che l’inevitabile altra faccia della medaglia. Perchè viaggiare con A.M. significa dare da parte di tutti il proprio apporto, colmare le lacune di capigruppo non professionisti, non avere la sicurezza di dove si passerà la notte.
Ovviamente l’avventura non è automatica e garantita nel prezzo del biglietto, ma sta ad ognuno di noi costruirla e viverla, essere viaggiatori e non turisti.
Torniamo allora a sognare il viaggio. Leggiamo non solo guide e itinerari, ma anche romanzi e saggi che più sono in grado di portarci dentro la realtà di un paese, di evocare immagini, che, se anche poi dovessero essere ridimensionato nel raffronto con la realtà, meglio ci permetteranno dl capire i cambiamenti o gli sconvolgimenti.
Cerchiamo di vivere il viaggio con un atteg­giamento di apertura, con occhi capaci di vedere al di là dell’immagine, soprattutto oltre l’obiettivo della macchina fotografica. Rinunciamo a ritmi di viaggio troppo serrati, per lasciare tempo alla scoperta personale, come giustamente mi suggeriva una compagna di viaggio, che disperatamente aspirava a quel «tempi morti. che io facevo del mio meglio per eliminare. Cerchiamo un confronto vero con chi incontriamo durante il viaggio, riuscendo così a ridimensionare e relativizzare noi stessi, il nostro mondo e i nostri valori. Diamo di noi un’immagine non deteriore, soprattutto nei paesi poveri, dove spesso siamo, più o meno consapevolmente, oggetto di imitazione. Limitiamo quindi i gadgets egli ultimi ritrovati tecnicistici, ritrovando il piacere di farci bastare, almeno ogni tanto, l’essenziale (tra l’altro riscopriremo sensazioni dimenticate e al ritorno apprezzeremo il nostro superfluo). Non lanciamoci nello shopping sfrenato o ancor peggio nel baratto, teorizzato talvolta nelle stesse relazioni di viaggio, dei feticci della nostra civiltà, dai jeans alle T-shirts. Non spendiamo in un solo giorno ciò che in alcuni paesi è lo stipendio di un mese. Può sembrare una giustificazione dell’avarizia, ma forse è meglio regalare un sorriso e una parola, piuttosto che distribuire mance eccessive ed elemosine. Ritroviamo la soddisfazione di conquistare qualcosa con un po’ di sforzo, senza scegliere sempre la via più semplice e diretta. E last but not least, viviamo anche l’avventura umana del gruppo con curiosità, tolleranza e spirito d’adattamento, trasformando così in positivi anche gli aspetti potenzialmente negativi del viaggio in gruppo. In fondo basta una sola parola: rispetto, rispetto per chi viaggia con noi e per chi incontriamo lungo la strada.
A tutti allora, compagni di viaggio, un arrivederci alla prossima AVVENTURA!

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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