Partire? Perché no
Un’amica un giorno mi ha scritto le parole di vecchio contadino suo amico: “Viaggia chi non sta bene a casa propria, chi non ha casa viaggia per trovarsela, viaggia chi non ha soldi e chi ne ha troppi, viaggia chi non è felice perché non ha trovato il proprio posto. Io conosco solo due cose, la mia terra e le mie bestie e loro conoscono me, e sono un uomo felice”. La vita ha probabilmente offerto a quest’uomo due sole alternative, restare e sudare sulla terra o emigrare, e lui ha scelto la prima, elaborando una sua filosofia ricca di profonda saggezza contadina.
Per noi è diverso, ci troviamo davanti una pluralità di scelte, la nostra vita è più facile, ma anche meno semplice. Se viaggiare è ancora una necessità per emigranti e profughi, per noi rientra invece nella sfera del superfluo e qualche volta, più che un’esigenza reale, è uno dei tanti bisogni indotti dalla società dei consumi. Con la crisi economica che ha investito l’Occidente si viaggia però meno o per periodi più brevi, diminuiscono i drogati del viaggio continuo tesi soprattutto ad accumulare chilometri e paesi, così come quelli che partono più per moda o per noia che per passione. La crisi diventa così anche l’occasione per riscoprire mondi più vicini e modi di muoversi più semplici ed essenziali, per riflettere sul viaggiare non meno, ma meglio e per interrogarsi sulla necessità stessa del partire. Accanto all’elenco delle motivazioni che spingono al viaggio raccolte nell’ultimo post, utile allora anche l’esercizio inverso, l’elenco delle ragioni per restare o semplicemente per rallentare quella che per qualcuno si trasforma in una sorta di bulimia del viaggio. Ecco allora alcune provocazioni / riflessioni, frutto di osservazioni personali o letture (a voi scoprire alcuni richiami …), sul perché NON partire.
- Perché in agosto per trovare il silenzio è meglio starsene a Milano.
- Perché saggiamente per gli inglesi “to rest” vuol dire riposarsi.
- Perché non c’è nulla come il gabinetto di casa propria.
- Perché il piacere del viaggio sembra ridursi sempre più spesso alla ricerca del comfort.
- Perché il viaggio è anche noia, fatica, rischio…
- Perché le avventure che raccontiamo al ritorno sono quelle che durante il viaggio chiamiamo sfighe.
- Perché “l’avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è là che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire”.
- Perché viaggiare può trasformarsi in una fuga da se stessi e dalle responsabilità.
- Perché il viaggio è un’evasione solo apparente e si è sempre in libertà vigilata.
- Perché a furia di viaggiare si diventa stranieri anche a casa.
- Perché tra partenza e appartenenza non è sempre facile scegliere.
- Perché la realtà di ciò che si trova è sempre più spesso inferiore alle aspettative.
- Perché “caelum, non animum mutant, qui trans mare currunt”.
- Perché il vero viaggio di scoperta è morto ed è sempre più raro provare straniamento e stupore.
- Perché è un’illusione quella di poter conoscere il mondo viaggiando.
- Perché alla fine si scopre che “tutto il mondo è paese” e che il diverso è sotto casa.
- Perché “il solo vero viaggio non è andare verso nuovi paesaggi, ma avere nuovi occhi”.
- Perché ormai anche per gli antropologi è più interessante studiare “l’homo turisticus” che l’abitante di atolli sperduti.
- Perché “il mondo, monotono e angusto, oggi, ieri, domani, sempre, riflette la nostra immagine: oasi d’orrore in un deserto di noia!”
Morale: c’è del vero in tutte queste affermazioni, ma, come dice Bocconi, “Forse il punto non è se stare a casa o partire … il mio cuore è col viaggiatore, non sono né così saggio né così malato da star bene solo dove sono nato, dove vivo”.
Consiglio di lettura: Antonio Pascale, “Non è per cattiveria. Confessioni di un viaggiatore pigro”, Laterza.
Pubblicato su Il Reporter