Mercati: attrazione fatale
Quando si viaggia lungo le strade d’Africa o fra i villaggi dell’Asia e del Sudamerica, è inutile chiedere dov’è il mercato. E’ sufficiente seguire il flusso della gente: a decine, a centinaia le persone convergono verso un unico punto, a piedi, su carri trainati da buoi, in sella a un asino, su sconquassati taxi-brousse, su vecchi autobus o ammassati nei cassoni dei camion. Con la loro cadenza i mercati regolano come orologi lo scorrere del tempo e la vita di interi villaggi. Per tutti sono un appuntamento imperdibile, un luogo di scambio di merci ma soprattutto d’incontro. I commerci sono spesso così esigui e il profitto delle contrattazioni così minimo che vendere e acquistare sembrano davvero essere quasi solo un pretesto all’incontro. I mercati sono imperdibili anche per il viaggiatore che ne subisce una sorta di attrazione fatale, tanto da calibrare spesso su di loro il suo itinerario. Lì la gente arriva, senza andarla a cercare. Lì lo straniero è più facilmente accettato, qualche volta addirittura cercato e adulato in quanto acquirente interessante. Lì è per lui più semplice passare inosservato e osservare la gente senza timore di violarne l’intimità. Perché i mercati sono luoghi di socializzazione, dove si viene per mostrare e mostrarsi. Sono un’occasione privilegiata per scoprire usi e costumi, uno scrigno di tradizioni e una vetrina dei cambiamenti, uno spaccato di vita capace di rivelare la ricchezza culturale come anche la povertà di risorse di un paese. Lo spettacolo si ripete secondo un copione acquisito ma sempre nuovo dove le storie si intrecciano senza un regista ma con centinaia di attori. I ruoli sono chiari e facilmente comprensibili anche se non si parla la stessa lingua, perché è una recita vecchia come il mondo, fatta di gesti da sempre uguali e, qualche volta, di esibizioni da attori consumati. Tanto che per la soddisfazione finale di acquirente e venditore, la rappresentazione stessa diventa più importante dell’acquisto e del prezzo pagato. Anche la scenografia è ogni volta speciale: il labirinto di vicoli bui dei suq delle città arabe, i bazar turchi e persiani, i caravanserragli lungo la via della seta, le piazze dei villaggi africani, gli antichi cortili delle città coloniali del Sudamerica o gli ultimi magici mercati fluviali in Oriente. Sono mercati settimanali o quotidiani, caotici e immensi o minuscoli e poverissimi, pittoreschi o dozzinali. In mostra si trovano le merci più svariate, con gli ingredienti mescolati in modo sempre diverso e solo apparentemente disordinato, accatastati in minuscole botteghe, sistemati in bellavista sui banchi o appoggiati su semplici teli stesi al suolo a bordo strada. Un mondo avvolgente e denso, un insieme indistinto di suoni, voci e richiami, un’atmosfera impregnata di odori, dove i profumi intensi delle spezie si confondono alla puzza dolciastra della carne appena macellata. Un mondo dove nessuno ha fretta. E allora anche noi, senza fretta e senza meta, diamoci tempo, perdiamoci nel dedalo dei vicoli o fra le bancarelle e ritroviamo il gusto di toccare, assaggiare, odorare, osservare, ascoltare. Davvero una miniera di spunti dove semplicemente mettersi in ascolto con tutti e cinque i sensi per entrare in sintonia con lo spirito del luogo e della sua gente. E dietro alle differenze delle culture come all’omologazione della globalizzazione, si scopre sempre una comune umanità.
A.M.
Pubblicato su il reporter
caterina
Credo davvero di essermi messa in ascolto con tutti i cinque sensi per cogliere al volo la bellezza di quanto ho letto sul fascino del mercato e dello scriverNe.
Bellissimo, emozionante e profondamente vero l’articolo ha il potere, e la forza, di trascinare e donare l’impressione di “essere” altrove, con la scrittrice, alla quale va il mio grazie più vero e più sentito.
GRAZIE
caterina
Italo
Ciao Anna. Sono nato ed ho vissuto la mia infanzia in Egitto. Alcuni scorci del tuo parlare dei suq arabi mi hanno fatto tornare bambino. Leggerti è un dono. Sempre. Grazie. (FB)