Reporter di pace
L’ultimo post era dedicato ai reporter di guerra. Giornalisti e fotografi di professione che continuano a raccontarci anche quei paesi “off limits” per il turismo a causa di conflitti più o meno dichiarati o di varie calamità. Purtroppo con le guerre il nostro viaggiare si trova a fare sempre più i conti. Secondo Reporter sans frontières, il numero dei paesi considerati pericolosi continua ad aumentare: erano “soltanto” diciannove nel 2002 mentre oggi sono quaranta. Lévi Strauss scriveva che “Il compito degli etnologi è quello di testimoniare che il nostro modo di vivere non è l’unico possibile, che ne esistono altri in cui gli uomini vivono felici”. Il compito dei reporter di guerra è al contrario quello di denunciare che ci sono popoli che hanno dimenticato il significato e la bellezza della parola pace o semplicemente normalità.
E noi? Cosa possiamo dunque fare noi visitatori occasionali? La passione per il viaggio si sposa naturalmente con l’amore per i luoghi e l’interesse per la gente. E ci è quindi naturale provare un più forte senso di vicinanza e di partecipazione per ciò che avviene altrove, ancor più se in luoghi dove siamo stati, dove abbiamo incontrato chi ci abita e siamo stati loro ospiti. Nonostante siamo tutti ormai anestetizzati dall’overdose di attentati e di guerre cui ci sottopongono quotidianamente i media, ascoltando di stragi orrende come quelle recentissime in Siria e in Yemen, non possiamo non provare empatia e compassione per chi vi abita. Empateia e sympàtheia: due parole che nella loro origine greca si assomigliano e meglio ne rendono il significato, dai prefissi en “dentro” e syn “insieme” uniti alla radice pathos “sofferenza” o “sentimento”. Quel che possiamo fare è diventare un poco testimoni, pur senza improvvisazioni e senza correre rischi inutili. Come? Ponendoci domande, cercando di capire e di testimoniare le realtà che incontriamo, andando oltre gli esotismi del turismo di massa come i facili stereotipi e i pregiudizi, rimanendo aperti all’incontro, all’ascolto e al dialogo, qui come altrove. Perché, come ci ricorda Albert Einstein, “Il mondo è un posto pericoloso non tanto per via di coloro che fanno il male, ma per coloro che guardano e non fanno niente”. Possiamo essere dei “reporter di pace”.
Per approfondire il tema, ancora un invito a una mostra, il Festival di Fotografia Europea a Reggio Emilia fino al 24 giugno, con decine di mostre di grandi fotografi come di semplici testimoni di un mondo che cambia.
Anna
Pubblicato su il reporter –Parole Nomadi – Testimoni