Racconti di Viaggio

Il fascino nascosto della Mongolia

on
07/10/2009

Partire / Sperando / Di non arrivare mai. / E’ questo il viaggio / Infinito.
Anonimo mongolo

Guardo scorrere sul monitor del computer le foto scattate in Mongolia: colori puri e paesaggi sconfinati, difficili da racchiudere dentro la cornice di uno schermo. Così come mi trovo a corto di parole nel raccontare il paese. Forse perché a un primo sguardo la Mongolia sembra offrire poco da fare e poco da vedere. Una sensazione di disorientamento che provano un po’ tutti, anche i viaggiatori più sensibili, comunque abituati a programmi con tappe definite e siti da visitare. L’impressione è quella di andare senza una meta, scegliendo a caso una delle innumerevoli piste che si incrociano e si perdono all’infinito.

Cosa offre allora di così speciale la Mongolia per giustificare la fatica di un viaggio in questo paese immenso, con lunghi tempi di percorrenza e un clima estremo che solo durante la breve estate concede temperature sopportabili? Le immagini che scorrono sullo schermo del computer risvegliano nella mia mente il ricordo di stupendi paesaggi lunari, di vallate che sembrano idilliaci scorci di paradiso e di cordoni di dune che si rincorrono all’orizzonte. Certo, qui il deserto non ha le dimensioni cui sono abituati molti di noi, anestetizzati dai ricordi di tanti altrove. Straordinario è però il gioco di contrasti fra la sabbia bianchissima, le montagne scure sullo sfondo e alla base un prato verde alimentato da un’improbabile sorgente, con mucche e cammelli al pascolo. Sembra un fotomontaggio che mescola un angolo di Sahara a un alpeggio svizzero.

La Mongolia, lasciata Ulaan Baatar dove si concentra oltre un terzo della popolazione, è per larga parte un grande spazio vuoto coperto dal mare d’erba della steppa o da infinite spianate di sassi. L’occhio non sa dove appoggiarsi, intorno solo terra e cielo e un orizzonte circolare così ampio che sembra di percepire la rotondità del globo. Il tutto avvolto da un profondo silenzio interrotto solo dal rumore del vento. Non ci sono barriere né recinti. Nessuna segnalazione, rare le strade e pochissime quelle asfaltate. La terra appartiene a tutti e nelle gher, le tipiche tende circolari dei nomadi, si entra senza bussare. Cosa ci può essere di più alieno di un siffatto paese per noi che passiamo le nostre giornate in ambienti artificiali e rumorosi, circondati dal superfluo, chiusi dentro case, uffici e automobili? Noi che viviamo in un continuum di città e paesi cementificati e attraversati da nastri d’asfalto? La Mongolia è una nazione immensa e vuota di gente. Pur essendo grande cinque volte l’Italia, il numero degli abitanti è venti volte inferiore e la densità è la più bassa al mondo. Non male per chi è alla ricerca di un altrove!

Se gli abitanti sono pochi, la fauna è invece abbondante, con un rapporto numerico di uno a venticinque, solo riferendosi agli animali d’allevamento. Una fauna che ci è abbastanza familiare, visto che condividiamo con la Mongolia il parallelo 45 dello stesso emisfero. A parte alcuni incontri con specie selvatiche, dai takhi, i progenitori del cavallo, ai branchi di gazzelle, si vedono soprattutto greggi di pecore, capre e cavalli ma anche yak e cammelli battriani, quelli “veri”, con due gobbe. Ne deriva che l’elemento forse più diffuso, mi si passi l’ineleganza, sia lo sterco. In mongolo esiste un nome proprio per definirne ogni varietà, da quella umana a quella dei diversi animali, forse perché ha un diverso potere di combustione e quindi, visto che spesso è il solo combustibile disponibile, c’è una prima e una seconda scelta…

Dove ci sono gli animali non lontano appaiono sempre una o due gher perse nel mezzo del nulla. Ci vivono nuclei familiari autosufficienti, ma non isolati come un tempo. Sempre più spesso all’esterno, accanto al cavallo, è parcheggiata una moto. E poco discosto un pannello solare dà energia alla grande parabolica che porta anche in questo sperduto angolo di mondo immagini di una realtà lontana e aliena. Per quanto tempo questi nomadi dai volti aperti e sorridenti, con un cappello da cowboy, stivaloni di cuoio e la tunica tradizionale stretta in vita da una fascia di seta, sapranno resistere alla seduzione della città e dei suoi beni di consumo? Il dialogo con loro è difficile e necessariamente filtrato da un’interprete, ma i sorrisi sono sinceri e l’ospitalità spontanea e sobria, come ormai sopravvive solo fra popolazioni nomadi e isolate.

Lungo le piste si incontra ogni tanto un ovoo, un mucchio di pietre con legata qualche sciarpa di seta blu, a indicare un luogo sacro dove sostare e ringraziare il padre cielo e la madre terra, divinità che forse ancor più del lamaismo incarnano la spiritualità tradizionale. Poche le altre testimonianze del passato, perché la Mongolia è da sempre terra di nomadi e si sa che i nomadi camminano leggeri senza lasciare tracce. La loro storia è fatta soprattutto di leggende e tradizioni. Purtroppo proprio le tradizioni più profonde, dalla religione all’alfabeto fino agli stessi patronimici e discendenze, sono state cancellate dai lunghi anni di comunismo filosovietico. Impossibile, come scrive Ilaria Maria Sala nel suo “Il dio dell’Asia”, ricuperare un’identità irrimediabilmente perduta, proiettarsi indietro di settant’anni, quando il paese era una specie di monarchia teocratica, per vedere che cosa esumare e che cosa invece abbandonare per sempre. Per riannodare i fili spezzati non basta “riabilitare”, dopo l’ostracismo sovietico, Chinggis Khan, mettendo la sua effige ovunque, dalle bottiglie di birra alle banconote.

Più che lo svolgersi della storia, viaggiando in Mongolia si percepisce il ripetersi del tempo, l’alternarsi del giorno con la notte, l’avvicendarsi dell’estate con l’inverno, l’arrivo della stagione degli accoppiamenti, poi della tosatura e delle nascite. E’ il ritmo della vita, quello che noi, nel giro di poche generazioni, abbiamo dimenticato. La Mongolia, come il deserto o il mare, può apparire monotona al viaggiatore distratto, al turista sempre ansioso di novità e di facili stupori, ma sa regalare momenti di grande bellezza e, forse soprattutto, la libertà degli spazi immensi. Un paese dove è davvero andando che si fa la strada. Un paese spiazzante, ma capace di sedurre.

A.M.

Pubblicato su il reporter

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12 Comments
  1. Rispondi

    Enrico

    07/10/2009

    Anna nessuno ti aveva mai domandato, prima che tu andassi in Mongolia, perchè non eri ancora andata in Mongolia? Basta guardare la storia millenaria di questo popolo, le sue conquiste, i suoi condottieri, le sue tradizioni, le sue arti diffuse fino alle frontiere d’Europa per domandarsi come mai non ci è ancora andati.

  2. Rispondi

    A.M.

    08/10/2009

    Sì Enrico, me l’avevano chiesto… per due volte stavo per partire e ho dovuto annullare la partenza per motivi familiari o perchè ho dovuto cambiare direzione (mi avevano proposto di scrivere una guida sulla Bolivia). Incominciavo a pensare che forse non ci dovevo andare, bisogna leggere anche i segni del destino. Ma in realtà anche allora non era tanto la storia che mi attirava, ma gli spazi… e le tradizioni … purtroppo i lunghi anni di influenza sovietica hanno cancellato moltissimo.

  3. Rispondi

    Tatiana

    14/10/2009

    Probabilmente ogni nazione ha il suo carattere, la sua anima, come sono quelli dei mongoli?

  4. Rispondi

    A.M.

    14/10/2009

    la prima imamgine che mi viene in mente per rispondere a Tatiana è che l’anima dei mongoli è leggera, come quella di tutti i popoli nomadi…

  5. Rispondi

    gianni

    18/10/2009

    bellissimo articolo sulla Mongolia. Condivido tutto e sono molto contento che ti sia piaciuta la mia “leggera” dedica sul quadernetto di disegni! Ho legato anch’io, laggiù, il mio “Hattak” (la striscia azzurra , dovrebbe chiamarsi così) comperato al mercato di un paesetto, assieme a tutti gli altri, in un “ovoo” bellissimo, sferzato da un vento impietoso. Più in alto che ho potuto…

  6. Rispondi

    A.M.

    20/10/2009

    sì Sara e per fare una foto ho rischiato “grosso”…

  7. Rispondi

    Sara

    20/10/2009

    Anna ma anche a te in Mongolia è capitato di dover camminare guardando in terra, senza poter ammirare cieli e distese di terra, perchè troppo impegnata a non pestare le cacche?? Ah ah ah ah

  8. Rispondi

    laura

    23/10/2009

    Anna,
    bellissimo il tuo racconto sulla Mongolia, mi ha fatto venire voglia di andarci, anche per una come me sempre troppo assetata di cose da vedere e da fare….
    Grazie Anna per farci e soprattutto farmi sognare con le tue parole e immagini ;-)))
    laura

  9. Rispondi

    Dima

    24/10/2009

    Hai fatto bene a ricordare il “Dio dell’Asia” un libro che a me ha finalmente spiegato molte cose, in modo semplice e chiaro. Ilaria Maria Sala non parla solo di Mongolia, ma si vede che conosce e ama molto questo paese.
    Io ci sono stata due anni fa ed era una meta che avevo in mente da tempo. Nonostante questo, i primi giorni sono stati un po’ difficili, lo ammetto… confermo il disorientamento di cui parli. E’ un paese che devi capire lentamente ma che poi forse poi anche per questo ti affascina e ti coinvolge profondamente e a lungo. La gente così dignitosa, timida e generosa, mi è sembrato ancora un contatto sincero. A distanza di tempo mi trovo a ripensare a quegli spazi infiniti, a quei colori, alla profondità di quel silenzio che lascia posto ai pensieri.

  10. Rispondi

    alessandro tosini

    24/10/2009

    Ciao Anna, è un pò che non ci sentiamo, però questo tuo articolo sulla mongolia ha risvegliato in me i ricordi di questo bellissimo paese e condivido dalla prima all’ultima le tue parole.
    Per me Mongolia vuol dire libertà degli spazi infiniti, e ognuno di noi nella propria vita lo dovrebbe visitare, per rendersi conto di cosa è veramente l’uomo al confronto della natura e per riempirsi il cuore di sensazioni bellissime.
    Buona strada
    Alessandro

  11. Rispondi

    A.M.

    25/10/2009

    grazie amici per le belle parole. Credo che la Mongolia, per chi è capace di ascoltare, sia un ottimo rimedio alla bulimia da viaggio.
    E bello, Alessandro, averti ritrovato dopo tempo qui sul blog, buona strada anche a te da tutti gli amici di cantù!

  12. Rispondi

    Paolo

    25/11/2009

    …le tue parole sono importanti, quello che hai scritto sulla Mongolia mi è rimasto… un abbraccio e a presto paolo

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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