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19/12/2008

Pubblicato su il reporter

Portare via solo ricordi. Lasciare nient’altro che orme“. Una citazione frequente fra chi è attento a un modo di viaggiare sostenibile. Parole che parlano di quella leggerezza e di quella rinuncia all’accumulo che appartiene alle società nomadi ed è così distante dalla pesantezza del vivere e dall’enorme pressione sull’ambiente propria delle società stanziali.

Eppure l’esistenza nella sua essenza è leggera, impalpabile. La natura e la vita si reggono su pulviscoli di materia, dai minuscoli atomi agli impercettibili filamenti di DNA, entità così sottili che sfuggono alle nostre capacità percettive. E l’informatica ci ha insegnato che anche la rappresentazione della meravigliosa complessità del mondo si riduce a una somma di minuscoli pixel e bit. Sulla leggerezza hanno scritto parole straordinarie grandi pensatori e scrittori, da Nietzsche a Kundera e Calvino. La mia riflessione vuole invece prendere semplicemente spunto dalle varianti sul tema che il viaggio ci offre, a partire proprio da ciò che ne rappresenta il peso, e cioè quel bagaglio che ci trasciniamo in giro per il mondo. Ancora prima della partenza, fare il bagaglio si trasforma in un esercizio di leggerezza, stretti come siamo fra i limiti di peso imposti dalle compagnie aeree e la relativa capienza di una valigia che pretendiamo spacciare come bagaglio a mano. Se poi all’arrivo scopriamo che la nostra valigia ha scelto una destinazione diversa, l’esercizio diventa scuola di vita. Improvvisamente privi di protezioni, come una chiocciolina rimasta senza guscio, ci ritroviamo a dover rinunciare non solo al superfluo ma probabilmente anche all’essenziale e forse scopriremo di poter sopravvivere felici e liberi da preoccupazioni con l’aiuto di qualche indumento prestato e di un paio di ciabattine infradito comprate sul posto. Quando viaggiamo cerchiamo di avere il necessario per le diverse situazioni, evitando di appesantirci con inutili doppioni. Succede così che gli abiti e gli oggetti che formano il nostro bagaglio diventano davvero necessari, riscattandosi finalmente da una vita inutile nel buio dei nostri armadi rigurgitanti capi e accessori per ogni stagione e ogni possibile evento. Anche nel quotidiano leggerezza non dovrebbe significare rinuncia al bello o a qualche concessione al superfluo, ma all’accumulo di inutili doppioni, a quel tre per due o due per uno che accettiamo come “scontato”. Leggerezza è soprattutto un modo di essere che nasce interiormente da un bisogno di essenzialità e che diviene quotidiana conquista in una società che fa dell’inutile una necessità e ci imprigiona in falsi bisogni. Riprendendo allora il concetto della pesantezza del vivere opposta alla leggerezza dell’esistenza, mettiamo l’accento proprio sull’essere più che sull’avere, sul distacco più che sul possesso. Un po’ come fanno i napoletani che non dicono “io ho” qualcosa, ma “tengo” qualcosa. Un verbo che comunica una certa idea di provvisorietà: oggi è così, domani chissà, non lo tengo più. Il viaggio può insegnarci proprio questo, a tenere piuttosto che avere, a vivere semplicemente affinché altri, affinché tutti, possano semplicemente vivere. Perché “less is more“, meno è più.

A.M.

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1 Comment
  1. Rispondi

    Davide

    24/12/2008

    Molto bello Anna, viva la leggerezza!

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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