Racconti di Viaggio

Iran, Approfondimenti su religione, storia e arte

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09/12/2010

La umma (nazione) musulmana, si estende dal Marocco all’Indonesia e comprende popolazioni estremamente diverse, come arabi e indiani, malesi e africani. Tutti si riconoscono nel Corano, il Libro rivelato, punto di riferimento religioso, giuridico e morale per un miliardo di persone. Tutti invocano Allah e Maometto suo profeta, si rivolgono alla Mecca per pregare Dio cinque volte al giorno, praticano l’elemosina, digiunano durante il Ramadhan e, se possibile, compiono il pellegrinaggio alla Mecca. Ma al di là di queste pratiche comuni, l’Islam ha molte facce: non esiste un’autorità religiosa centrale e la comunità dei credenti è frantumata fra Sunniti, Sciiti, Ismailiti, Drusi, Sufisti e altri gruppi minori, per non parlare della frammentazione politica. La prima frattura seguì immediatamente la morte di Maometto: la Scìa (setta) si oppose all’ortodossia islamica, o Sunna, riconoscendo come capo religioso e politico non il califfo, ma solamente Alì, cugino e genero del profeta, suo figlio Hussein e i loro discendenti. Da questa disputa sulla successione, seguì un sanguinoso scontro e quindi lotte, persecuzioni e ulteriori divisioni, con differenziazioni anche nel campo dottrinale. Pur appartenendo alla grande famiglia dell’Islam, gli Iraniani, che sono per l’85% Sciiti e per il 14% Sunniti, hanno tratto dalla precedente religione zoroastriana, l’impronta di tipo mistico-spirituale, dalle vicende storiche e dalle persecuzioni di cui furono oggetto, il fervore religioso, il senso del martirio e del lutto e la profonda fede negli Imam, le loro guide religiose carismatiche. Su questo terreno fertile, ha naturalmente attecchito facilmente la rivoluzione islamica di Khomeini, che ha cancellato l’occidentalizzazione parzialmente forzata dallo Scià, per ripristinare una società conservatrice e nazionalista, instaurando una repubblica islamica integralista retta dal clero. Oggi la grande maggioranza della popolazione è nata e cresciuta dopo la rivoluzione islamica e ne ha ovviamente assorbito i valori. Durante il mio viaggio, che ha coinciso con il Moharran, il mese di lutto per l’anniversario del martirio di Hussein, le strade delle città e dei villaggi, erano percorse da cupe processioni di uomini vestiti di nero, dai giovanissimi agli anziani, che marciavano quotidianamente al ritmo dei tamburi, pregando e flagellandosi con delle catenelle di ferro dette zandjir, mentre le donne facevano ala ai bordi delle strade, piangendo per la morte di Hussein, avvenuta nel 680 d.C.

Pure, come sempre, la realtà è più complessa di quel che appare. Oggi in Iran si percepisce un senso di attesa per un rinnovamento che è sentito come inevitabile ed è già in atto un lento cambiamento. L’Imam Khomeini continua a fissare il suo popolo dai ritratti sparsi un po’ ovunque e la maggior parte degli ingranaggi del potere è ancora in mano ai conservatori, ma Khatami, il presidente eletto a sorpresa nel 1997, sta cercando di introdurre un po’ di libertà. Le ragazze escono di casa truccate e con qualche ciocca di capelli ribelle che sbuca dal velo, si discute di politica abbastanza liberamente, si moltiplicano le antenne paraboliche, si vedono le prime manifestazioni in difesa della democrazia (a Yadz in migliaia manifestavano contro il siluramento di tre parlamentari vicini a Khatami). L’Iran sembra alla ricerca di una difficile alternativa fra l’imitazione del modello occidentale e l’interpretazione rigorosa del Corano, fra stato laico e religioso. Ciò che più differenzia questi due modelli è la divisione fra sfera spirituale e sfera temporale, fra religione e società. Nell’interpretazione più rigida, che trasforma norme contingenti in valori assoluti, il Corano e l’insegnamento di Maometto, cioè la Shariah o legge, sono fonte di fede, ma anche del diritto islamico, diventano codice religioso, ma anche giuridico e morale, capace di risolvere tutti i problemi sia trascendenti che terreni. Questa è l’antitesi dell’idea di stato laico, che ha permesso all’Occidente di svilupparsi tecnologicamente ed economicamente, mentre la società islamica, che nel passato era più avanzata dell’Europa per quanto riguarda matematica, algebra, astronomia e medicina, si trova oggi frenata nel suo sviluppo. Le tribù arabe, che con una fulminea avanzata militare nel 642 d.C. conquistarono l’impero persiano sostituendosi alla dinastia Sasanide, non portarono solo la nuova religione islamica, ma influenzarono profondamente anche l’arte e l’architettura. La Persia aveva già vissuto un periodo di splendida fioritura durante la dinastia Achemenide, quando Ciro, Dario e i loro successori seppero amministrare uno straordinario patrimonio economico e culturale, assimilando senza soffocare i popoli del loro immenso impero che si estendeva dall’Egitto, alla Grecia e all’India. Le splendide rovine di Persepoli sono testimoni ancor oggi della grandiosità raggiunta. “Guarda l’immagine di quelli che sorreggono il mio trono, allora li conoscerai e saprai che la lancia dell’uomo persiano è giunta lontano”, è scritto sulla tomba di Dario a Naghsh-è Rostam. All’arte persiana, che aveva già assimilato elementi egizi e greci, si aggiunsero così elementi islamici, creando uno stile islamico-persiano che raggiunse il suo culmine nell’era Safavide, in particolare nella splendida Isfahan sotto il regno di Abbas I, intorno al 1600. Ciò che più colpisce e meglio caratterizza l’architettura monumentale persiana è in primo luogo la semplicità strutturale delle sue forme: archi, colonne, cupole, iwan (grandi sale rettangolari aperte su un lato), muqarnas (nicchie ad alveoli e stalattiti); in secondo luogo le splendide tonalità di colore, con predominanza del verde e dell’azzurro; in terzo luogo le decorazioni o arabeschi, che ricoprono le superfici sia interne che esterne, da un lato mascherando la struttura e dall’altro diventandone parte integrante. Le decorazioni, il vero leit-motiv dell’architettura islamica, possono essere di ceramica (a mosaico o a piastrelle), di terracotta, di stucco, di marmo, di pietra e anche di legno, con splendidi intarsi in pietra e metallo. L’arte, opera dell’uomo, secondo la dottrina islamica non può riprodurre la natura, opera di Dio, e quindi si deve esprimere attraverso forme non rappresentative, ma stilizzate. Viene invece utilizzata la Parola in lingua araba, cioè la forma in cui Dio ha voluto rivelarsi al Profeta, che oltre ad avere profondo significato religioso, si presta mirabilmente, nella sua versione corsiva o quadrata (cufica), a scopi decorativi, integrandosi perfettamente agli arabeschi geometrici e vegetali. Gli stessi motivi sono riprodotti anche sui tappeti, mirabile sintesi di un pensiero religioso e di un modo di vita originariamente nomade, che ha condizionato anche la successiva cultura sedentaria. La ripetitività delle decorazioni, l’essenzialità delle forme, la grandiosità degli edifici privi di orpelli, i vasti cortili dove le vasche d’acqua riflettono e moltiplicano le immagini, creano un effetto di vuoto e di silenzio, un’atmosfera di grande spiritualità, che invita ad un dialogo diretto fra l’uomo e Dio. Soprattutto il visitatore occidentale, abituato all’eccesso di tante chiese cristiane, traboccanti di statue e di altari, non può non rimanerne stupito, quasi annullato. Non mancano però forti contrasti: orrendi lampadari e tubi al neon, mazzi di fili elettrici, ingombranti impianti di condizionamento, moderne fontane di dubbio gusto, impalcature che di provvisorio hanno solo l’apparenza, e tutt’intorno in un disordine generalizzato, bancarelle, canali di scolo, giardini polverosi che un tempo volevano rappresentare il paradiso di Allah. Purtroppo quest’atmosfera di trascuratezza comune a molte città del Medio Oriente, rende talvolta difficile la piena fruizione dei tanti capolavori architettonici. Vale comunque la pena di ricordare quanto scrive in ‘La Via per l’Oxiana’ Robert Byron a proposito dell’architettura persiana e cioè che senza l’invenzione sasanide dell’arco che abbraccia l’angolo fra due pareti, rielaborata dall’architettura islamica con stalattiti e nicchie, l’architettura che conosciamo sarebbe diversa e molti edifici noti nel mondo intero, come San Pietro, il Campidoglio di Washington e il Taj Mahal, non esisterebbero, perché “anteriormente non si sapeva come posare una cupola su quattro muri ad angolo retto”.

 Di Anna Maspero Da AnM n.6 / 1999

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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