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15/01/2013

Sfogliando quest’album di volti, non posso che fare mie le parole dello scrittore Pino Cacucci quando sostiene che sono sempre gl’incontri con chi vive altrove a renderci la profondità, il clima e i sapori dei luoghi e che «da ogni viaggio sono tornato con il ricordo di qualcuno più che di qualcosa. Ho una conoscenza dei luoghi attraverso i racconti di uomini e donne incontrati lungo il cammino, e con gli occhi della memoria rivedo più facilmente le espressioni dei loro volti anziché le bellezze di tanti paesaggi».
Dopo un breve scalo a Dehli, il nostro aereo ci porta in Orissa, l’antica Kalinga, uno stato verde di risaie, palme e foreste, sulla costa orientale dell’India a sud del Bengala. Faticavo a nascondere al piccolo gruppo che accompagnavo una certa preoccupazione per il nostro viaggio, dovuta alla scarna documentazione che ero riuscita a raccogliere prima della partenza. Anche la mia guida sull’India, parte di una collana sempre affidabile e aggiornata, dedicava solo poche righe alle popolazioni tribali che intendevamo visitare. Ancora non sapevo che ci stava attendendo una guida davvero speciale e ben più esauriente di quel che si può trovare nelle pagine di un manuale: Srikant, un antropologo con una conoscenza non comune delle lingue e delle tradizioni delle tribù fra cui era cresciuto.

Più volte mi sono avvalsa di persone del luogo come guide, ma spesso più che facilitare l’incontro mediando fra le due culture, avevo la netta sensazione che mi stessero offrendo la loro personale e parziale rappresentazione della realtà o peggio, che stessero semplicemente cercando di assecondare le mie aspettative. Srikant invece, con grande tatto e naturalezza, ci ha introdotto fra le popolazioni tribali dell’Orissa, concedendoci il privilegio di condividere, come loro ospiti, indimenticabili momenti di festa e di celebrazione. A lui si addicono perfettamente le parole rivolte da Norman Lewis alla sua guida lungo il medesimo percorso: «Un bramino per sbaglio… un uomo di grandissima sensibilità che mi ha fatto vedere il suo paese sotto una luce nuova, un uomo con il quale non avrei chiesto di meglio se non di viaggiare insieme». (…)

Srikant, con la sua profonda cultura brahmanica e i suoi racconti, la sua grande attenzione e gentilezza, era riuscito ad aprirmi le porte dell’India intera. Era stata per me una sorta di iniziazione, non importava quante volte vi fossi già stata, perché l’India è un paese-continente così complesso e dalle radici così antiche, da riuscire di difficile comprensione anche dopo molti viaggi e letture.

Molti dei paesi che ho visitato hanno nei miei ricordi il volto delle persone che mi hanno accompagnato alla loro scoperta. In Laos, Somlit, l’esile e gentile insegnante di lingue che è stato la nostra guida preziosa nelle aree tribali. In India Raji, che al volante della sua Ambassador mi ha portato alla scoperta del sud del paese. In Pakistan, Taj, il ragazzo kalash pieno di interrogativi e curiosità e Murad, il giovane hunzakut da noi soprannominato “Forrest” per l’incredibile somiglianza con Tom Hanks (gli occhi verdi erano una gradita variante), che ci ha aperto le porte del suo meraviglioso paese. In Etiopia, Tilahun, giovane ahmara che non si era mai mosso da Lalibela e aveva imparato l’inglese da solo leggendo il dizionario: con il mio gruppo ha visto per la prima volta un lago, ha conosciuto il suo paese e ha realizzato il sogno di poter studiare e laurearsi. Ben, la guida marocchina che mi ha accompagnato nel deserto: colto e piacevolissimo conversatore, capace di coniugare devozione e liberalismo e di mostrarmi l’Islam sotto una luce nuova. In Venezuela El Gato pazzo come… un cavallo e dalla contagiosa allegria. Sull’altopiano boliviano, Rafael, mi amigo de l’alma, prodigo di racconti e suggerimenti. E Gonzalo con la sua splendida famiglia, capaci insieme di coniugare arte e aiuto a chi ha più bisogno. Eufronia, la mitica cuoca di ogni mio viaggio attraverso salar e lagune. Nel bassopiano boliviano Ennio, compagno di tante pazze avventure. Peto, erede dei primi abitanti di Rapa Nui, che a cavallo mi ha portato alla scoperta della sua isola. In Libia l’anziano Suliman, rispettata guida del deserto. Nel poverissimo Madagascar il giovane Daniel, attento e sensibile alla sua gente e a noi turisti. Nella remota regione di Homborì in Mali, Moussa, alpinista e poeta che ci ha fatto da guida per il trekking: tutti lo chiamano Giovanni Pascoli per il suo italiano perfetto e un poco antiquato, appreso da autodidatta leggendo i nostri scrittori dell’Ottocento. Partendo gli ho lasciato la mia amata t-shirt con stampato l’Infinito di Leopardi: era troppo adatta a quel ragazzo trentenne che al di là delle sue magnifiche montagne immagina e sogna il grande mondo e con tanta passione ne studia le lingue per poterlo in qualche modo avvicinare.

Con alcuni di loro l’incontro si è trasformato nel tempo in amicizia, con altri ci siamo solo sfiorati, ma il loro è il volto del paese che mi porto nel cuore.

A.M. (adattato da A come Avventura)

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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