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01/05/2010

Passaggio aereo in mano, mi imbarco dal Terminal 1 di Malpensa nella nebbia di una mattina d’autunno. Il cielo terso del Marocco mi accoglie dopo un breve volo, la temperatura è mite e intorno c’è un sentore di primavera. Ancora tre ore di autobus e mi appare Essaouira, l’antica Mogador, protesa sull’oceano ma avvolta da una luce mediterranea, difesa dai bastioni della Skala ma aperta ai venti e al mondo.
Un anziano si avvicina con un carretto per trasportare il mio bagaglio dentro il dedalo di viuzze della medina. Attraversiamo un’antica porta che interrompe le possenti mura di terra color ocra. “Come si chiama?”, gli chiedo per iniziare a orientarmi. “La Petite Bab” mi risponde. Il riad dove dormirò nei prossimi giorni è lì accanto e questa porta  diventerà il mio passaggio abituale. Salgo sulla terrazza del riad per dare un primo sguardo alla città dall’alto. Intorno i tetti piatti imbiancati a calce: una donna raccoglie il bucato, altre due si scambiano un saluto a distanza… Ho con me la macchina fotografica, ma Jasmìna, accogliendomi nel riad, mi ha raccomandato di non scattare foto alle terrazze per non violarne l’intimità. Ripenso alle pagine de “La terrazza proibita” di Fatima Mernissi: meno di un secolo fa queste case erano harem e i tetti territorio femminile nascosto alla vista di estranei. Punto l’obiettivo verso il cielo e guardo le nuvole passare: “Chi si ferma oggi ad osservare dove vanno le nuvole? Perdersi a guardare è fondamentale”, scriveva Mimmo Jodice.
Giorno dopo giorno mi perdo a guardare. Al porto rimango ore a contemplare le migliaia di gabbiani che riempiono il cielo dei loro voli e di stridii acuti finché il sole non si immerge nella massa liquida dell’oceano. La sera, seduta al bar della grande piazza Moulay Hassan, osservo la gente passare mentre sorseggio un dolcissimo tè alla menta.
E’ trascorsa una settimana, oggi lascerò Essaouira, ma prima di salutare la città, ritorno alla Petite Bab. Sono le otto del mattino ed è un continuo via vai di persone, sospinte, come nuvole nel cielo, dal vento delle necessità quotidiane. Mi fermo davanti alla porta all’incrocio di tre vie, sistemo la macchina sul cavalletto e inizio a scattare foto a chi entra e a chi esce dalla medina. Le ombre che si allungano nel fascio di luce che attraversa la porta mi annunciano chi arriva da est, rumori di passi e chiacchiere anticipano l’improvviso apparire dietro l’angolo di chi viene da ovest. Un cane mi guarda tenendosi a distanza, qualche curioso si avvicina, bambini in divisa si affrettano verso la scuola, uomini nella tipica djellaba vanno al souq ad aprire bottega, altri vestiti all’occidentale si dirigono in ufficio, donne avvolte nel tradizionale haik e con il volto nascosto dal velo scivolano rapide come fantasmi, altre tornano dal mercato con le sporte appesantite, una signora francese porta il cane a fare pipì, pescatori rientrano dopo la notte in mare, un turista con valigia esce alla ricerca di un taxi, un rumore di zoccoli annuncia l’inatteso arrivo di un cavallo…
Passaggi, mondi diversi che si incrociano, storie solo intuite, ma che formano un puzzle capace di raccontare la città.

Guarda il video

Per approfondire “Timbuctu” di Marco Aime: una città spiazzante, un melting-pot di razze dove l’autore si ferma ad osservare se stesso, gli altri, l’idea stessa di viaggio.

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7 Comments
  1. Rispondi

    franco

    30/03/2010

    è stato un piacere vedere le tue slides, davvero un bell’incontro,mi hanno riportato indietro nel tempo e nei luoghi… grazie.

  2. Rispondi

    maria

    30/03/2010

    Affascinante, viene voglia di andare in Marocco

  3. Rispondi

    italo

    04/04/2010

    Sei una miniera. Preziosa. Divoro, molto disordinatamente, quello che scrivi.

  4. Rispondi

    Roberto

    05/04/2010

    Anna, è come se io fossi stato lì, vicino a te, al tuo fianco. Magnifica esposizione…, come al solito mi hai fatto sognare, grazie !!!!!!

  5. Rispondi

    Amici

    01/05/2010

    Qualche commento al video da Facebook:

    Brevissimo? Ma Anna c’è tutto un mondo, anzi tanti mondi, lo scorrere del tempo, le generazioni (quelle vecchie e le nuove con i mezzi moderni o tecnologici)! Sei grande! Essaouira l’ho visitata 2 volte 2 anni fa, una delle quali quando vi si svolgeva il Festival di musica gnaua. Peccato il vento (mi innervosisce e mi fa sentire il freddo dell’oceano)… a settembre andrò per la quinta volta in Marocco. Un caro saluto. Lauretta

    idea brillante! bella cittadina ci ritorno! Yoshino

    brava, interessante, un pezzo d vita. Antonio

    Grandissimoooooo!!!! Un’idea splendida che ti ruberò senza vergogna appena mi capita un’occasione simile. Bello, bello, bello, bello, bello, mi ha entusiasmato davvero per la sua originalità. Brava Anna!! ciaooo, gianna

    delicato e ben fatto. Mi è piaciuto molto.
    gianni

    bellissimo! il video e la descrizione che lo accompagna! ..meraviglioso fermarsi ad osservare…Roberto

    bellissimo, anche musica è ok, Stefano

    Mi era piaciuto allora, mi piace ora. Un gesto fotografico semplice quanto attraente, montato rende ancora di più. Un abbraccio Anna
    Mauri

    Grazie, Anna. Un aforisma zen dice che la totalità risiede nel vedere
    caterina

  6. Rispondi

    A.M.

    02/05/2010

    grazie. In effetti lo sforzo dovrebbe proprio essere di raccontare storie, non di scattare e basta…

  7. Rispondi

    laura (Raya)

    28/05/2010

    …a proposito di Africa…
    in Sudafrica, per cacciare le scimmie, si scava in una zucca un buco grande abbastanza per infilarci una banana. La scimmia sente l’odore della banana, infila l’avambraccio nel buco, tasta attorno, afferra la banana ed eccola prigioniera della zucca. Il suo cervello non le dice che per liberarsi le basterebbe posare la banana. Non molla la presa. Molti esseri umani si comportano nello stesso modo: tengono stretta quella banana per anni, incapaci di liberarsi delle vecchie ferite e delle delusioni. Possiamo scegliere se mollarla o pensare “se non fosse per quella zucca, ora sarei libero”.

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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