Migranti
“… Intorno la vastità del mare … dune a perdita d’occhio… per tetto le stelle…”: potrebbe essere il racconto di un nostro viaggio in barca a vela o nel deserto. Ma potrebbe essere anche il racconto dell’odissea tragica delle migliaia di migranti che percorrono stipati su camion le piste di sabbia del Sahara o sono trascinati dalle correnti dentro carrette del mare fino a un approdo incerto su un qualche brandello d’Europa proteso nell’azzurro del Mediterraneo. Due viaggi diversissimi e in direzioni opposte, due percorsi che si incrociano, ma che raramente si incontrano. Viaggiatori entrambi, noi per piacere loro per necessità, noi per distrarci loro per sopravvivere, noi turisti loro migranti, esuli, fuggiaschi, profughi, deportati, rifugiati, sfollati, respinti, fuoriusciti, espatriati, espulsi, clandestini, irregolari…
I migranti sono milioni, fuggono da guerre e povertà, sono giovani, sono affamati e nessuno li potrà fermare. Inutile alzare muri, chiudere porte e respingere barconi. Loro viaggiano senza rete di protezione, senza assicurazioni e carte di credito, biglietti di ritorno e GPS. Forse sono i soli veri viaggiatori di oggi, i moderni Ulisse che come lui si chiamano “Nessuno”, perché spesso è loro negata anche un’identità, intesa come nome, personalità, appartenenza, rete di relazioni familiari e umane. Tutte cose per noi acquisite, ma che per loro non sono scontate. Come non lo erano per molti di quei trenta milioni di italiani emigrati all’estero, e in fondo è passato solo un secolo, poco più o poco meno.
Non c’è però solo quell’identità individuale loro negata, ce ne è anche un’altra collettiva, la sola con cui sembriamo capaci di definirli: romeni, albanesi, rom, marocchini… Un’identità che noi, come europei e come italiani, rivendichiamo davanti ai nuovi “barbari”, ma in cui poi siamo i primi a fare fatica a riconoscerci. Siamo tutti sempre più in movimento, sempre più connessi a una rete globale e le identità sono divenute fluide e permeabili, più sfumate e meno legate al territorio d’appartenenza. “L’identità non va confusa con singolarità, né particolarità”, raccontava in un’intervista Predrag Matvejević, autore del bellissimo “Breviario mediterraneo”, perché è solo nella pluralità e non nel pensiero unico che essa si può esprimere. Le culture da sempre si scontrano e poi si incontrano e si confondono. La stessa Europa affonda le sue radici nei mondi cosmopoliti della classicità greca e dell’impero romano, ha nelle sue vene sangue barbaro, arabo ed ebreo, si rifà ai valori del cristianesimo come dell’illuminismo e oggi può solo reinventarsi come società multietnica e multireligiosa. Questa è la sua forza e la sua ricchezza. A fronte di un mondo in rapido movimento, L’Europa deve difendere le proprie radici culturali e insieme darsi nuove regole, ma sempre rispettando quei valori di democrazia, tutela dei diritti umani, libertà, uguaglianza e convivenza che le sono propri. Come in un viaggio, mettiamo da parte paure, diffidenza, ostilità e indifferenza e armiamoci di curiosità, rispetto, solidarietà e umanità. Perché, sono sempre parole di Matvejević, “Quando la nazionalità diventa più importante dell’umanità, un paese ha finito di esistere”.
Per approfondire:
• un libro di poesie: “Solo andata” di Erri De Luca, Feltrinelli
• un reportage: “Bilal” di Fabrizio Gatti, Rizzoli
• un saggio: “Eccessi di culture” di Marco Aime, Einaudi
Pubblicato su il reporter
Roberto
Quanta verità in queste parole…verità che ci fanno sentire piccoli piccoli.
Grazie Anna, come al solito hai colto nel segno !!!
Roberta
consiglio anche “Il mare di mezzo” di Gabriele Del Grande, altro reportage assolutamente da leggere