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12/06/2009

chiudi gli occhi

Non si va da nessuna parte senza prima aver sognato un luogo, e viceversa, senza viaggiare, prima o poi finiscono tutti i sogni o si resta bloccati per sempre nello stesso sogno“, scrive il regista Wim Wenders. Da sempre il viaggio si nutre di sogni che nascono dalla magia di un nome, dalle suggestioni di immagini, letture e racconti. Se non ci fosse quell’alone di leggenda ed esotismo che circonda l’altrove, sarebbero certo molti meno coloro che sono disposti a investire tempo e denaro, a correre rischi e ad affaticarsi per dire “io ci sono stato”. Globalizzazione e turismo diffuso stanno però cambiando anche il nostro immaginario. Ormai sono le occasioni e le offerte speciali, non i sogni, a spingere al viaggio. La formula del “last minute” non dà il tempo ai sogni per nascere e crescere. Il business del turismo invece li alimenta, ma solo per trasformarli in qualcosa di artificiale, una sorta di immaginario globalizzato già confezionato in un pacchetto tutto compreso dove “l’ignoto” che andremo a incontrare è descritto in dettaglio. Dobbiamo allora smettere di sognare? Rinunciare al sogno, equivale a uccidere il viaggio, perché l’attesa ne è parte essenziale. Ma anche rimanerne prigionieri significa alimentare illusioni e aspettative che si tradurranno in probabili delusioni. Di nuovo e come sempre, la risposta è nelle parole di un poeta. E’ sufficiente rileggere “Le Voyage”. Baudelaire prima invita al racconto e al sogno: “Strabilianti viaggiatori… / fate scorrere sui nostri spiriti, tesi come tele, / i vostri ricordi incorniciati d’orizzonti. / Diteci, che avete visto?”. Poi rivela che l’altrove raccontato è un inganno, che la scoperta è un’illusione e partire o restare è indifferente: “Dai viaggi che amara conoscenza si ricava! / Il mondo monotono e meschino ci mostra, / ieri e oggi, domani e sempre, l’immagine nostra: / un’oasi d’orrore in un deserto di noia! / Partire? restare? Se puoi restare, resta; / parti, se devi.” Pure, il sogno è necessario per andare avanti e per non perdersi. E anche una certa dose di utopia aiuta a reagire a un’esistenza dove gli ideali non sembrano più avere spazio. Non sbagliano coloro che ogni tanto scelgono di mettersi alle spalle i problemi della quotidianità e di partire. Con consapevolezza, certo. Prima chiudendo gli occhi per sognare, poi riaprendoli per viaggiare e per confrontare i sogni con la realtà di un mondo spesso diverso da quello immaginato. E anche da come vorremmo che fosse. Perché, come scrive Saramago, l’isola sconosciuta, l’isola felice esiste, ma solo nella nostra mente, “è un luogo mobile che appare e scompare sulla carta della fantasia ma sta ben saldo nel cuore di ognuno di noi“. Bello poterci approdare, senza però rimanerne prigionieri. Il viaggio è una valigia vuota: alla partenza la riempiamo di sogni, idee e desideri, poi durante il viaggio dobbiamo abbandonare aspettative e certezze per far posto agli spunti, agli incontri e alle immagini che la strada ci offre. Accettando il mondo per come è, senza autosuggestioni e finzioni, anche quando tradisce i nostri sogni.

A.M.

Pubblicato su  il reporter

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2 Comments
  1. Rispondi

    Carlo

    13/06/2009

    sì, non pretendere che il mondo sia diverso per rispondere alle nostre attese,
    ma senza rinunciare a quel po’ di utopia e a quel tanto di sogno che ci permette di volare alto…

  2. Rispondi

    Barbara

    14/06/2009

    Quello che mi ha sempre affascinato dei viaggi è che come i sogni ci cambiano e ci formano.

    Colgo l’occasione per segnalare a tutti i viaggiatori-sognatori che passano di qui la possibilità di vincere un bel soggiorno con il gioco “Ti portiamo a letto in 230.000 hotel” organizzato da HRS . Ci sono in palio premi incredibili per i primi 50 classificati tra cui 9 weee-kend in Europa e una settimana presso il Tanka Village di Villasimius in Sardegna e il Golf Hotel di Madonna di Campiglio. Per Vincere basta andare al sito http://www.tiportiamoaletto.it/ e mettersi in gioco!

    Barbara

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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