Il Turista Nudo
Lawrence Osborne, Il Turista Nudo, Adelphi 2006, €.19,00
Lawrence Osborne, scrittore inglese, collabora con riviste americane di viaggio, ne trae guadagno e quindi, come lui stesso ammette, ha una lunga collusione con il turismo globale.
Il postulato in prima pagina è quello che dimostrerà lungo tutto il racconto del suo viaggio: “Il problema del viaggiatore moderno è che non sa più dove andare. Ormai l’intero pianeta è diventato un’istallazione turistica, e ovunque si vada resta in bocca il saporaccio del simulacro”. Teorizzatore dell’ovunquismo: “tutto è uguale a tutto e tutto è molto noioso” e della morte dell’avventura: “la dimensione interiore dell’avventura ce la si può proprio scordare”. Quelli della LP sono definiti ‘bacchettoni’, il National Geographic ‘increscioso’, i turisti…beh, andiamo oltre. In realtà anche lui si comporta da ‘turista’, a parte l’avventura da ‘esploratore’ in Papua, ma non si riconosce nella categoria.
Decide di partire ma non sa dove andare. Cerca qualcosa di esotico, l’ultima frontiera e sceglie la l’isola di Papua Nuova Guinea. Motivo: “Ci sono pochissime «attrazioni». La malaria encefalica è endemica. Nelle foreste infuria la guerra civile… Per tutte queste ragioni Papua esercitava su di me, un’attrazione irrefrenabile”.
Ha una tesi e vuole dimostrarla. Smonta il viaggio aereo facendo una serie di soste tutte funzionali al suo postulato “Il viaggio è morto”, ovunque invariabilmente optando per gli stereotipi del turismo più di lusso che di massa.
Prima si ferma a Dubai, con la sua ricchezza sfacciata, i suoi complessi avveniristici e artificiosi oltre che artificiali, e il nuovo centro commerciale a imitazione perfetta di un suk tradizionale. Poi vola a Calcutta, città sporca e caotica, dove la natura è cancellata dalla folla: ancora una volta è agli antipodi della giungla, la sua ultima frontiera. Sembra avvicinarvisi andando “per caso” alle Andamane, ma le tribù Jarawa sono irraggiungibili e servono solo accrescere la voglia e il mito dei nativi di Papua. Quindi Bangkok, la mecca del turismo sessuale: anche qui la giungla, ma d’asfalto. Per lui è una sosta necessaria per rimettersi in forma prima di affrontare la giungla vera e di buon grado si sottopone alla disciplina salutista in lussuose SPA, altri luoghi agli antipodi di quel che l’aspetta in Papua. Per ultimo Bali, visto come paradiso artificioso ricreato secondo precise strategie turistiche.
Infine il grande salto alla volta di Papua. In aeroporto ci sono da una parte “orde” di turisti diretti a Bangkok e dall’altra lui e una decina di altri eroi che da uno squallido terminal minore partono alla volta dell’ignoto. Il suo gruppo è accomunato da motivazioni del tipo “odio le vacanze” “non sono neanche sicuro che mi piaccia viaggiare”. In realtà, come spesso accade, sembrano interessati soprattutto a se stessi.
Li aspettano sudore, sanguisughe, ragni enormi, umidità al 94% e pasti a base di panini alle larve, occhi di uccello, zampe di topo, pipistrelli e uova complete di feto. Il premio è l’incontro con un gruppo di nativi Kombaiche non aveva mai visto un bianco. E forse soprattutto “l’estasi di non stare morendo”.
La ricerca del suo cuore di tenebra è terminata. Un risultato l’ha ottenuto: è dimagrito di dieci chili (mentre nella lussuosa SPA nonostante gli sforzi era ingrassato) e ha scritto un libro intelligente che gli renderà parecchio. Può andarsene alle Hawaii e piazzarsi al costosissimo Hilton Waikoloa Village: tira le tende, ordina del sushi e si piazza per giorni davanti alla TV.
In fondo Osborne è sfortunato, perché per sfuggire la noia e per godere ha bisogno di mangiare larve e soffrire. Anche noi, lettori paganti e appartenenti alla categoria ‘turisti’ da lui denigrata, non siamo però immuni da una buone dose di masochismo e così lui, con ironia e intelligenza, fa soldi sulla nostra pelle.
Osborne è della stessa razza snob di Evelyn Waugh e anche dell’amato Chatwin, icona del viaggiatore. E a lui, come ai suoi due compatrioti, siamo disposti a perdonare tutto, perché è un vero narratore, capace di guardare e raccontare il mondo, la gente e anche se stesso, cogliendone i lati assurdi e divertenti.
A.M.