Salza: “Niente” ovvero “Per chi suona lo sciacquone?”
Alberto Salza – Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema – Sperling & Kupfer – 2009 – € 18,00
Al libro “Niente” di Salza avrei messo come sottotitolo una frase del libro stesso: “Per chi suona lo sciacquone?”. E in copertina un disegno tipo questo. Perché alla base della sua teoria c’è proprio la metafora di un gabinetto (modello occidentale, il che non è un caso). La tazza del water è il mondo: chi sta in alto respira aria pulita e guarda verso il cielo, chi sta nella strettoia centrale cerca di galleggiare sulla schiuma, chi sta sotto la curva del sifone, nonostante gli sforzi, può solo finire espulso in un mare di escrementi.
Niente è un libro “a togliere”. Parla di assenze: niente cibo, acqua, salute, soldi, terra, pace, casa, patria, diritti, istruzione, infanzia, vecchiaia, storia, sogni. Niente tempo. Trentadue anni scarsi è l’aspettativa di vita in Swaziland. Un niente che è un’accusa. Alberto Salza, viaggiatore e antropologo irriverente, per quarant’anni ha vissuto a contatto con la miseria, dalle periferie delle nostre città agli slum delle megalopoli di Africa e Asia, alle aree colpite da ricorrenti siccità o dilaniate da guerre interne. “La miseria ti entra dentro come una penetrazione sessuale violenta” scrive, anzi, con queste parole chiude il libro. Forse per questo, per cercare di sopravvivere senza impazzire a questo quotidiano contatto con una miseria priva di speranza, si dichiara anaffettivo, poco empatico e poco propenso all’amicizia. In lui non c’è traccia di quello spirito di condivisione che spinge altri a farsi poveri fra i poveri. Anzi. Dice che bisognerebbe usare più il cervello e meno il cuore. Difende la sua “comfort zone” e per questo non esita a tirare qualche pedata ai postulanti sulle scalinate di Varanasi. Il suo linguaggio è diretto, con un’ironia che sfiora il cinismo. “Non voglio condividere la merda degli abitatori di slum… Io voglio costruire un cesso dove non c’è. Non me ne importa un cazzo di abbracciare e consolare chi caca per strada.”
Racconta come si vive, o meglio si sopravvive, alla miseria nel terzo mondo. Quella di un miliardo e mezzo di persone che se la cava con meno di un dollaro al giorno. Ma fa frequenti incursioni nell’Occidente ricco, che non si fa mancare i suoi poveri. Se del suo libro ne facessero un film avrebbe successo perché sembra fantascienza. Invece sono pezzi di mondo reale, raccontati da un antropologo e avvalorati con dati e date, combinando esperienza e teorie scientifiche, aneddoti e statistiche. E’ in corso, come nella favola del principe ranocchio, una mutazione, ma questa volta alla fine non “vivranno tutti felici e contenti”. Qualcuno si estinguerà. Era già toccato ai dinosauri. Qualcuno muterà, perché se la povertà può essere combattuta e sconfitta, nella miseria ci si può solo estinguere o evolvere. E non in meglio. Salza ipotizza una speciazione verso l’Homo nihil, il povero più misero. Sta avvenendo negli slum delle megalopoli del terzo mondo, dove secondo le proiezioni si avrà il 95% dell’incremento di umanità. Lì alla miseria si aggiunge un degrado ambientale devastante e la distruzione dei legami sociali, con perdita d’identità, mercificazione, isolamento e violenza.
Salza non offre ricette risolutorie o risposte consolatorie. Non c’è scampo, per una parte del mondo è troppo tardi per tornare indietro. D’altra parte è così, senza scampo, che ogni giorno si sente chi è sotto la curva del sifone. Il divario fra il mondo di chi è senza e quello di chi ha è ormai incolmabile. La guerra alla povertà si sta trasformando in guerra ai poveri. Niente. Un libro sconsigliato a chi preferisce continuare a ballare sul Titanic. Consigliato a chi crede, come Salza, che la condivisione, e non la costruzione di muri, possa essere la sola, forse impossibile, via di sopravvivenza per tutti.
Anna
Alcune righe dal libro:
«Sniffato troppa colla», suggerì Nyakeke. L’odore della plastica fusa era dappertutto. Serviva come sostituto della colla. In Sierra Leone, nella tarda notte del 10 settembre 2000, più nessuno si dava al modellismo. Da tempo. Molte persone non avevano più neppure le mani o le braccia: difficile incollare i pezzi, di conseguenza. Così i ragazzi, per drogarsi, si dovevano accontentare dei fumi esalati da bidoni di plastica in fusione lenta, davanti a focherelli di sterpi.
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Pubblicato su il reporter
Italo
Cara Anna, i tuoi cazzotti nello stomaco sono salutari. Fanno stare male ed è giusto che sia così. Ci segnali un libro che non ho letto e che non so se leggerò (ne ho sempre una cinquantina in…lista d’attesa, ma mai dire mai…). Sono consapevole che per cambiare il mondo occorrerà una grande immaginazione ma, a mio avviso, sarà comunque essenziale migliorare la qualità della vita ai diseredati del mondo nei loro Paesi di origine. Non si risolve la cosa con migrazioni bibliche. Il primo passo dovrebbe essere la distribuzione gratuita da parte degli Stati (e del Papa in segno di ravvedimento) di profilattici a tutti. Il tutto corredato da informazione sessuale e da numeri ufficiali che spieghino le conseguenze del moltiplicarsi ciclico della popolazione mondiale. Potrei andare avanti ma non faccio il sociologo e, da buon ateo, non ho verità da rivelare. Vivo di dubbi. Il dubbio in proposito è che si continua a predicare la spartizione di ricchezze che, prima o poi, non saranno sufficienti per tutti.