Il fascino nascosto della Mongolia
Partire / Sperando / Di non arrivare mai. / E’ questo il viaggio / Infinito.
Anonimo mongolo
Guardo scorrere sul monitor del computer le foto scattate in Mongolia: colori puri e paesaggi sconfinati, difficili da racchiudere dentro la cornice di uno schermo. Così come mi trovo a corto di parole nel raccontare il paese. Forse perché a un primo sguardo la Mongolia sembra offrire poco da fare e poco da vedere. Una sensazione di disorientamento che provano un po’ tutti, anche i viaggiatori più sensibili, comunque abituati a programmi con tappe definite e siti da visitare. L’impressione è quella di andare senza una meta, scegliendo a caso una delle innumerevoli piste che si incrociano e si perdono all’infinito.
Cosa offre allora di così speciale la Mongolia per giustificare la fatica di un viaggio in questo paese immenso, con lunghi tempi di percorrenza e un clima estremo che solo durante la breve estate concede temperature sopportabili? Le immagini che scorrono sullo schermo del computer risvegliano nella mia mente il ricordo di stupendi paesaggi lunari, di vallate che sembrano idilliaci scorci di paradiso e di cordoni di dune che si rincorrono all’orizzonte. Certo, qui il deserto non ha le dimensioni cui sono abituati molti di noi, anestetizzati dai ricordi di tanti altrove. Straordinario è però il gioco di contrasti fra la sabbia bianchissima, le montagne scure sullo sfondo e alla base un prato verde alimentato da un’improbabile sorgente, con mucche e cammelli al pascolo. Sembra un fotomontaggio che mescola un angolo di Sahara a un alpeggio svizzero.
La Mongolia, lasciata Ulaan Baatar dove si concentra oltre un terzo della popolazione, è per larga parte un grande spazio vuoto coperto dal mare d’erba della steppa o da infinite spianate di sassi. L’occhio non sa dove appoggiarsi, intorno solo terra e cielo e un orizzonte circolare così ampio che sembra di percepire la rotondità del globo. Il tutto avvolto da un profondo silenzio interrotto solo dal rumore del vento. Non ci sono barriere né recinti. Nessuna segnalazione, rare le strade e pochissime quelle asfaltate. La terra appartiene a tutti e nelle gher, le tipiche tende circolari dei nomadi, si entra senza bussare. Cosa ci può essere di più alieno di un siffatto paese per noi che passiamo le nostre giornate in ambienti artificiali e rumorosi, circondati dal superfluo, chiusi dentro case, uffici e automobili? Noi che viviamo in un continuum di città e paesi cementificati e attraversati da nastri d’asfalto? La Mongolia è una nazione immensa e vuota di gente. Pur essendo grande cinque volte l’Italia, il numero degli abitanti è venti volte inferiore e la densità è la più bassa al mondo. Non male per chi è alla ricerca di un altrove!
Se gli abitanti sono pochi, la fauna è invece abbondante, con un rapporto numerico di uno a venticinque, solo riferendosi agli animali d’allevamento. Una fauna che ci è abbastanza familiare, visto che condividiamo con la Mongolia il parallelo 45 dello stesso emisfero. A parte alcuni incontri con specie selvatiche, dai takhi, i progenitori del cavallo, ai branchi di gazzelle, si vedono soprattutto greggi di pecore, capre e cavalli ma anche yak e cammelli battriani, quelli “veri”, con due gobbe. Ne deriva che l’elemento forse più diffuso, mi si passi l’ineleganza, sia lo sterco. In mongolo esiste un nome proprio per definirne ogni varietà, da quella umana a quella dei diversi animali, forse perché ha un diverso potere di combustione e quindi, visto che spesso è il solo combustibile disponibile, c’è una prima e una seconda scelta…
Dove ci sono gli animali non lontano appaiono sempre una o due gher perse nel mezzo del nulla. Ci vivono nuclei familiari autosufficienti, ma non isolati come un tempo. Sempre più spesso all’esterno, accanto al cavallo, è parcheggiata una moto. E poco discosto un pannello solare dà energia alla grande parabolica che porta anche in questo sperduto angolo di mondo immagini di una realtà lontana e aliena. Per quanto tempo questi nomadi dai volti aperti e sorridenti, con un cappello da cowboy, stivaloni di cuoio e la tunica tradizionale stretta in vita da una fascia di seta, sapranno resistere alla seduzione della città e dei suoi beni di consumo? Il dialogo con loro è difficile e necessariamente filtrato da un’interprete, ma i sorrisi sono sinceri e l’ospitalità spontanea e sobria, come ormai sopravvive solo fra popolazioni nomadi e isolate.
Lungo le piste si incontra ogni tanto un ovoo, un mucchio di pietre con legata qualche sciarpa di seta blu, a indicare un luogo sacro dove sostare e ringraziare il padre cielo e la madre terra, divinità che forse ancor più del lamaismo incarnano la spiritualità tradizionale. Poche le altre testimonianze del passato, perché la Mongolia è da sempre terra di nomadi e si sa che i nomadi camminano leggeri senza lasciare tracce. La loro storia è fatta soprattutto di leggende e tradizioni. Purtroppo proprio le tradizioni più profonde, dalla religione all’alfabeto fino agli stessi patronimici e discendenze, sono state cancellate dai lunghi anni di comunismo filosovietico. Impossibile, come scrive Ilaria Maria Sala nel suo “Il dio dell’Asia”, ricuperare un’identità irrimediabilmente perduta, proiettarsi indietro di settant’anni, quando il paese era una specie di monarchia teocratica, per vedere che cosa esumare e che cosa invece abbandonare per sempre. Per riannodare i fili spezzati non basta “riabilitare”, dopo l’ostracismo sovietico, Chinggis Khan, mettendo la sua effige ovunque, dalle bottiglie di birra alle banconote.
Più che lo svolgersi della storia, viaggiando in Mongolia si percepisce il ripetersi del tempo, l’alternarsi del giorno con la notte, l’avvicendarsi dell’estate con l’inverno, l’arrivo della stagione degli accoppiamenti, poi della tosatura e delle nascite. E’ il ritmo della vita, quello che noi, nel giro di poche generazioni, abbiamo dimenticato. La Mongolia, come il deserto o il mare, può apparire monotona al viaggiatore distratto, al turista sempre ansioso di novità e di facili stupori, ma sa regalare momenti di grande bellezza e, forse soprattutto, la libertà degli spazi immensi. Un paese dove è davvero andando che si fa la strada. Un paese spiazzante, ma capace di sedurre.
A.M.
Pubblicato su il reporter
Enrico
Anna nessuno ti aveva mai domandato, prima che tu andassi in Mongolia, perchè non eri ancora andata in Mongolia? Basta guardare la storia millenaria di questo popolo, le sue conquiste, i suoi condottieri, le sue tradizioni, le sue arti diffuse fino alle frontiere d’Europa per domandarsi come mai non ci è ancora andati.
A.M.
Sì Enrico, me l’avevano chiesto… per due volte stavo per partire e ho dovuto annullare la partenza per motivi familiari o perchè ho dovuto cambiare direzione (mi avevano proposto di scrivere una guida sulla Bolivia). Incominciavo a pensare che forse non ci dovevo andare, bisogna leggere anche i segni del destino. Ma in realtà anche allora non era tanto la storia che mi attirava, ma gli spazi… e le tradizioni … purtroppo i lunghi anni di influenza sovietica hanno cancellato moltissimo.
Tatiana
Probabilmente ogni nazione ha il suo carattere, la sua anima, come sono quelli dei mongoli?
A.M.
la prima imamgine che mi viene in mente per rispondere a Tatiana è che l’anima dei mongoli è leggera, come quella di tutti i popoli nomadi…
gianni
bellissimo articolo sulla Mongolia. Condivido tutto e sono molto contento che ti sia piaciuta la mia “leggera” dedica sul quadernetto di disegni! Ho legato anch’io, laggiù, il mio “Hattak” (la striscia azzurra , dovrebbe chiamarsi così) comperato al mercato di un paesetto, assieme a tutti gli altri, in un “ovoo” bellissimo, sferzato da un vento impietoso. Più in alto che ho potuto…
A.M.
sì Sara e per fare una foto ho rischiato “grosso”…
Sara
Anna ma anche a te in Mongolia è capitato di dover camminare guardando in terra, senza poter ammirare cieli e distese di terra, perchè troppo impegnata a non pestare le cacche?? Ah ah ah ah
laura
Anna,
bellissimo il tuo racconto sulla Mongolia, mi ha fatto venire voglia di andarci, anche per una come me sempre troppo assetata di cose da vedere e da fare….
Grazie Anna per farci e soprattutto farmi sognare con le tue parole e immagini ;-)))
laura
Dima
Hai fatto bene a ricordare il “Dio dell’Asia” un libro che a me ha finalmente spiegato molte cose, in modo semplice e chiaro. Ilaria Maria Sala non parla solo di Mongolia, ma si vede che conosce e ama molto questo paese.
Io ci sono stata due anni fa ed era una meta che avevo in mente da tempo. Nonostante questo, i primi giorni sono stati un po’ difficili, lo ammetto… confermo il disorientamento di cui parli. E’ un paese che devi capire lentamente ma che poi forse poi anche per questo ti affascina e ti coinvolge profondamente e a lungo. La gente così dignitosa, timida e generosa, mi è sembrato ancora un contatto sincero. A distanza di tempo mi trovo a ripensare a quegli spazi infiniti, a quei colori, alla profondità di quel silenzio che lascia posto ai pensieri.
alessandro tosini
Ciao Anna, è un pò che non ci sentiamo, però questo tuo articolo sulla mongolia ha risvegliato in me i ricordi di questo bellissimo paese e condivido dalla prima all’ultima le tue parole.
Per me Mongolia vuol dire libertà degli spazi infiniti, e ognuno di noi nella propria vita lo dovrebbe visitare, per rendersi conto di cosa è veramente l’uomo al confronto della natura e per riempirsi il cuore di sensazioni bellissime.
Buona strada
Alessandro
A.M.
grazie amici per le belle parole. Credo che la Mongolia, per chi è capace di ascoltare, sia un ottimo rimedio alla bulimia da viaggio.
E bello, Alessandro, averti ritrovato dopo tempo qui sul blog, buona strada anche a te da tutti gli amici di cantù!
Paolo
…le tue parole sono importanti, quello che hai scritto sulla Mongolia mi è rimasto… un abbraccio e a presto paolo