Il Senso del Viaggio

Quando viaggiare era un piacere

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22/06/2008

Articolo di Anna Maspero pubblicato su La Compagnia dei Viaggiatori 3/08. Riflessione su come è cambiato il viaggio, attraverso stralci di scrittori di ieri e di oggi: la parola all’accusa e alla difesa…

Ero a Cuneo alla manifestazione “Scrittorincittà 2007” a confrontarmi con altri scrittori sul tema: “In questo preciso momento” e in particolare su come è cambiato il viaggio. E a Verucchio alla “Scuola del Viaggio” fra tanti giovani a ricordare la ‘Summer of love’ e la ‘rotta hippie’ di 40 anni fa. Inevitabile fare confronti e riflettere sul passato, anche con un po’ di inevitabile nostalgia e rimpianto per i viaggi degli anni ’60 e ‘70, “off the beaten track“, che duravano mesi e seguivano più una direzione che un itinerario. Scrivono Tony e Mureen Wheeler raccontando del loro leggendario viaggio in Asia nel 1972: “In fondo alla strada svoltammo l’angolo e puntammo verso l’India. O comunque da quelle parti”.

L’11 settembre ha segnato una battuta d’arresto alla marcia inarrestabile del turismo, frammentando il mondo in nuove geografie, rialzando barriere fra religioni e culture nel momento in cui si abbattevano molti dei confini fra le nazioni. Altri e più profondi sono stati però i cambiamenti che hanno segnato il mondo del viaggio, dovuti soprattutto all’avvento del turismo di massa e al diffondersi della globalizzazione. Cambiamenti che hanno portato molti giornalisti e scrittori a proclamare la “morte del viaggio”.

L’accusa.

Evelyn A. Waugh, incarnazione del perfetto viaggiatore inglese snob, negli anni ’30 scriveva in Quando viaggiare era un piacere: “Sono stato, più semplicemente un giovane tipico del mio tempo: si viaggiava perché ci veniva naturale farlo. Sono contento di averlo fatto quando viaggiare era un piacere”. Sulla stessa linea Claude Lévi Strauss, che nel 1955 in Tristi Tropici scriveva: “Così mi riconosco, viaggiatore, archeologo dello spazio, che invano tenta di ricostruire l’esotismo con l’aiuto di frammenti e rottami. […] Vorrei esser vissuto al tempo dei “veri” viaggi, quando offrivano in tutto il suo splendore, uno spettacolo non ancora infangato, contaminato e maledetto. […] In fin dei conti, sono prigioniero di un’alternativa: o viaggiatore antico, messo di fronte a un prodigioso spettacolo di cui quasi tutto gli sfuggiva ─ peggio ancora, gl’ispirava scherno e disgusto ─ o viaggiatore moderno, in cerca di vestigia di una realtà scomparsa. Nell’un caso e nell’altro, sono sempre in perdita”. Sulla stessa linea Lawrence Osborne, scrittore inglese perfetto epigono di Waugh. Nella prima pagina del suo ultimo libro, Il Turista Nudo, recentemente pubblicato, scrive che “Il problema del viaggiatore moderno è che non sa più dove andare. Ormai l’intero pianeta è diventato un’istallazione turistica, e ovunque si vada resta in bocca il saporaccio del simulacro”. Teorizza l’ovunquismo: “Tutto somiglia a tutto… il mondo diventerà un unico, sterminato resort interconnesso, l’Ovunque”. Dichiara la morte dell’avventura: “la dimensione interiore dell’avventura ce la si può proprio scordare”. Quelli della Lonely Planet sono definiti ‘bacchettoni’, il National Geographic ‘increscioso’, i turisti…beh, andiamo oltre. E questo anche se il nostro autore collabora con riviste americane di viaggio, ne trae guadagno e quindi, come lui stesso ammette, ha una lunga collusione con il turismo globale. Fra i giornalisti gli fa eco Sandro Viola che dalle pagine di Repubblica (14 agosto 2004) scrive: “Da dove viene la spinta a mettersi in viaggio? Ancora mezzo secolo fa, gli impulsi più ricorrenti e irresistibili erano tre. Primo, la fuga (la parola inglese, escape, è più bella). Secondo, l’anelito a una diversità. Terzo, la ricerca dei resti, delle ombre di “un’età dell’oro” ormai tramontata ma non tanto remota, così che viaggiando lì dove essa era fiorita fosse possibile riviverne, sia pur vagamente, l’atmosfera. Bene, conviene chiarirlo subito: di queste ragioni ne resta ormai una sola, la fuga. …Andare alla ricerca di una diversità, questo no: questo è impossibile, perché ormai non esistono più diversità. E ancora più vano sarebbe illudersi di poter trovare da qualche parte un mondo appena svanito, ma le cui orme e memorie irradiano ancora una suggestione, un fascino. …Tutto è implacabilmente uguale. Non era così. Già in Europa, tutto era diverso da un paese all’altro: le monete, gli orari dei pasti, le prostitute e le prese a muro per la radio o il rasoio elettrico”.

Abbiamo dato la parola all’accusa. Ora diamola alla difesa e la miglior difesa è certo quella di Claudio Magris nel suo bellissimo L’infinito viaggiare: “La frase dello scrittore inglese –Quando viaggiare era un piacere-, ribadisce il luogo comune secondo il quale la società di massa col suo turismo anch’esso massificato, la televisione con gli scenari esotici banalizzati, e portati in casa e il livellamento generale del mondo, avrebbero distrutto la scoperta e l’incontro del nuovo, l’avventura, il gusto individuale del vagabondare, l’imprevisto, la possibilità dell’esperienza originale. La prima doverosa obiezione è che la società di massa ha reso quel piacere accessibile a qualcuno che ne era escluso senza esserne necessariamente meno degno dei pochi che ne usufruivano un tempo. […] Ma soprattutto viaggiare è ancora un piacere, o almeno può esserlo. L’imprevisto, l’avventura, la seduzione, il nuovo si possono trovare a ogni passo, in ogni odissea, in ogni viaggio nelle lontananze o fra le mura di casa… L’intelligenza deve sempre valutare, distinguere e certo denunciare la barbarie morale e intellettuale, indubbiamente presente in numerose manifestazioni della società di massa. Ma sarebbe sterile non avvertire l’arricchimento creativo, fantastico, percettivo che può giungere dai mutamenti del mondo e dalle nuove possibilità che essi offrono”.

Personalmente non ho nostalgia di quando in Gran Bretagna non esisteva il sistema decimale… Se una presa della corrente italiana funziona anche lì, beh, la cosa non mi turba. E se, grazie alla globalizzazione, con l’inglese si riesce a comunicare un po’ dovunque, confesso che non mi dispiace (il che non significa certo auspicare la scomparsa delle altre cinquemila lingue diverse che sopravvivono sul pianeta…). Spero anche che si possa presto colmare il digital divide che separa il mondo sviluppato da quello in via di sviluppo. Né il nostro egoismo di appartenenti al primo mondo, né il nostro desiderio di difendere l’integrità altrui, dovrebbero interferire con il diritto di ciascun popolo di scegliersi il proprio modello di felicità e di benessere. Quindi, bando ad amarezze e nostalgie per i tempi in cui il viaggio era “vero viaggio”, in cui i selvaggi erano selvaggi e la fuga dall’Occidente ancora possibile. Basta con i tentativi patetici di giornalisti e turisti di professione di distin­guersi dagli altri comuni turisti. Meglio abbandonare il gioco ambiguo e vagamente razzista del “vero viaggiatore”, solitaria figura dotata di alta autostima e profonda insofferenza per gli altri turisti-viaggiatori, da cui cerca accuratamente di sfuggire, forse perché teme di scoprirsi poi non tanto diverso.  Il viaggio, per gli abitanti del mondo sviluppato, non è più l’eccezione per gli happy few, ma la norma per un numero sempre maggiore di persone. Viaggiare è oggi più semplice, grazie a trasporti efficienti e voli low cost, internet e guide. Ma certo più difficile è cogliere le diversità e proprio lì si vede il valore del viaggiatore. La differenza fra turista e turista (escludendo dalla categoria i vacanzieri che fanno una scelta, legittima, all’insegna del puro relax) si gioca non più sul dove ma sul come si viaggia. Curiosità, umiltà, attenzione, rispetto, responsabilità sono le parole e i valori per costruire un nuovo tipo di turismo attratto non più dall’illusione di scoprire luoghi vergini e popolazioni “autentiche”, ma da un mondo in rapido e inevitabile mutamento, un mondo meticcio dove le culture, così come le “razze”, si incontrano, si scontrano e si mescolano. Una partita questa, dove necessariamente qualcosa si perde e qualcosa di nuovo, ma altrettanto “autentico”, si crea. Smettiamo di mitizzare un passato forse fin troppo idealizzato. Continuiamo, come facevano i giovani degli anni ‘60, a viaggiare off the beaten track, accettando di perderci per le strade del mondo, abbandonandoci alle suggestioni dei luoghi e degl’incontri per riscoprirci capaci di stupore ed emozioni. E allora, forse, faremo scoperte inattese, anche se non casuali. L’inglese ha una parola speciale e dal suono magico per indicare questa attitudine di apertura al nuovo e all’imprevisto, serendipity. Un concetto difficile da rendere nella nostra lingua, ma che sarebbe bello tradurre nella nostre vite. Il viaggio è una grande occasione, l’importante è non sprecarla.

A.M.

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2 Comments
  1. Rispondi

    alfio (CN) e Londra

    03/10/2008

    …dicevo…Siete abili a venderVi come esperti viaggiatori, carichi di veri valori quali la responsabilità, la curiosità e addirittura l’umiltà. Non c’è nulla di più sontuoso che sfoggiare vestiario tecnico o macchinari fotografici supertecnologici nel Borneo piuttosto che in Bolivia, piuttosto che in Orissa ecc…ma forse per Voi anche questa è avventura! Sono Convinto che anche Voi quando accantonate il Vostro orgoglio, e la Vostra autostima da Commentatori del Mondo si infila sotto un sacco piumato per dar sfogo a ben altre autocelebrazioni, pensate di essere ingranaggio di ingranaggi dell’indistria turistica: i migliori ingranaggi, perchè nascono spontanei e trascinano, e conquistano, e procacciano nuovi adepti, o clienti, grazie al loro ingenuo entusiasmo e, soprattutto, grazie alla loro voglia di autocelebrazione. Ad un uomo comune, comunemente impegnato a garantire la sopravvivenza della specie, vien da pensare a che grossa fortuna avete avuto ad avere così tante ferie!! Comunque Vi do una notizia: i turisti di professione, carissimi, esistono davvero. I “veri viaggiatori”…pure!! Sono coloro che non possono permettersi del Come ma che “puntano direttamente al Dove”; sono coloro che Vi scocciano suonando il campanello di casa Vostra cercando di venderVi calzini sintetici e tappeti; sono coloro che solcano i mari su imbarcazioni di carta cercando di dare concretezza alle loro speranze. Tutti gli altri sono identici al viaggiatore snob inglese degli anni 30…e non nascondetevi dietro un dito altrimenti soffocherete nell’affanno di trovare un senso e un valore diverso alle Vostre “vacanze” speculando sui termini. Consumate il viaggio e raccontate agli altri che possono a loro volta raccontare di aver vissuto una “vera avventura da viaggiatore”…noi dell’industria del turismo continueremo a guadagnare. Grazie della notevole e gratuita collaborazione!
    Alfio (WTEDC)- WW Tourism and Environment Development Corporation – London

  2. Rispondi

    A.M.

    04/10/2008

    Ciao Alfio. Quanto risentimento nelle tue parole! Con il tuo atteggiamento da antiturista mi sembri più snob di noi a cui dai degli snob. Non penso che gli appassionati di viaggio siano “ingenui” procacciatori d’affari all’industria turistica. Di fatto siamo tutti e in tutte le nostre azioni dei “consumatori” (non solo riguardo ai viaggi, ma anche a cibo, vestiti, design, finanche cultura…). Siamo tutti ingranaggi della grande macchina, illusorio tirarsene fuori. Possiamo solo essere consumatori più “consapevoli” e cercare di fare qualcosa di buono dei nostri “bisogni”, veri o falsi, indotti o meno… Questo mi sembra di capire che dovrebbe essere il tuo lavoro (visto che lavori nella WW Tourism and Environment Development Corporation )… e comunque è una delle mie passioni (l’altra è la terra, nel senso non solo di ambiente, proprio di amore per la terra…). Chissà, forse è perchè avevo un nonno contadino ed emigrante in Perù e sono rimasta un po’ nomade e un po’ stanziale e ho scelto di vivere in campagna. Quella che tu chiami autocelebrazione, per me è un’utile riflessione sul viaggio che aiuta a scegliere più consapevolmente come passare le proprie ferie (visto che, come tu dici, abbiamo la grande fortuna, direi il privilegio, di poterne godere).
    Pensa, io non solo credo nel viaggio, ma anche nel turismo! E non sono la sola. Proprio pochi giorni fa a Roma ascoltavo un’intervista a Tahar Ben Jelloun,uno scrittore che conosce “nord e sud” del mondo, e mi hanno colpito le sue parole, quando sottolineava, non richiesto, l’importanza proprio del turismo come valido contributo al rispetto e al dialogo fra le culture. Certo c’è turismo buono e meno buono, ma visto il tuo ambito di lavoro, dovresti saperlo. E soprattutto forse almeno un po’ dovresti crederci. Altrimenti mi sorge il dubbio che il risentimento che emerge dalle tue parole derivi dalla frustrazione perchè non fai ciò in cui credi. Ma non ti conosco, è solo un sospetto e il viaggio mi ha insegnato molte cose, soprattutto il rispetto per le idee degli altri.
    A proposito invece di “veri viaggiatori” e di migranti, ho scritto (prima che tu ci facessi la rivelazione dandoci la “notizia” su chi sono i veri viaggiatori), una recensione a un libro che, se non hai letto, ti consiglio, “Solo Andata” di Erri del Luca, la trovi sotto L come Letture. Ce ne è anche un’altra, “Paura percepita”, dove trascrivo alcune sue frasi.
    Comunque per semplicità copio e incollo qui sotto alcune mie riflessioni in margine al libro.
    “Non credo, come ha scritto qualcuno, che “viaggiare è un po’ migrare”, penso però che essi siano due lati della stessa medaglia. Da una parte novecento milioni di persone che si spostano ogni anno per turismo, quindi per libera scelta e per piacere. Dall’altra gli emigranti, probabilmente non meno di 200 milioni di persone ogni anno, forse i soli veri moderni viaggiatori. Gente che sa cosa vuol dire lasciare la casa, mettersi in cammino, andare in un paese straniero… Per molti di loro il viaggio non è un diritto civile e per tutti rimane una dolorosa necessità. Un viaggio che, anche quando non si trasforma in tragedia, rimane comunque spesso senza ritorno.
    Turismo e emigrazione sono due flussi che si muovono in senso opposto, visto che la destinazione di molto turismo è da nord verso sud, dai paesi economicamente sviluppati a quelli che gli emigranti abbandonano per motivi economici o politici. Due flussi che raramente si incontrano. Perché uno vola e guarda il mondo e le sue miserie dall’alto. O chiuso dentro stanze di hotel di lusso o blindato nei villaggi turistici. L’altro lo attraversa giù in basso, dentro camion strapieni o su carrette del mare.
    Due flussi che anche quando si incrociano nei luoghi di destinazione, spesso non comunicano. Proviamo allora a farli incontrare, per smascherare i pregiudizi e per capire che anche identità e differenze sono due facce della stessa medaglia.
    E dal mio libro A come Avventura: “Durante i nostri viaggi ci ritroviamo tra persone simili agli immigrati nelle nostre città ormai multietniche, dove però la loro presenza è spesso accettata solo in quanto necessaria alla nostra economia e funzionale al nostro benessere. La nostra condizione di viaggiatori ci rende più permeabili e ci priva dell’abituale corazza di indifferenza e di pregiudizi che indossiamo in patria. Così l’incontro con queste persone nelle loro terre di origine potrebbe facilitare anche la comprensione reciproca e la convivenza, se solo al ritorno a casa riuscissimo a non contrapporre l’altrove al qui, ma a mantenere la stessa apertura mentale del viaggio”
    Chissà, forse più che ingenua mi piace sognare, ma come Edgar Allan Poe penso che “coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna di notte”.
    Ciao, e buona vita, A.M.

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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