Ponti e non muri
Il 13 agosto del 1961 iniziò la costruzione del muro di Berlino, il 9 novembre del 1989, 25 anni fa, improvvisamente crollò. Eravamo tutti, berlinesi per primi, impreparati e felicemente sorpresi dalla rapidità con cui la storia si stava muovendo dopo decenni di assoluto immobilismo. Forse perché, come scrive Magris “Siamo tutti o quasi conservatori incapaci di immaginare che le cose, così come siamo abituati a vederle e viverle, possano mutare. Scambiamo il presente per l’eterno“. Ora quel pochissimo che rimane del muro di Berlino è trasformato in attrazione turistica, ma altri muri restano o sono stati eretti: Cipro, Israele, Ceuta e Melilla (per evitare l’ingresso in Europa agli emigranti), Marocco (più di 2.000 km a delimitare l’area controllata dal Fronte Polisario), Corea, Messico–USA o la “barriera di sicurezza” fra Gaza e l’Egitto e fra Israele e la Cisgiordania…
Da due eventi diversissimi, ma che hanno segnato entrambi degli spartiacque, la caduta del muro di Berlino e il crollo delle Twin Towers, poteva nascere un confronto fecondo fra civiltà e un’epoca di tolleranza. Non è stato così. Ora siamo dubbiosi e sfiduciati e, davanti ai nuovi fondamentalismi, ci ritroviamo quasi a rimpiangere il mondo bipolare diviso fra USA e URSS in cui la mia generazione è cresciuta.
Nel mio libro Il Mondo nelle Mani scrivo: “L’11 settembre ha disegnato divisioni ben più profonde degli sbarramenti doganali. Sono stati eretti muri a sostituire quelli crollati, sono stati scavati fossati fra le religioni e alzate nuove barriere fra le culture. Conflitti sanguinosi continuano a generare una catena infinita di odio e di rappresaglie fra popolazioni confinanti. L’Occidente chiama i suoi interventi “missioni di pace” e cerca di chiudere la guerra e i poveri del sud del mondo fuori dai propri confini, ma come sempre succede quando per difendersi si mettono sbarre alle finestre, le barriere imprigionano anche chi le erige. (…) Proviamo noi viaggiatori, che forse più di altri dovremmo avere una mente libera da pregiudizi, a raccogliere il testimone di Terzani e a riprenderci il suo sogno. “Yes, we can”… Facciamo sì che i nostri viaggi possano diventare una testimonianza di apertura e di solidarietà al di là delle differenze e possano essere una denuncia contro tutti i confini quando questi sono sinonimo non di identità e cultura, ma di chiusura, limite e discriminazione. Soprattutto combattiamo quei confini scavati nella mente degli uomini, certo più difficili da superare di quelli tracciati sulla mappa del mondo. Se non riusciremo ad aprirci a percezioni e visioni diverse dalle nostre, saremo tutti più poveri”.
Anna