Viaggiare e raccontare
“Scrivere è spostare i limiti, scoprire nuovi spazi, esplorarli” affermava qualche anno fa in un’intervista Claudio Magris. E sono proprio i racconti dei grandi viaggiatori ad aver messo le ali all’immaginario di molti di noi, spronandoci ad andare alla scoperta di quei luoghi sognati. E ora? Cosa è cambiato in questa manciata di anni che separa due secoli e certo due epoche?
Tutto è accelerato. Si scrive e si pubblica moltissimo, anche se sono sempre meno coloro che leggono libri. L’informazione è alla portata di mouse e di touchscreen, immediata e frammentaria, da consumarsi in tempi rapidi come un caffè espresso fra un impegno e l’altro. Questa massa di conoscenza velocemente fruibile sembra avere distrutto la capacità di immaginare. Anche viaggiare è diventato più facile e abbordabile. Il mondo ci appare più piccolo e uguale. Il viaggio si è addomesticato, la tecnologia riduce le distanze reali e virtuali, qualsiasi luogo è raggiungibile (guerre a parte) e i confini non disegnano differenze ma al massimo solo ostilità. Conoscenza ed esperienza hanno drasticamente ridotto lo scarto fra immaginazione e realtà, come già ricordava Leopardi: “A noi ti vieta / Il vero appena è giunto, / O caro immaginar…”
Inevitabilmente anche il racconto di viaggio ha perso mordente e capacità evocativa. Le storie si ripetono con il medesimo copione e qualche variante di ambientazione: tutti novelli Ulisse alle prese con nuove sirene e nuovi Polifemi. Molti scrittori ripercorrono gli itinerari tracciati da viaggiatori del passato conosciuti o anche sconosciuti ai più, cercando nei loro libri e nella differenza fra ieri e oggi quell’ispirazione che non trovano dentro e fuori se stessi. Altri variano i mezzi di locomozione, a piedi o in bici, pellegrinaggio o trekking, comunque “slow”, sono le tendenze del momento. Ancora un libro-guida sul Cammino di Santiago? Un altro sul giro del mondo a pedali? Un nuovo racconto sulle orme di Mr. X? Avventure di grande significato a livello personale, ma di fatto dei déjà vu, delle ripetizioni, delle scoperte già fatte, dove l’esotico è più familiare del conosciuto e lo straordinario diventa ordinario. Molti scrittori di viaggio sono scrittori di mestiere, viaggiano per scrivere. Qualcuno scrive per viaggiare. Poi c’è chi viaggia per viaggiare e forse, ma solo se ha qualcosa di “buono” da raccontare, scrive. Perché pubblicare un secondo o un terzo libro dopo il primo non è una prescrizione medica, pena la depressione d’autore frustrato.
Alle varie crisi (di valori, d’identità, finanziaria, economica, dell’Occidente…), aggiungiamo dunque anche la crisi dell’altrove e quella del suo racconto. In un panorama in cui il giornalismo cerca soprattutto la notizia e internet offre accessibilità e fruibilità delle informazioni, la scrittura di viaggio ha bisogno di essere ripensata per tornare ad affascinare e ad affabulare. Lettori e viaggiatori si adeguano più velocemente di autori ed editori al mondo che cambia. La scrittura dovrebbe invece anticipare le trasformazioni, come un tempo quando era scoperta del nuovo ed evocazione di luoghi sconosciuti. Dovrebbe disegnare nuove mappe, sconfinare, contaminarsi con generi diversi, arricchirsi e fertilizzarsi con culture altre e non solo andare drogandosi di chilometri con i più svariati mezzi. Dovrebbe ritrovare la capacità di scoperta, di ricerca e di messa a fuoco per conoscere se stessi e l’altro. Dovrebbe, nell’overdose di informazione cui siamo sottoposti, esercitare una memoria selettiva e tentare di ricomporre i frammenti secondo uno dei sensi possibili.
Per approfondire: gli sguardi di tanti scrittori sul mondo filtrati dalla sensibilità di Paolo Di Paolo nel libro-intervista “Ogni viaggio è un romanzo. Libri, partenze, arrivi. 19 incontri con scrittori”, Laterza.
Pubblicato su il reporter – Parole Nomadi – Letteratura di Viaggio
Carla
bell’articolo, molto interessante… Carla