Lettera aperta ai viaggiatori
Sul post “Riflessioni per viaggiatori snob” dell’8 febbraio si è sviluppato un dibattito dai toni “tosti”. Visto che rischia di rimanere relegato nei “messaggi” in coda al post, riscrivo qui la mia ultima risposta come “lettera aperta”, invitando chi fosse interessato ad andare a leggere i vari commenti inviati e magari a mandare la sua opinione! A.M.
Ultimo mio commento:
Carissimi, grazie a voi per le vostre riflessioni e per le punzecchiature. Se non volessi mettermi in gioco e in discussione non avrei fatto questo blog, quindi ben vengano critiche e punti di vista diversi. Mi riservo di riprendere il discorso in maniera meno superficiale che in un botta e risposta nei messaggi. Quello che posso aggiungere, così, rapidamente, è che un buon sistema per capire ciò che siamo è anche guardarsi con gli occhi dell’altro. E per altro, in questo caso, intendo i locali, che di norma non fanno tante differenze fra viaggiatore e turista ma ci vedono tutti come turisti. Personalmente accetto con tutta tranquillità e senza alcun senso di frustrazione di riconoscermi in questa definizione e cerco solo di essere un buon turista e non un “turista per caso”. Non vedo questa “totale differenza” fra turista e viaggiatore. Forse se prendiamo i due estremi o le loro rappresentazioni ideali. Ma la maggior parte di noi sta in qualche punto nel mezzo, o meglio si muove nel mezzo, fra contraddizioni e aspirazioni. Non c’è solo il bianco e il nero, ma anche una grande varietà di grigi. Per questo non amo più le definizioni e le identificazioni. E’ stato forse utile nel passato operare distinguo sui termini per riflettere sul viaggio, ma mi sembra superato dal dibattito di questi anni. Utilizzo dunque i due termini viaggiatore e turista in modo abbastanza intercambiabile (per questo ho scritto viaggiatore-turista nel post), e se li uso singolarmente intendo, molto sinteticamente, da una parte chi viaggia con maggior autonomia e consapevolezza, dall’altra chi si muove con viaggi organizzati, ma senza che l’uso di questi due termini implichi da parte mia giudizi di sorta. Non voglio denigrare nessuno, anzi al contrario la mia è una difesa del turista da coloro che fanno di tutte le erbe un fascio e loro sì lo disprezzano. Se invece non facciamo una questione di terminologia, di categorie, di buoni e cattivi, di virtuosi e non, ma riflettiamo sulla sostanza, su costi e benefici, valori e disvalori del turismo, mi ritrovo a condividere buona parte di quanto mi avete scritto, anche se la mia visione rimane decisamente più positiva. Tra l’altro mi sento parte del gioco, e non solo come fruitore, perché la mia è certamente una testimonianza di “invito al viaggio”.
Per quel che riguarda Avventure nel Mondo, cara Daniela, … non credo proprio tornerò sull’argomento. Da una anno e più ho lasciato Avventure, ho girato pagina e preferisco mantenere questa mia scelta sul piano personale, come di fatto è stata, senza innescare polemiche di alcun genere. E’ stata una scelta sofferta, ma necessaria per coerenza con il mio modo di essere. Con Avventure ho viaggiato per tanti anni e di questi viaggi, delle persone incontrate sul posto e di tanti compagni di viaggio serbo bellissimi ricordi. Poche le eccezioni. Ancora una volta non voglio andare per categorie. Siamo noi a fare il viaggio e credo che il viaggio ci assomigli sempre al di là delle varie “appartenenze”. Ciao a tutti, Anna
Gionata Nencini
Il fatto é che le persone hanno bisogno di seguire una propria ideologia.
Appartenere ad una propria istituzione.
Essere aperti a tutto, non é una presa di posizione. E’ una diplomazia passiva…
A me il turismo non piace! Non solo perché genera code di 2 ore davanti ai musei che NON-visiterei, ma soprattutto perché genera consumismo.
Diciamocelo.
Venezia (come nell’esempio), non é l’Italia. Fotografare piazza s marco, non é carpire la storia di Venezia.
In un certo senso, il turista é quella persona che paga cifre ridicole per posare davanti ad un monumento di cui forse non conosce nemmeno la storia.
Per capire l’Italia, gli italiani e quello che E’ la nostra cultura, non ci si può affidare al lusso di un hotel a 5 stelle, alle pigre colazioni nei bar del centro, alle code nei musei ed allo shopping mirato di quelle t-shirts o statuette della gondola e della torre di Pisa.
Quanti di noi italiani hanno quelle T-shirt?
E quanti hanno la statuetta della torre di Pisa (i livornesi ce l’hanno di sicuro)?
Quanti di noi pagano un caffè 7 euro nel bar del centro?
Quella che vendiamo al turista, non é l’Italia in cui abitiamo.
Quelle che vendiamo é un prodotto ed in quanto tale attrae l’attenzione di chi vuole comprarlo. Il turista se ne compiace, nello sperperare 100 euro a notte in hotel, 15 a colazione, 30 per il museo, 45 per la statuetta e 10 per la tshirt.
Il viaggiatore invece compra un panino nell’alimentari di periferia, chiede acqua potabile alla signora che spazza le scale, chiede una doccia al guardiano degli spogliatoi del campetto da calcio, dorme sotto ad un ponte con un sacco a pelo o se é fortunato a casa di chi lo ha visto cucinarsi una zuppa con il fornellino a gas e l’ha invitato a casa sua per la notte.
Ed in casa dei LOCALS, il viaggiatore racconta della sua vita, ascolta le storie di chi lo ospita. Apprende gli odori dell’abitazione in cui dormirà, assaggia le pietanze preparategli con affetto.
E la mattina dopo, se ne va con un amico in più!
Il turista, se ne va con 200 euro in meno!
A.M.
Provo a rispondere con le parole di Claudio Magris. Scrive Magris: “…la frase dello scrittore inglese “Quando viaggiare era un piacere” ribadisce il luogo comune secondo il quale la società di massa col suo turismo anch’esso massificato, la televisione con gli scenari esotici banalizzati, e portati in casa e il livellamento generale del mondo, avrebbero distrutto la scoperta e l’incontro del nuovo, l’avventura, il gusto individuale del vagabondare, l’imprevisto, la possibilità dell’esperienza originale. La prima doverosa obiezione è che la società di massa ha reso quel piacere accessibile a qualcuno che ne era escluso senza esserne necessariamente meno degno dei pochi che ne usufruivano un tempo. … Ma soprattutto viaggiare è ancora un piacere, o almeno può esserlo, nei limiti che … i disagi individuali e collettivi pongono e hanno sempre posto alla nostra fragile e preziosa capacità di provare piacere. L’imprevisto, l’avventura, la seduzione, il nuovo si possono trovare a ogni passo, in ogni odissea, in ogni viaggio nelle lontananze o fra le mura di casa … L’intelligenza deve sempre valutare, distinguere e certo denunciare la barbarie morale e intellettuale, indubbiamente presente in numerose manifestazioni della società di massa. Ma sarebbe sterile non avvertire l’arricchimento creativo, fantastico, percettivo che può giungere dai mutamenti del mondo e dalle nuove possibilità che essi offrono…”
Ciao Anna
filippo (pippo) baluardo
Bene,
anche se qui può non interessare, mi permetto di esprimere tutto il mio profondo rispetto per la seguente cosa:“Da una anno e più ho lasciato Avventure….”. Così non avrai più crisi di identità in riferimento al fatto se fossi o meno un viaggiatore quando accompagnavi gruppi di Avventure nel Mondo (sdrammatizzo).
La citazione che hai portato Anna,anche se non originalissima,è veramente azzeccata.Infatti pare sia una sorta di annuncio del fallimento del turismo così come viene posto dallo stesso “teutologo” Magris, ovvero come strumento massificato di piacere, accessibile a tutti essendo tutti degni di poter provare la gioia di viaggiare, come i veri viaggiatori di un tempo. Oggigiorno è possibile accedere “all’arricchimento creativo” dei “mutamenti del mondo”, quindi del viaggio, facendo qualche cliccata nel web evitando dunque “inutili code davanti ai musei” e, aggiungo, ai check degli aeroporti. Fine del gioco!Non è più necessario spostarsi ne tantomeno investire risorse incommensurabili per ridurre al minimo il disagio dello spostarsi da parte di individui che, secondo il suddetto germanista, dovrebbero essere non “meno degni dei pochi che ne usufruivano un tempo”. Purtroppo la realtà dei fatti ci dice che il turismo evidentemente non è morto e da fenomeno solo occidentale, ora sta diventando, come tutto, globale.
Ma veniamo al topic.
Paul Bowles, attraverso i personaggi di un suo noto romanzo, Kit e Port, dichiara che “Un turista è quello che pensa al ritorno a casa dal momento che arriva… laddove un viaggiatore potrebbe non tornare affatto…”. Forse concettualmente un po’ limitata, ma vale, a mio parere, come una buona sintesi.
Il turista in viaggio si porta, insieme al proprio bagaglio (immaginate appunto al bagaglio di kit in “the sheltering sky”) tutto se stesso insieme con il proprio retaggio, le proprie esigenze,le proprie abitudini, costringendo il resto del mondo ad adeguarsi ad esse: alberghi puliti, personale che parla in lingua, acqua minerale,negozi, suvenir…e altro. Un turista va dove ci sono gli altri turisti perché così si sente un po’ a casa.
Il viaggiatore invece va alla ricerca del distacco necessario a rompere quei legami che lo tengono vincolato a casa propria, e si comporta proprio nel modo che ha descritto Nencini.
La valigia deve diventare un oggetto vuoto da riempire con nuove esperienze, nuove lingue e nuove abitudini, nuove necessità.
Proprio vero,in questo momento storico diventa indispensabile riappropriarci dei significati sottolineando anche le piccole sfumature per evitare confusione. Rifiuto quindi la comodità di chiamare tutti con lo stesso nome:
un turista riempie il proprio book fotografico; un viaggiatore svuota se stesso per riempirlo di cose nuove, diverse e sempre lontane…
un viaggiatore sarà per scelta ideologica snob nei confronti dei turisti…
dunque
approvo il giudizio espresso nel post di Anna…io sono snob
buon vento!
Anna
ciao Filippo, grazie per il lungo commento, solo un appunto sulle prime righe. Di dubbi ne ho sempre (la frase che più mi piace e che ho inserito in messenger è “il viaggio inizia dove finiscono le nostre certezze”), ma un dubbio esistenziale che ho da tempo risolto è proprio se sono un viaggiatore o un turista. Evito però di ripetermi sulle spiegazioni… Ciao, Anna