Elemosine e dignità
Lascio la Dancalia, la torrida depressione salata nell’oriente del l’Etiopia che solo da poco si è aperta al turismo, e risalgo la scarpata per raggiungere l’aria sottile e frizzante dell’altopiano. Mi ricollego all’itinerario della rotta storica, che invece è ormai da anni inserito in molti circuiti turistici. E’ sufficiente accostare a bordo strada per scattare una foto allo splendido scenario di vallate e terrazzamenti che mi si apre davanti perché frotte di bambini mi corrano incontro tendendo le mani. “You, you”, “ferengi”, “birr”, “give me pen”: le richieste di elemosina, sporadiche in Dancalia, qui si fanno assillanti. Inevitabile riflettere sull’impatto del turismo. Inevitabile sentirsi sempre comunque a disagio, qualsiasi comportamento si adotti.
I bambini mendicano una penna, una maglietta, una bottiglia, dei soldi. Una cosa qualunque, anche se inutile. E se ci si azzarda a regalare qualcosa, scoppia una breve lotta per accaparrarsi l’oggetto del desiderio, con l’inevitabile prevalere del più forte. Qui la richiesta di denaro non è come nel sud del paese il compenso ormai “istituzionalizzato” per poter scattare una foto, un atteggiamento giustificabile visto che da vendere hanno solo i propri corpi dipinti, scarificati, adornati e trasformati in opere d’arte e che noi siamo lì proprio per vederli. Qui non c’è scambio, questi bambini non chiedono una ricompensa per un servizio prestato e la loro non assomiglia neppure alla richiesta d’elemosina da parte di un mendicante. L’elemosina, che si chiami carità, come nella tradizione cristiana, o “zakat”, uno dei pilastri dell’islam, è una pratica comune a tutte le maggiori religioni per ridistribuire la ricchezza. Ma in quel caso rientra in un ambito tradizionale e socialmente accettato, come succede per i mendicanti in India. Qui, come avviene in molti paesi poveri toccati dal turismo, la richiesta d’elemosina si trasforma in un atteggiamento diffuso, una richiesta assillante rivolta ai soli “ferengi”, gli stranieri di passaggio. Un’elemosina che di fatto consolida i rapporti di disparità, forse toglie qualche senso di colpa a noi che la diamo, certo fa perdere in dignità a chi la chiede senza risolvere la loro povertà.
Non c’è una regola di comportamento che possa andar bene ovunque. Nella stessa Etiopia a nord, sud e a est ci sono situazioni e atteggiamenti diversi da parte della popolazione locale e sta alla sensibilità di ogni viaggiatore scegliere come comportarsi. Mi tornano però alla mente le parole scritte su un cartello all’ingresso di un tempio in Nepal e le getto sul tavolo, come spunto di riflessione: “Save our selfesteem, don’t encourage begging”, “aiutaci a mantenere la nostra autostima, non incoraggiare l’elemosina”. Un concetto che non dovremmo mai dimenticare quando avviciniamo una persona povera, sia bambino del terzo mondo sia un immigrato nel primo mondo.
Pubblicato su il reporter– Parole Nomadi
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DA F.B.
Ilaria : molto bella questa riflessione Anna. un abbraccio.
Paola : “aiutaci a mantenere la nostra autostima, non incoraggiare l’elemosina”…..ma come resistere agli sguardi dei bambini?
Antonella : io mi sono spesso trovata a riflettere su questi temi. A me personalmente mette a disagio il dare a un singolo, mi sembra di ostentare, preferisco dare a un riferimento locale che possa utilizzare ciò che arriva in modo equo. E rimanere nell’anonimato in questo cercando invece un contatto vero, un sorriso, due parole (compatibilmente con la lingua)….. ma non so forse è un problema mio…
laura (Raya)
UN UOMO HA IL DIRITTO DI GURDARNE UN ALTRO DALL’ALTO IN BASSO SOLAMENTE QUANDO DEVE AIUTARLO AD ALZARSI
G.G.Marquez
laura (Raya)
…quel senso di libertà e dignità che nasce dall’incertezza , dal dubbio, dall’umiltà, dalla semplicità che consente di porsi davanti a un’altra persona con rispetto.
(da “Conversazioni con Marcello Bernardi”)
A.M.
grazie delle vostre riflessioni, tutte vere. Forse come sempre qualsiasi cosa si faccia l’importante è il rispetto per l’altro.
patrizia
Ho letto quanto hai scritto alla voce “Elemosina” e direi che sposa appieno lo spirito della nostra discussione e, soprattutto, getta un seme di riflessione che certo non fa male a chi si mette in viaggio.