Migranti e nemici
Pare che del nemico non si possa fare a meno (…). E un diverso per eccellenza è lo straniero. Umberto Eco
Le statistiche, sempre approssimative per difetto, raccontano con tutta la freddezza di cui sono capaci i numeri, che tra 1998 e 2007 sono stati migliaia gli uomini, le donne e i bambini morti cercando di entrare nella fortezza Europa: 8000 inghiottiti dalle onde del nostro azzurro Mediterraneo, 1100 dispersi in quel deserto che di ritorno dai nostri viaggi descriviamo con toni lirici…
Fabrizio Gatti, giornalista e scrittore autore di Bilal, il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi, si è mescolato a questo esercito disperato in cammino verso nord attraverso l’Africa. Solo ripensando al suo racconto e a questi numeri, riusciamo a guardare ai clandestini, e anche a molti degli immigrati regolari, come a dei sopravvissuti di questo viaggio all’inferno, solo allora, forse, nei nostri sguardi non ci sarà più rabbia e diffidenza, o indifferenza, che è anche peggio, ma umana compassione.
Non parlo della parola compassione nell’accezione comune, in cui è insito un certo qual senso di superiorità nei confronti del suo oggetto. Mi piace invece usarla tornando alla radice del suo significato, patire con qualcuno e quindi anche capire. E in greco il vocabolo è ancora più bello e denso di significato: sympàtheia.
Per chi voglia approfondire:
L’ arte sublime di denigrare il nemico, di Umberto Eco, da Repubblica, 16 maggio 08
Un diverso per eccellenza è lo straniero (…). Nuova forma di nemico sarà poi, con lo svilupparsi dei contatti tra i popoli, non solo quello che sta fuori e che esibisce la sua stranezza da lontano, ma quello che sta tra noi, oggi diremmo l’immigrato extracomunitario, che in qualche modo si comporta in modo diverso o parla male la nostra lingua, (…).
Le recenti elezioni ci hanno mostrato quanto può la paura dei nuovi flussi migratori. Allargando a una intera etnia le caratteristiche di alcuni suoi membri che vivono in una situazione di marginalizzazione, si sta oggi costruendo in Italia l’ immagine del nemico rumeno, capro espiatorio ideale per una società che, travolta in un processo di trasformazione anche etnica, non riesce più a riconoscersi.
Anna, pensando a mio nonno Rinaldo che i primi del ‘900 è partito in nave come emigrante per il Perù, senza un soldo e con solo un biglietto di terza classe in tasca …
Claudio
ciao Anna bello il tuo post, bello anche il libro di Gatti uno degli ultimi veri giornalisti rimasti in Italia
Marco Carnovale
ciao Anna, l’argomento che ci proponi e’ scottante ma non condivido affatto il tono buonista dell’articolo. Anche io, il caso vuole, avevo un nonno che e’ andato in Peru’ all’inizio del 900 ed e’ tornato in Italia dopo aver fatto fortuna. Un altro e’ andato in Canada e non e’ piu’ tornato. Non era un loro diritto andare in Peru o in Canada, come non e’ un diritto degli immigrati oggi entrare in Italia. Ma i nostri nonni sono andati oltreoceano a lavorare onestamente, con umilta’, rispettando le leggi dei paesi che li ospitavano e che li accettarono. Questo succede, oggi che i flussi si sono invertiti, con la gran parte degli immigrati in Italia, e per questo sono benvenuti, apprezzati e inseriti nel mondo del lavoro. I loro figli sono inseriti nelle scuole, la prossima generazione sara’ italiana al 100% come sono canadesi i miei cugini rimasti laggiu’. Il problema sorge con quella minoranza di immigrati che invece viene a fare come gli pare, pretende, ruba, sfrutta le donne, rapisce, contrabbanda, spaccia droga e non si vuole integrare. Questa minoranza non e’ un capro espiatorio, si e’ meritata la levata di scudi che in questi mesi di e’ sviluppata, va perseguita a norma di legge ed espulsa. Come fanno gli spagnoli, salvo poi mettersi in cattedra per strumentalizzazioni politiche di bassa lega. Ciao e complimenti per il blog!
Anna
ciao Marco! Non sapevo che tutti e due i nostri nonni fossero emigrati in Perù! Chissà se si sono incontrati.. il mio negli anni prima della Grande Guerra era diventato rappresentante di tutti gli italiani lì…
Sì, certo erano brave persone loro e la grande maggioranza degli emigrati. Ma come li vedevano, generalizzando, e come li trattavano, ad esempio, i benpensanti statunitensi? E comunque anche noi italiani non abbiamo esportato solo intraprendenza, ma anche qualche peccatuccio stile mafia… La nostra storia di emigrazione non è così diversa da quella che avviene oggi verso l’Europa.
Il problema come tu dici è scottante e non è facile trovare soluzioni. Però noi appassionati di viaggio dovremmo forse riuscire a capire meglio di altri le storie che questa gente si porta dietro.
Ho appena riletto alcune righe scritte da un amico viaggiatore, Andrea Semplici: “Il viaggio è, a volte, irraccontabile. Non lo racconta certo chi, africano, arabo, afgano, iracheno, slavo, attraversa mari e deserti per giungere fino ai nostri neon occidentali. Chi fa mitologia del viaggio dovrebbe seguire anche le rotte di quest’umanità. Pista dopo pista, naufragio dopo naufragio. Per raccontare cosa vuol dire, sul serio, mettersi in cammino.”