Ma chi è Magris?
Per l’analisi del testo di letteratura dell’esame di maturità 2013 è stato proposto uno stralcio de ”L’infinito viaggiare” di Claudio Magris. Avendo vissuto la scuola anche da prof, posso dire senza timore di essere contraddetta che l’autore è, o meglio era, certamente sconosciuto ai maturandi. Ma anche che da oggi la quasi totalità degli italiani, e non solo gli studenti delle superiori, sanno chi è Claudio Magris. Ieri qualcuno di loro ironicamente si chiedeva su twitter se fosse la marca di uno yogurt senza grassi… e non si può fargliene colpa visto come i programmi scolastici trattano la letteratura contemporanea, anche se due volumi de I Meridiani hanno consacrato Magris fra i maggiori scrittori italiani. Lui stesso, intervistato, ha risposto con una battuta: “Sono ovviamente onorato di questa scelta. Ora chiedo l’indulgenza degli studenti, e spero non mi maledicano mandandomi a quel paese”.
Io avevo avuto il privilegio e il piacere di poterlo riascoltare solo un paio di settimane fa agli incontri di “Dialoghi sull’uomo” a Pistoia e proprio a lui avevo dedicato il titolo e una foto del post sul mio blog.
Qui sotto il testo su cui si sono scervellati i maturandi di quest’anno. E’ preso dalla magnifica prefazione de “L’infinito viaggiare”, Mondadori 2005, un volume che raccoglie resoconti e riflessioni sui suoi viaggi tra la fine del ‘900 e il 2004, dall’Europa all’Australia, Iran, Cina e Vietnam. Un’occasione per rileggerlo o per leggerlo…
“Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi. Oltrepassare frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forma, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue. Saperle flessibili, provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate; mortali, nel senso di soggette alla morte, come i viaggiatori, non occasione e causa di morte, come lo sono state e lo sono tante volte. Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall’altra parte. In Verde acqua Marisa Madieri, ripercorrendo la storia dell’esodo degli italiani da Fiume dopo la Seconda guerra mondiale, nel momento della riscossa slava che li costringe ad andarsene, scopre le origini in parte anche slave della sua famiglia in quel momento vessata dagli slavi in quanto italiana, scopre cioè di appartenere anche a quel mondo da cui si sentiva minacciata, che è, almeno parzialmente, pure il suo. Quando ero un bambino e andavo a passeggiare sul Carso, a Trieste, la frontiera che vedevo, vicinissima, era invalicabile, – almeno sino alla rottura fra Tito e Stalin e alla normalizzazione dei rapporti fra Italia e Jugoslavia – perché era la Cortina di Ferro, che divideva il mondo in due. Dietro quella frontiera c’erano insieme l’ignoto e il noto. L’ignoto, perché là cominciava l’inaccessibile, sconosciuto, minaccioso impero di Stalin, il mondo dell’Est, così spesso ignorato, temuto e disprezzato. Il noto, perché quelle terre, annesse dalla Jugoslavia alla fine della guerra, avevano fatto parte dell’Italia; ci ero stato più volte, erano un elemento della mia esistenza. Una stessa realtà era insieme misteriosa e familiare; quando ci sono tornato per la prima volta, è stato contemporaneamente un viaggio nel noto e nell’ignoto. Ogni viaggio implica, più o meno, una consimile esperienza: qualcuno o qualcosa che sembrava vicino e ben conosciuto si rivela straniero e indecifrabile, oppure un individuo, un paesaggio, una cultura che ritenevamo diversi e alieni si mostrano affini e parenti. Alle genti di una riva quelle della riva opposta sembrano spesso barbare, pericolose e piene di pregiudizi nei confronti di chi vive sull’altra sponda. Ma se ci si mette a girare su e giù per un ponte, mescolandosi alle persone che vi transitano e andando da una riva all’altra fino a non sapere più bene da quale parte o in quale paese si sia, si ritrova la benevolenza per se stessi e il piacere del mondo.”
Anna
laura
amare è lasciar andare la paura