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11/09/2009

L’uomo è nato nomade, cacciatore e raccoglitore, poi è divenuto stanziale con l’agricoltura e l’addomesticamento degli animali. L’alternativa nomade è sopravvissuta in particolare fra i pastori e non è un caso che in greco “nomos” significhi “pascolo”.

Nomadi e stanziali sono stati per millenni due universi complementari, diventando sempre più conflittuali con l’espandersi dell’agricoltura e il diffondersi del modello urbano. Da una parte la “civitas”, dall’altra i senza fissa dimora, considerati barbari e guardati sempre con diffidenza. Oggi gli “uomini delle tende”, come li chiama la Bibbia, sono ormai residuali, in bilico fra emarginazione e assorbimento, sconfitti da un mondo sedentario che si annette sempre nuovi spazi e traccia confini sempre più invalicabili per persone e animali.

Più della metà della popolazione mondiale vive in aree urbane, mentre solo un secolo fa il 90% abitava le campagne. A differenza di quanto Chatwin sosteneva ne “Le vie dei canti”, la storia sembra confermarne che l’uomo tende alla stanzialità e che al vuoto dei grandi spazi preferisce la concentrazione delle città. Chatwin in fondo era un viaggiatore inquieto che proiettava problematiche esistenziali occidentali su un mondo altro. O forse più che inquieto potremmo dire sradicato. Perché l’opposizione non sembra più essere fra nomadismo e stanzialità, ma fra radicamento e sradicamento.

Agricoltori e pastori erano entrambi dipendenti dai ritmi della terra e da una struttura familiare, mentre l’uomo contemporaneo si è emancipato da questi legami. La produzione dei beni è sempre più disgiunta dalla terra, i rapporti affettivi sono sempre meno stabili e, non ultima, la rivoluzione digitale ha cancellato le distanze, esaudendo il sogno dell’essere ubiqui. Siamo dovunque, quindi non siamo più in nessun luogo, o meglio non apparteniamo più a nessun luogo. Grazie al PC, o semplicemente a un telefonino, siamo liberi di stare e di andare, portando sempre con noi la nostra casa virtuale. Forse, in realtà, non ci muoviamo, siamo prigionieri di una casa diventata un nonluogo, proprio perché potrebbe essere ovunque. Il nostro non è l’andare romantico del vagabondo e non assomiglia neppure al nomadismo tradizionale. Il nomade si muove con le sue tende secondo precisi riferimenti spazio-temporali lungo percorsi stagionali disegnati sui bisogni delle mandrie; la sua forza sono i solidi legami familiari e relazionali uniti alla profonda conoscenza di una terra spesso ostile e assetata. Per il nomade libertà significa una lunga fedeltà alle tradizioni e ai luoghi.

Noi ci muoviamo senza più vincoli, ormai incapaci di sopravvivere al contatto diretto con la natura se privati della protezione di case e auto, della mediazione del GPS e della sicurezza del telefono. Il nostro è una sorta di neonomadismo che si muove lungo le moderne carovaniere del mondo digitale e globalizzato. Ci siamo emancipati dalla terra e dalla famiglia come sola possibile scelta di vita, ma la nuova libertà di cui possiamo godere ci ha lasciato una nostalgia profonda per qualcosa che abbiamo perduto e che forse è ciò che andiamo cercando nei grandi spazi dei deserti africani o delle steppe centroasiatiche.

Lì gli ultimi nomadi tengono vivi gli antichi legami. La loro è una vita precaria, soggetta alla violenza della natura, fatta di equilibri fragili e sempre più difficili. Ma ci attraggono per la loro semplicità, le loro doti straordinarie affinate nelle generazioni per sopravvivere ad ambienti estremi, il loro muoversi leggeri senza modificare il paesaggio, i ritmi di lavoro che sono gli stessi della vita, lo scorrere lento del tempo scandito dall’avvicendarsi del giorno con la notte, dell’estate con l’inverno.

Probabilmente non sono uomini liberi e felici come una certa letteratura romanticizzante li ha descritti. Sono degli splendidi perdenti, ma capaci di risvegliare in noi il ricordo nostalgico e addormentato nei nostri geni di quando la terra non ci era estranea. Lo stesso ricordo che fa scrivere a Massimo Zamboni, mentre percorre le grandi solitudini della steppa mongola: “Non mi fido di quelle inquietudini che non piantano alberi o allevano animali”.

 A.M.

Pubblicato su il reporter

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16 Comments
  1. Rispondi

    Fabio Massimo Fioravanti

    11/09/2009

    Grazie Anna per le tue vere e belle riflessioni!

  2. Rispondi

    Caterina

    12/09/2009

    Bellissimo, evocativo e vibrante.
    Al di là di ogni commento quanto scrive Anna Maspero merita la lode per i suoi contenuti e per la forma: il racconto sfuma in un linguaggio pittorico che non conosce confini perchè in sè custodisce l’intera famiglia umana alla ricerca di sè.
    Grazie davvero
    caterina

  3. Rispondi

    A.M.

    12/09/2009

    Gentile Caterina, delle parole come le sue le metto nel cassettino delle cose buone per tirarle fuori nei momenti di bisogno… So di non poter essere all’altezza di un giudizio così lusinghiero. Però nello scrivere quest’articolo, più che in altri, ho toccato tasti che vibrano nel mio intimo. Perché, come molti, anch’io sono disorientata in un mondo che consuma e relativizza quelli che sembravano valori universali, un mondo che ci regala una libertà di scelta di cui inevitabilmente paghiamo il prezzo. E allora con la bussola delle parole cerco di ritrovare dei valori, quelli con la V maiuscola, quelli che abbiamo perso senza riuscire a sostituirli davvero. E i viaggi, quando riescono ad essere un confronto vero con l’altro e l’altrove, possono diventare un’occasione preziosa per trovare risposte al nostro disorientamento. Proprio dalla riflessione e dalle letture che hanno accompagnato il mio ultimo viaggio in Mongolia è nato questo articolo.

  4. Rispondi

    Sara

    12/09/2009

    anch’io ho provato lo stesso Anna in Mongolia…

  5. Rispondi

    Enrico

    12/09/2009

    Cara Anna, ho letto e apprezzato il tuo articolo e, mentre leggevo delle forze psichiche alla base del nomadismo degli uomini, pensavo al nomadismo come “stato” dell’anima, al movimento come una necessità simile al respiro, simile al pulsare del cuore e allo scorrere del sangue: sintomi inequivocabili di vitalità dell’organismo. Anche la stanzialità è vitale ma in una dimensione diversa: il lago è stanzialità viva ma è diversa dal fiume che ha nella sua natura il percorrere, lo scorrere, il movimento. Ci sono laghi e ci sono fiumi: entrambi ospitano vita ma vita diversa. Se penso a me stesso vedo davvero “un’anima divisa in due” : un bisogno di “casa” che convive con un bisogno di “andare”. nella pulsazione di questa dualità sembra racchiudersi l’unico stile di vita che mi si adatta: partire sempre per poi sempre ritornare.
    Un saluto cordiale a te e un grazie per la qualità e la profondità dei tuoi messaggi Enrico

  6. Rispondi

    Paolo G

    13/09/2009

    nomadismo e stanzialita’ esistono se correlazionate allo spazio ed al tempo. fara’ effetto sottoporre entrambi (nomadismo e stanzialita’) alla coordinata umana ed emozionale che rende un profilo piu’ veritiero e accende luci e slanci che fanno di ogni singolo individuo un’entita’ unica ed autentica… che poi alla fin fine e’ il fine ultimo da esaltare e tenere in debita coonsiderazione.

  7. Rispondi

    A.M.

    13/09/2009

    Caro Enrico, mi fa piacere la tua mail e condivido totalmente il tuo approccio. Partire è per me necessario ma sarebbe sterile senza il tornare. Anch’io vivo questa duplicità. Chissà, forse perchè nata sotto il segno dei gemelli! Proprio ieri invece ho avuto un lungo scambio con un amico che sostiene che l’uomo deve avere ali e non radici, perchè le radici lo legano a un’unica identità e lui preferisce la libertà di poter cambiare e reinventarsi… Capisco il punto, ma mi sembra che se non hai radici in un luogo non riesci a costruire. Però ognuno di noi è diverso, l’importante è capire cosa si sta cercando e dove sta il proprio equilibrio.
    E la metafora del fiume e del lago è molto bella. …un caro saluto, anna

  8. Rispondi

    Enrico

    13/09/2009

    cara Anna, anche la metafora del tuo amico che parla di ali e di radici la trovo estremamente aderente al discorso sul nomadismo del corpo e su quello dell’anima. Hai ragione: un albero può crescere, può “costruire” i suoi rami solo se ha radici robuste ma chi ha ali ha comunque un nido a cui tornare oppure se lo costruisce la dove, di volta in volta, ritiene che possa esserci la sua casa. Un nido è un luogo fragile, spesso esposto alle intemperie e agli attacchi dei predatori ma..che fascino, che senso di inti mità, che calore … Sotto questo aspetto mi sento anch’io senza radici intese come identità culturale specifica (a parte forse un vago senso di appartenenza al continente e alla storia europea) ma con un fortissimo bisogno di realizzare il “nido” la dove il mio spirito si sente appagato e in armonia. Il resto è volo, è sguardo che arriva lontano, è ebbrezza del viaggiare, è piacere profondo dello sbocciare di nuovo dentro un nuovo amore, dentro una nuova scoperta, dentro un’altra avventura creativa. “Morire” e poi rinascere così, ogni volta. Non sento altra vera vita che questa.
    Un saluto, un abbraccio e un grazie per le riflessioni che sai stimolare.

  9. Rispondi

    Paolo

    13/09/2009

    Cara Anna, grazie per queste tue riflessioni così importanti, su un tema che a me sta davvero a cuore… a presto paolo

  10. Rispondi

    A.M.

    13/09/2009

    .. qualche volta sembra di riuscire a incastrare una tessera del puzzle ed è un piccolo momento di piacere che cerco di condividere… ciao e grazie, Anna

  11. Rispondi

    G

    14/09/2009

    Si ci pensavo anche io Anna Sia nel viaggio in Patagonia leggendo l’omonimo libro di Chatwin con il suo amore sviscerato per il nomadismo e l’irrequietezza e poi particolarmente qui ora in Asia centrale Uno degli ultimi posti dove il nomadismo ha cessato di essere il modo privilegiato di vivere Del resto le popolazioni qui fino a 180 anni fa erano essenzialmente nomadi in maggioranza e in alcune loro abitudini ancora qualcosa resta Quello che mi riesce difficile da capire e’ come oggi siano litigiosi su confini quando per millenni questi non esistevano (come può un nomade concepire un fisso confine da difendere? e ugualmente tale era un concetto alieno ai tempi dell ‘URSS
    Concludo evidenziando che dai sempre spunti interessanti di riflessione
    Ciao, G.

  12. Rispondi

    Samantha

    14/09/2009

    Anna ci ricordi che , l’uomo è nato nomade, sì, è vero. Ma ne resta solo un ricordo nella mente dei più sensibili. Ciò che ci circonda ha creato dentro di noi un tal bisogno di sicurezze e strutture che l’uomo nomade trova ancora spazio per esistere solo nel mondo onirico. Ricercarlo però resta un diritto di tutti, per riscoprirne caratteristiche e libertà che potrebbero tornarci utili, anche in questi tempi veloci e sempre pieni.
    Nel mio piccolo ho provato un’esperienza di viaggio nomade, 15 giorni con una bici, da sola, ho percorso il Camino del Norte, ho scoperto molto, molti miei limiti, molti pensieri, molte cose superflue, molti dialoghi interessanti con gente del luogo, molta fatica. Sì nomade a tempo determinato, però pur sempre un po’ nomade lo son stata:).

  13. Rispondi

    A.M.

    14/09/2009

    Anche i vostri commenti fanno riflettere, grazie. Gli ultimi nomadi ancora esistono, come in Mongolia dove parte della popolazione si sposta 2-4 volte l’anno con le loro gher anche se solo per qualche decina di km. Per chi volesse approfondire c’è un bel libro “Gli uomini delle tende” di Turri. Ma più che l’analisi antropologica, mi interessa la riflessione su noi stessi, il segno che il viaggio lascia sul viaggiatore. I loro valori sono il senso di libertà che però si coniuga con legami profondi. E poi la leggerezza, l’essenzialità, il rispetto per la terra. Davvero valori che potrebbero tornarci utili, perchè se per loro è questione di sopravvivenza, lo è forse anche per noi.Ciao Anna

  14. Rispondi

    Chiara

    15/09/2009

    forse possiamo trovare il modo di essere ancora un po’ nomadi: rileggere, ripensare, rivivere queste sensazioni, magari facendo una bella camminata è bello sentire che c’è chi prova le stesse tue emozioni nell’andare più profondo …e leggero!

  15. Rispondi

    Asya

    16/01/2019

    Non mi è chiara una cosa, in che modo sarebbe possibile superare il binomio nomadismo-stanzialità?

    • Rispondi

      Anna Maspero

      13/02/2019

      Gentile Asya, grazie per il tuo commento (ti immagino giovane alle prese con l’università). Il tuo nome è bello e fa pensare ad altri mondi e altre culture.
      Ho riletto quanto avevo scritto tempo fa e davvero temo di non avere molto da aggiungere. Ho approfondito il concetto di casa e altrove nelle prime pagine del mio secondo libro Il mondo nelle Mani. Adesso però sono su un treno per Roma e non ho con me il testo. E’ un libro nato proprio raccogliendo e rielaborando questi post che scrivevo per il Reporter.
      Sono appena rientrata da un mese in India per riprendere un po’ di energie dopo aver terminato la scrittura di una guida sulla Colombia e forse proprio in India più che altrove si ha la sensazione che gli opposti, o i binomi, come scrivi, possano coesistere, che al posto di o sarebbe meglio utilizzare la congiunzione e. Ali e radici come dice una canzone. Viviamo in anni in cui tante cose sono perse per sempre ma ci sono anche incredibili opportunità e far coesistere dentro una sola persona scelte diverse è possibile.
      Buon cammino, Anna

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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