Il Senso del Viaggio

Lingue e comunicazione

on
05/08/2007

Appunti dalle mie letture…

Conoscere una sola lingua
un solo lavoro
un solo costume
conoscere una sola logica
è prigione
Ndjock, poeta bassaa, Camerun

La piccola Torre di Babele che ogni viaggiatore va costruendo dentro di sé ha, come tutti i simboli degni di questo nome, una certa ambivalenza. (…) Lo spaesamento linguistico che ogni spostamento comporta è infatti motivo di frustrazione e di fatiche, ma insieme è fonte di uno dei massimi piaceri del viaggio. Una lingua nuova vuol dire un mondo nuovo, una lingua diversa ci porta davvero altrove perché il linguaggio è un nodo primario dell’identità. Primario come l’aspetto fisico o il cibo, ma ancor più avvolgente e onnicomprensivo di questi. Azioni semplici diventano improvvisamente difficili perché ci mancano gli strumenti espressivi adeguati, risolvere problemi elementari diventa complicato perché s’inceppa la comunicazione. Pure, immergerci in un universo di suoni e di segni nuovi, diversi, incomprensibili è una delle grandi attrazioni del viaggio: è la festa dell’immaginazione, della fantasia, della scoperta. Ci riporta, adulti, a un’esperienza confinata all’infanzia: parole e segni tornano ad essere pure sensazioni e non più cognizioni, sono oggetti pienamente sensoriali, nuovi, inconsueti, misteriosi e straordinariamente potenti. Sono circa 3000 le lingue oggi parlate nel pianeta (escludendo le varianti dialettali), ciò vuol dire 3000 modi diversi di descrivere il mondo, di concepirlo, d’interpretarlo: ogni lingua costituisce un sistema di segni corrispondente a un certo modello culturale. Un gigantesco coro polifonico che appartiene al patrimonio della biodiversità. (…) La lingua è un ponte, è il luogo della relazione, del confronto, della possibilità di accordo. È un elemento molto mercuriale, strumento dello scambio, del commercio, del movimento. Per lo più ci affidiamo a un povero e triste inglese veicolare, tanto indispensabile nella mediazione quanto mortificante nella conoscenza. E invece, incontrare una lingua è incontrare una cultura. Immergersi nel suo paesaggio sonoro e segnico è vivere un’esperienza che sposta il nostro vertice d’osservazione sul mondo. Può essere l’occasione per provare a guardarsi e sentirsi con gli occhi e le orecchie di un altro.
Ascoltare, scambiare, chiedere, conoscere. Cogliere segni e gesti nuovi, espressioni e modi di dire. Memorizzare l’esperienza trascrivendola, come parte significativa dei propri ricordi di viaggio. Inserire nel diario di bordo l’esperienza linguistica, le proprie goffe prove di scrittura, riscoprire il piacere di disegnare lettere nuove, meravigliarsi ancora della potenza della parola e della scrittura.
Esercitarsi prima di partire con suoni inusitati. Catturare durante il viaggio parole, insegne, scritte, cartelli. Ritrovare dopo, insieme alle immagini delle foto o alle note di viaggio, anche le parole del nostro incontro con la diversità, ricollegarci attraverso la lingua a nuovi amici lontani.
Maria Sebregondi

Parlare una lingua è una delle poche cose al mondo che si possono fare male senza incorrere in punizioni. Chi vuol fare il medico senza essere laureato rischia la prigione, ma chi parla male una lingua straniera non riceverà altro che lodi. Per l’impegno che ci mette e per la sua volontà di comunicare. Questo è vero soprattutto per chi ama viaggiare. Scambiare qualche parola con la gente del posto è gratificante e può aprire molte porte.
Beppe Severgnini

Perdere una lingua è come gettare una bomba sul Louvre.
Ken Hale

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2 Comments
  1. Rispondi

    laura (Raya)

    28/05/2010

    PER I BAMBINI, LA PAROLA AMORE E’ FATTA DI CINQUE LETTERE: t – e – m – p – o

  2. Rispondi

    laura (Raya)

    28/05/2010

    Che cos’è la vita?
    lo sfavillare di una lucciola nella notte,
    il respiro sbuffante di un bisonte nell’inverno,
    la breve ombra che scorre sopra l’erba e si perde dentro il sole.

    Piede di Corvo

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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