Nostalgia dello spazio, nostalgia del tempo
Pubblicato su il reporter : Nostalgia del tempo – Nostalgia dello spazio
Nostalgia è un nome plurale. O meglio, andrebbe declinata sempre al plurale, perché è almeno duplice: c’è la nostalgia dello spazio, come amava definirla Chatwin, e c’è la nostalgia del tempo. La prima è in genere nostalgia di casa, tanto che il termine deriva proprio dal greco “nostos” (ritorno) e “algìa” (dolore). Voglia di tornare o di tornare a casa, “homesickness”, come con ancora maggior chiarezza dicono gl’inglesi. Ma se in viaggio abbiamo nostalgia di casa, al rientro siamo invece spesso catturati dalla nostalgia della strada percorsa e di quella che vorremmo percorrere, dei luoghi e delle persone avvicinati, dal desiderio di nuove terre e nuovi orizzonti. E’ la crisi del rientro, quando ci si sente come stranieri a casa propria e subito si sogna una nuova partenza. Pur legati a luoghi e affetti, lavoro e doveri sociali, sentiamo il nostro microcosmo troppo stretto. Gl’innamorati del continente nero la chiamano “mal d’Africa”, oggi potremmo più genericamente chiamarla “mal di viaggio”. Per qualcuno può diventare una vera patologia, “la grande malattia dell’orrore per il domicilio” secondo Baudelaire. Lo stesso male di cui soffre l’Ulisse dantesco, eroe nostalgico e curioso: superate ogni genere d’insidie per tornare a Itaca dalla moglie e dal figlio, si accorge che questa meta agognata e sofferta non è l’approdo definitivo, ma una semplice tappa del suo viaggio e così riparte per avventurarsi oltre le Colonne d’Ercole.
Eppure il viaggio è capace di riconciliare e riequilibrare queste opposte spinte emotive. Senso di appartenenza e ansia di libertà, desiderio di casa e voglia di fuga, qui e altrove, sono tutte dicotomie necessarie che si ricompongono nel carattere circolare del viaggio.
“Gli uomini devono partire, per avere la possibilità di ritornare”, scrive Coelho nell’Alchimista. E infatti partiamo sempre con un biglietto di ritorno in tasca. Partiamo perché siamo certi di tornare, o di poterlo fare. Anche se non è così per tutti. Tendiamo a dimenticarcene, ma forse l’unica vera nostalgia di casa è quella degli emigrati, degli esuli e dei fuggiaschi. I nostri viaggi invece descrivono una circonferenza dove partenza e arrivo, alla fine, coincidono. È così per noi possibile perseguire entrambe le tensioni e stabilire fra loro un rapporto vivificante, evitando che un nomadismo protratto ci faccia alla fine sentire sempre stranieri sia qui come altrove. Ritornare permette di scoprire che il nostro piccolo mondo racchiude un pezzo d’infinito. Viaggiare ci rivela che l’infinito ha molti modi di manifestarsi e il nostro mondo è uno dei tanti possibili. L’importante è mantenere anche a casa le capacità percettive del viaggio e vivere anche la quotidianità con quella leggerezza che solo il distacco offerto dalla lontananza concede.
Il movimento del viaggio non racchiude però soltanto il concetto di spazio, del qui e dell’altrove, ma anche quello di tempo, del prima e del dopo. Perché se si può tornare in uno stesso luogo, “non si dà mai il caso che nella vita qualcuno possa rivedere lo stesso panorama due volte”, come ha scritto la grande esploratrice Freya Stark. E’ la “nostalgia del tempo”, spesso elusiva e difficile da accettare. Una “malattia” per cui non c’è cura, perché, se è comunque possibile ritornare in un luogo, non è possibile fare scorrere all’indietro le lancette dell’orologio. L’uomo ha nostalgia di ciò che non è più. E desiderio di ciò che non è stato o che non sarà mai.
La nostalgia del tempo è soprattutto quella delle origini, quella che insegue il passato di ciascuno di noi e del mondo.
È il rimpianto della magia del primo amore e del primo viaggio. E’ l’emozione irripetibile del primo sguardo sull’altro e del primo incontro con una terra che ci era ancora sconosciuta. Una nostalgia cui è difficile resistere, perché, grazie a un umanissimo processo di rimozione, ha il grande potere di rendere tutto perfetto nel ricordo.
Nostalgia del tempo è anche la tristezza del ritorno nei luoghi che più ci hanno affascinato e lo scoprirli irrimediabilmente feriti. E’ il rimpianto di piste di terra e di case senza parabole televisive, di paesaggi e culture perduti per sempre: la cittadella di Bam tornata sabbia, i monasteri del Tibet, la vecchia Bangkok, l’Africa dei primi esploratori e, non ultima, anche l’Italia prima del boom economico. Vorremmo che l’altrove rispecchiasse il nostro sogno dell’Eden perduto. Vorremmo salvare, o almeno essere testimoni, di quel che ancora sopravvive della fragile bellezza di un mondo sempre più minacciato. Questa nostalgia di culture autentiche e di luoghi intatti, è però infida, perché, se diventa la sostanza del nostro viaggio, rischia di trasformarsi in una sorta di malinconico snobismo che ci rende incapaci di capire e accettare un presente fatto di contaminazioni, anche feconde e non necessariamente da esorcizzare, e comunque materia di cui è fatta la storia nel suo continuo divenire.
La nostalgia del futuro è invece una leggera inquietudine che ci assale quando percepiamo la nostra provvisorietà, pensando a un evento come il passaggio di una cometa ad esempio, previsto in una data in cui presumibilmente non potremo esserne testimoni.
La nostalgia più pericolosa è però quella del presente. Nostalgia dell’attimo fuggente. Tutto succede una sola volta e non si ripete più, se ne va per sempre: se ci riflettiamo, rischiamo di perdere anche la gioia dei momenti belli. La vita è un viaggio, ma questa volta con un biglietto di sola andata. Un biglietto a tempo. Come il Piccolo Principe, possiamo solo considerarci in visita sulla terra. Si sale in carrozza, si può cambiare vagone o treno, viaggiare in prima classe e scendere per una sosta, ma non si conosce la stazione dove la nostra corsa avrà termine. E non è previsto un ritorno.
Come riconciliarci allora con lo scorrere del tempo? Se la nostalgia dello spazio si ricompone nella circolarità del viaggio, quella del tempo può ricomporsi solo nell’unità dell’io, perché l’io è in fondo il solo luogo cui apparteniamo davvero. L’io è fatto di passato, di presente e di quel futuro che ci è dato in sorte. Mi piace pensare che l’io sia il frutto della terra cui apparteniamo ma anche delle strade che percorriamo, in senso metaforico e reale. Questa presa di coscienza della nostra unicità diventa allora l’inizio di un nuovo appassionante viaggio, quello con se stessi alla scoperta dell’altro.
A.M.
Mira
Molto interessante: un problema può essere , tra i tanti, quando questo benedetto “io” vacilla, diventa problematico, si atrofizza, si impoverisce, insomma ci mette a disagio. Allora le strade percorse, reali e metaforiche, sembrano così poco “evocative” ( e davvero non so usare altre parole) che questa nostra unicità, in cui abbiamo pure noi creduto ( e dico noi presupponendo che non sia proprio questo stato la mia unicità), si dissolve. La nostalgia, il ritorno a casa, il mondo noto, i nuovi luoghi, i viaggi, lo spazio, il tempo, l’Eden e compagnia: ma tutto questo c’è stato, l’ho sentito, l’ho solo immaginato, me lo sono inventato per non vedere altre piccole o grandi cose? Ripetiamo parole sentite dire o siamo tutti tanto simili? Nostalgia di quando ci credevo. Nostalgia.
A.M.
Grazie Mira, bellissima riflessione. Anch’io inevitabilmente ho “nostalgia di quando ci credevo”. Adesso sono più disincantata, credo sia una questione di età, esperienze e km. Ma cerco di continuare a provare stupore. E oggi vivo il viaggio in modo diverso, forse più maturo e meno “mitizzato”.
Ti incollo qui sotto alcune riflessioni scritte nell’intorduzione al mio libro, che mi sembrano appropriate alla tua riflessione.
“Sono soprattutto i viaggiatori più sensibili ad avvertire un senso di inadeguatezza nel confrontare il proprio andare, inevitabilmente condizionato da costrizioni di tempo e da limiti personali, a quel modello ideale che si rifà a un passato forse fin troppo idealizzato. Se è vero che la propria battaglia si affronta nella quotidianità e che «l’avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa» perchè «è là che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire» , il viaggio non dovrebbe però ridursi a una temporanea sospensione della routine. Può invece essere un prezioso spazio di libertà, di socializzazione e realizzazione personale, capace di offrire nuovi stimoli, incontri, esperienze, emozioni ─ e anche una certa dose di svago ─ a chi lo affronta con passione e curiosità. Il viaggio è una grande occasione, l’importante è non sprecarla.”
Grazie, Anna
Mira
Grazie per la tua risposta, per quello che dici sulla casa ( dove ” si gioca la vita” ) e per quello che dici sul viaggio come grande occasione da non sprecare. Credo di avere capito e credo che tu abbia capito.Continuerò a seguirti. Mira
Laura
Voglio ringraziarti per la delicata e profonda pausa mentale che mi ha regalato la lettura delle tue osservazioni su temi come la leggerezza, la nostalgia e altro. L’ho assaporata con lentezza, per acuire la mia capacità di osservazione e, di conseguenza, di stupirmi; sensazione quasi magica di quando, sulle cose, “si posa uno sguardo consapevole” (M.Yourcenar).