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Montagna, non ti tocchi chi più t’ama (2)

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21/07/2009

La passione per l’alpinismo anche quest’estate ci sta restituendo già molte vittime. Ieri in Pakistan è morta una giovane donna, Cristina Castagna, dopo aver conquistato la vetta del Broad Peak (8.047 metri). A suo attivo aveva quattro altri ottomila. I familiari hanno trovato un biglietto scritto da lei prima di partire: “Se mi succederà qualcosa lasciatemi dove la montagna mi ha chiamato a sé“. “Le ultime parole d’amore” è il titolo del commento di Alberto Papuzzi su La Stampa. Mauro Corona, sul Corriere della Sera, lo chiama “il biglietto d’amore per la montagna“. C’è spesso la tendenza da parte degli altri alpinisti e dei media a circondare le morti “bianche” di un alone di eroismo. Ma questa morte è solo una terribile, tragica e triste conferma delle statistiche. La montagna, soprannominata K3, era il quinto ottomila di Cristina Castagna che stava ridiscendendo a valle.

Scrivevo l’agosto dello scorso anno un altro post dal titolo: “Montagna non ti tocchi chi più t’ama“. Eccone alcune righe: “Non voglio entrare nella polemiche e nel grande frastuono mediatico dato ai morti e ai sopravvissuti delle recenti tragedie in Himalaya e sulle Alpi. Confesso però di essere rimasta colpita dalle statistiche: il 25% di coloro che scalano la vetta del K2 muoiono, in genere durante la discesa. Credo sia la stessa percentuale di “insuccesso” di chi tenta il suicidio. Prima di riuscirci ci prova diverse volte. Come dire che la scalata del K2 è un tentato suicidio che una volta su quattro riesce.”

A.M.

Per un approfondimento sulla montagna: Pellegrini e alpinisti

Per i dati sulla percentuale di decessi nelle scalate degli 8000 : Ottomila

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7 Comments
  1. Rispondi

    Luciano

    21/07/2009

    Forse conoscere, anche se conoscere è una parola grossa, una ragazza come Cristina non mi fa essere obiettivo.

    Non è la prima volta che la montagna mi prende persone amiche o conosciute, abito in montagna e la cosa è quasi naturale.

    Ci sono alpinisti che cercano la fama e la ricchezza e ci sono alpinisti, come Cristina, che cercano solo se stessi nella montagna.

    Forse anche il suo essere donna in un mondo maschile la rendeva speciale.

    La Cristina che ha visto morire compagni di cordata e la Cristina che ho visto piangere una sera alla notizia della morte di un amico spagnolo sempre in Hymalaya, non voleva far parte di quel 25%.
    Ma chi sa di montagna capisce che qualcuno non può fare a meno di rischiare la propria vita per trovare se stesso, anche perchè che vita sarebbe se la ricerca di se stesso finisse??

    il 25% muore ma “non tutto quello che si può contarre conta”

  2. Rispondi

    A.M.

    21/07/2009

    caro Luciano, dalle tue parole si percepisce un grande dolore, e la cosa più giusta sarebbe solo un abbraccio. Non pensare che abbia scritto la parola suicidio con leggerezza. Se ti ha ferito mi scuso. Ma quando non sei direttamente coivolto, come invece lo sei tu, riesci a vedere le cose con più obiettività. Rischiare di morire ogni 4 tentativi, fosse anche ogni 8, è una roulette russa. La sola differenza, grossa, è che con il suicidio spesso vuoi far sentire in colpa chi rimane, e non è certo questo il caso. Non posso non pensare ai suoi genitori con quel pezzo di carta in mano. Loro forse la giustificheranno (suo padre è alpinista…) come fanno in moltissimi e lo si vede dai tanti messaggi e dal generale cordoglio che ha suscitato e non può non suscitare anche in chi non la conosceva, la morte di una ragazza così giovane bella e vitale. Il rischio è parte della vita. Ma se avessi un figlio e uscendo in moto avesse una probabilità su 4, anche una su 10 di non tornare, farei di tutto per fargli cambiare mezzo. I numeri contano, più delle parole.E contano soprattutto quando li colleghi a un sorriso che non c’è più.Che vita è se la si interrompe? E’ perdere se stessi, non ritrovarsi… Un abbraccio a te e un pensiero a Cristina che nonc’è più, purtroppo.

  3. Rispondi

    Maurizio

    23/07/2009

    Cercare se stessi … trovare se stessi … qualcuno mi spieghi cosa significa esattamente.
    Molte persone che fanno sport estremi giustificano le loro performance con questa ricerca.
    Non ho mai sentito nessuno dire di aver trovato quello che cercava!
    Se si tratta solo di una ricerca introspettiva – cosa che in maniera più o meno profonda facciamo un po’ tutti – non si capisce perché si debba fare rischiando la propria vita.
    Spesso si tratta semplicemente di una ricerca dei propri limiti fisici: ovvio che per misurarli sia indispensabile avvicinarcisi fino a sfiorarli.
    In tal caso è opportuno valutarne attentamente i rischi e chi non lo si fa è semplicemente un incosciente.
    Chi lo fa e li accetta in pratica accetta di giocare alla roulette russa.
    Fortunatamente l’esperienza, l’attenta preparazione e il controllo – per quanto possibile – dei parametri in gioco, può ridurre la percentuale di insuccessi a valori accettabili.
    A questo proposito vorrei dire che la percentuale del 25% di non tornare vivi dalla scalata del K2 mi pare una esagerazione giornalistica e andrebbe verificata scientificamente.
    Se fosse vera sarebbe addirittura più alta della roulette russa (1 probabilità su 6 di morire) e forse della stessa probabilità di successo di coloro che tentano il suicidio.

  4. Rispondi

    A.M.

    23/07/2009

    Caro Mau, condivido totalmente quel che scrivi. Avevo letto la percentuale di decessi su, credo, il Corriere lo scorso anno a seguito delle molte tragedie estive in montagna. Mi hai messo il dubbio che il 25% potesse essere esagerato, allora ho cercato in internet, e in 30” è uscita questa pagina che tutti gli appassioanti d’alpinismo dovrebbero leggere e forse anche far leggere alle persone a cui vogliono bene prima di affrontare un’ascensione: http://it.wikipedia.org/wiki/Ottomila . E ora la inserisco anche nei link del post.
    La percentuale di decessi dal K2 è il 26,7%. Cristina in realtà scendeva da un’altra montagna il K3 (percentuale di decessi dal ’90 “solo” 8,6%), ma immagino che il K2 sarebbe stata una delle sue prossime mete, visto che si era prefissata la conquista degli 8000. L’Annapurna ha il 40,77 di decessi. Dal grafico risulta che dal ’90 la percentuale è molto calata. Almeno questa una buona notizia, ma per il K2 rimane del 19,7. Ieri notte non riuscivo a dormire. Mi venivano in mente alcuni, rari, sacrifici che facevano gli Inca: uccidevano una vergine, un colpo alla testa, e la offrivano alla montagna. Sembra quasi che anche molti di noi ritengano questo assurdo e consapevole tributo di vite qualcosa di “dovuto”, un prezzo da pagare alla montagna e in qualche modo lo giustifichino. Io, come tutti, per vivere accetto un margine di rischio in cui è contemplata ovviamente anche la morte accidentale. Ma non amo il rischio. Forse è anche per questo che dopo essere rimasta a vent’anni appesa nel vuoto a una corda doppia per 15 lunghi minuti e essere stata salvata in extremis dal soffocamento (durante un regolare corso CAI, ma allora ancora non erano diffuse le imbragature e io non l’avevo), ho abbandonato l’alpinismo.

  5. Rispondi

    Luciano

    23/07/2009

    Caro Maurizio, ti propongo paio di domande.

    Il fatto di non capire perché qualcuno sfida la morte andando alla ricerca di qualcosa è un limite solo se si ha di se stessi la presunzione di poter capire tutto?.

    Non c’è forse una sorta di presunzione voler capire sempre e comunque cosa c’è dentro l’animo degli altri ?

    Le risposte sono credo ovvie, e se non lo sono siamo su lunghezze d’onda molto lontane.

  6. Rispondi

    A.M.

    23/07/2009

    Ciao Luciano, credo che Maurizio e io stiamo semplicemente esprimendo un’opinione personale, non vuole essere presunzione . Come tu dici, non capisco cosa c’è nella testa e nell’animo di chi pratica gli sport estremi. Quando ami la vita, metterla così tanto a rischio è ancora più assurdo. E per assurdo riesco a capire di più chi per depressione o per disperazione decide di rinunciare alla vita.
    Se vai nei libri recensiti su questo blog trovi questo :http://acomeavventura.com/il-suonatore-di-bottiglie-racconti-di-viaggi-e-di-montagne/ di Manuela Curioni.
    Ecco, io la penso come lei quando scrive: “E’ strano pensare che si debba arrivare nel paese che sfiora il cielo per capire questa cosa, per accorgerti, proprio adesso che sei davanti alle montagne più alte del mondo, che ciò che più ti affascina di esse è quello che intravedi dietro il loro profilo, gli odori e i colori delle pianure e gli occhi misteriosi delle persone che le abitano”.
    Grazie per le tue riflessioni, in molti condividono il tuo pensiero, quindi ci sono certo ragioni che a me rimangono oscure. Immagino che chi fa alpinismo a quei livelli ne conosca i rischi, anche se in questo caso non so se sarebbe più giustificabile l’ignoranza o la consapevolezza.

  7. Rispondi

    Maurizio

    23/07/2009

    Caro Luciano, ho il massimo rispetto per le tue opinioni e ancor più per il dolore per la perdita della tua amica, dolore che traspare da quello che scrivi.
    La mia ammissione di non capire e la richiesta che qualcuno mi spiegasse certe motivazioni la definirei più umiltà che presunzione.
    Dici che le risposte sono ovvie e così facendo continui a non aiutarmi a capire.
    Secondo me queste risposte proprio ovvie non sono tanto più che talvolta gli stessi interessati non le conoscono!
    E’ il caso di un navigatore solitario intervistato tempo fa in TV che dichiarava di non sapere perchè lo faceva.
    Un’altra cosa che non capisco (evidentemente ho dei grossi limiti) è se queste persone nel valutare l’ipotesi di perdere la vita pensano anche al dolore immenso che possono creare a mogli, mariti, compagni, figli, amici o anche semplici conoscenti.
    Personalmente solo questo pensiero mi farebbe desistere da qualsiasi impresa concretamente rischiosa.
    Detto questo lungi da me criticare chi la pensa diversamente o che viaggia su lunghezze d’onda distanti.
    Se la pensassimo tutti allo stesso modo sarebbe una noia mortale

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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