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20/02/2009

Un sogno di bambino, un desiderio a lungo accarezzato, una coincidenza improbabile… O anche un libro, un racconto fra amici, un reportage… ecco che il nostro viaggio ha un nome e incomincia a prendere forma nella nostra mente. E’ il suo vero inizio. Solo più tardi, talvolta anche anni dopo, arriva il momento della partenza, l’ingresso “ufficiale” nella nostra piccola odissea.
Per ognuno c’è in genere un momento preciso a segnare la vera partenza, quando si prova quell’ebbrezza che ci fa sentire di essere nuovamente “in viaggio”. Per me è una certa curva della strada che nasconde la sagoma familiare della fattoria che mi lascio alle spalle. Per altri è una cerimonia personale o il chiudersi del portellone dell’aereo o il ritrovare il gusto annacquato del Nescafé…
Con il percorso e il ritorno a casa, la partenza è un elemento strutturale del viaggio. Ne è la condizione prima e necessaria, ma non per questo si può sempre dare per scontata. Perché oltre che fisica deve essere mentale. Chiudersi davvero la porta alle spalle è sempre più difficile in un mondo ipertecnologico che cancella le distanze e ci permette di essere sempre connessi alla nostra realtà quotidiana di lavoro e affetti. Se non “fa le valigie” anche la mente, il rischio è di viaggiare senza essere davvero mai partiti. Solo se non ci si porta appresso il se stesso di sempre, solo se si è capaci di staccare da ruoli e regole abituali, di abbandonare certezze e condizionamenti, è possibile avvicinarsi a un sé più intimo e profondo, anche, forse soprattutto, attraverso l’incontro con l’altro. Scrive Alejandro Jodorowsky che quando nel mito si dice “andrai lontano”, metaforicamente significa “ti avvicinerai a te stesso”.
Secondo alcuni antropologi il viaggio, ma soprattutto la partenza, è uno dei pochi riti di passaggio sopravvissuti nella nostra società svuotata di molte componenti del sacro. Certo, non è sufficiente partire, dobbiamo avere il coraggio di metterci in gioco e di uscire dalle cosiddette “bolle ambientali” e cioè da quegli ambienti protetti, ma artificiali e autoreferenziali, in cui sono generalmente confinati i turisti. Il nostro viaggio deve essere fisico e mentale, spaziale e interiore, in avanti e in profondità, perché se la mente rimane ancorata al luogo di partenza vi è solo il disagio degli spostamenti. Meglio sarebbe una tranquilla vacanza relax, in qualche luogo ameno, per riposare il corpo e forse anche ricreare lo spirito. Non è tanto una questione di chilometri, quanto di immergerci corpo e mente nella nuova realtà mettendo una distanza fra l’io di sempre e quello dell’altrove. Il viaggio diventa così una sorta di rito di purificazione, un’occasione preziosa per risvegliare energie sopite, stimolare un rinnovamento e rimettere le nostre ansie in una giusta prospettiva.
La partenza, in quanto separazione da luoghi e legami abituali, abbandono del tetto protettivo e rinuncia alle abitudini quotidiane, è un momento difficile, talvolta malinconico, gravido di ansie e dubbi. Ma anche di aspettative e di desideri. E quando, una volta partiti, i timori della vigilia si dissolvono sostituiti da un dolce oblio e da una piacevole sensazione di libertà, rimane ancora una paura, se davvero siamo stati capaci di “sognare” il nostro viaggio. Quella che le nostre aspettative vengano deluse. Scrive Giuseppe Cederna a proposito de “Il Grande Viaggio”: “Ci riconoscerà? Assomiglierà almeno un po’ anche a noi? Ci vorrà bene? Ci aspettiamo grandi cose da lui”.
A.M.

Pubblicato su il reporter

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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