*** (VIP: VeryImportantPost) I miei Libri Il Senso del Viaggio

VIAGGIARE, PERCHÉ? (Ve lo siete mai chiesto?)

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28/01/2020

Articolo pubblicato sulla rivista LatitudesLife.

Lo scorso dicembre sono stata invitata al convegno “Il viaggio e l’incontro”  https://www.africarivista.it/convegno-viaggio-e-incontro, una giornata di riflessione sul turismo nel continente africano ottimamente organizzata dalla Rivista Africa alla Fabbrica del Vapore a Milano. l tema del mio intervento era “Le domande del viaggio” e in particolare il perché e il come viaggiare: una riflessione necessaria per poter scegliere i nostri viaggi con maggior consapevolezza, anche se in genere tendiamo a focalizzare l’attenzione sulle destinazioni, cioè sul dove andare.

Convegno Africa – Anna Maspero, Alberto Salza, Gianni Bauce

Dopo una necessaria premessa sull’evoluzione del viaggio dagli anni ’70 a oggi, sui grandi cambiamenti portati dalla rivoluzione digitale, su vacanze, turismo e overtourism, sono entrata in tema. Qui mi limito a offrire qualche spunto relativo alla prima domanda, la più importante: perché viaggiare? Una domanda che è la stessa per tutti, mentre le risposte sono molteplici e soggettive.

A differenza di chi è costretto ad emigrare, per la maggior parte di coloro che stanno leggendo il viaggio è una scelta non dettata dalla necessità. Fa parte del superfluo come molte altre cose che affollano le nostre vite (ma superfluo non vuol dire inutile…). Se dunque viaggiare non è una necessità, cosa ci spinge a partire?

Il piacere del viaggio è probabilmente la motivazione principale, quella che ci fa accettare di buon grado anche la fatica, i costi e l’investimento di energie e di tempo che ogni spostamento comporta. Chi non ama o non amerebbe viaggiare avendo la possibilità di farlo? Ben pochi! Per qualcuno è una passione tanto forte da creare addirittura dipendenza, ma è una “droga” che non fa male, anzi. Proviamo però ad andare oltre queste affermazioni piuttosto scontate.

Per me il viaggio è stato una scuola di vita e continua ad essere un’ottima terapia per meglio affrontare i problemi personali. Il viaggio ci permette di staccare, di rigenerarci, di guardare a noi stessi e alle cose da una diversa angolazione, di superare i pregiudizi; ci mette alla prova e in cambio ci dà forza, autonomia, capacità decisionale e autostima; ci relaziona al mondo e, come scrisse Chatwin, allarga la mente le dà forma. Sono tutti strumenti utili per crescere, orientarsi nella vita e affrontare la quotidianità. Non per nulla il viaggio è stato da sempre uno strumento di iniziazione alla vita adulta per molti popoli. Certo non è la sola terapia possibile, per qualcuno funzionano meglio psicoterapia, yoga, sport, musica, lettura, volontariato, spiritualità, lavoro o anche lo shopping… Il viaggio al suo meglio è però capace di coniugare molti di questi elementi insieme nelle dosi che ognuno preferisce.

Onestamente dobbiamo però anche chiederci se il viaggio oggi abbia ancora tutte queste valenze positive o se non ce la “stiamo raccontando”. Nel mondo globalizzato ritroviamo ovunque le stesse icone, gli stessi simboli, gli stessi prodotti al posto di quello straniamento così centrale nell’esperienza dell’altrove. Il turista rimane nella sua “bolla” e le possibilità di incontro e di scambio con le popolazioni locali sono nella maggior parte dei casi limitate all’acquisto di servizi o a esperienze frettolose. Secondo lo scrittore francese Michel Houellebecq “Il viaggio è solo uno dei tanti bisogni indotti dall’industria dell’evasione”. In effetti nel turismo come nell’arte e nella musica, l’industria si appropria degli stimoli, anche dei più eversivi e anticonformisti, e li trasforma in moda per fare di noi dei clienti e dei consumatori passivi. L’industria turistica ha ridotto non solo la vacanza, ma anche il viaggio a semplice evasione e diversione, l’ha rinchiuso in circuiti standardizzati e stereotipati con la continua pressante sollecitazione a fare, a consumare, a riempire il tempo libero di cose, di gente e di rumore. Eppure, anche se il turismo è diventato una delle industrie più lucrative, anche se incantamento e stupore sono merce sempre più rara, anche se è sempre più difficile fare esperienze “extra-ordinarie”, cioè diverse da quelle abituali, il viaggio, se è un buon viaggio, è “l’unica cosa che comperi e che ti rende più ricco come recita uno slogan che mi sento di condividere.

Altro dubbio lecito: è necessario andare a sperimentare di persona quando una tecnologia sempre più sofisticata ci mette a disposizione strumenti che ci permettono di farlo virtualmente? È possibile ad esempio osservare la Cappella Sistina o il Cenacolo molto meglio digitalmente che accodandoci a grandi folle per i nostri 10’ di realtà. La mia risposta è: “sì, è ancora necessario”. Forse è diverso per chi è nato e cresciuto nel nuovo millennio, ma io appartengo alla generazione vissuta a cavallo fra l’analogico e il digitale, quella che ha iniziato a viaggiare negli anni ’70 e, nonostante i miracoli della realtà virtuale, continuo a pensare che la ragione del viaggio sia fare esperienza del mondo e che se manca quella manca tutto.

Un’altra critica spesso mossa al viaggio: più che terapia, esperienza e ricerca, il viaggio è fuga, è l’indice della nostra insoddisfazione ed esprime una mancanza. Confesso di riconoscermi anche in questa definizione perché onestamente credo di continuare a viaggiare anche per colmare un vuoto. L’etimologia stessa della parola “vacanza” viene da vacuum, cioè appunto “vuoto”. Questo non vuol dire che la nostra vita sia vuota. Anzi, spesso è fin troppo affollata di impegni e obblighi, ma la routine inevitabilmente l’appiattisce, la rende noiosa e la svuota di interesse. Diciamo che il viaggio è terapeutico anche in questo senso. Un concetto quello del vuoto che trovo perfettamente espresso nei Travellers di Bruno Catalano, un artista francese nato in Marocco e di origini siciliane che ha recentemente esposto le sue sculture in occasione dell’ultima Biennale a Venezia. Sono uomini e donne di diverse etnie e classi sociali, tutti in cammino, tutti con una borsa o una valigia in mano. Il corpo è lacerato e vuoto e solo un braccio e il bagaglio permettono alla statua di reggersi creando un’illusione ottica di sospensione. Quello che colpisce è lo strappo (e il viaggio è sempre uno strappo) e soprattutto il vuoto, un vuoto che sembra pieno e a cui istintivamente restituiamo una forma. Allo stesso modo il viaggio riempie i nostri vuoti con esperienze ed emozioni, mette in moto tutti i sensi e non solo la vista. Poi trasforma le esperienze e le emozioni in ricordi. Sono proprio le emozioni e i ricordi a renderci vivi: noi siamo corpo e siamo memoria. Quindi sì, il viaggio colma un vuoto. E fa anche l’operazione contraria e altrettanto utile e cioè fa un po’ di vuoto dentro e intorno a noi, ci fa rallentare. Anche se la parola vuoto (come ozio, silenzio, solitudine…) è connotata negativamente in una cultura utilitaristica come la nostra, il vuoto può essere positivo ed è una dimensione che riscopriamo più facilmente proprio viaggiando, quando il nostro mondo sta tutto dentro una valigia.

Bruno Catalano- Travellers-Chiesa di San Gallo-Venezia

E allora, perché viaggiare? Perché Vivere una sola volta / in una sola città / in un solo paese / in un solo universo / vivere in un solo mondo / è prigione come ha scritto Ndjock Ngana, poeta del Camerun. O più semplicemente, come ho letto un giorno su un muro de l’Habana, perché: “Il pesce non sa che esiste l’acqua”.

Il tema del senso del viaggio è trattato nei due saggi scritti da Anna Maspero e pubblicati dalla Casa Editrice Polaris A come Avventura  https://annamaspero.com/l-come-libri/a-come-avventura (ebook) e Il Mondo nelle Mani https://annamaspero.com/il-mondo-nelle-mani. Per avere il 25% di sconto basta andare sul sito della Casa Editrice Polaris e inserire nel processo di acquisto il codice promozionale dell’autrice strada_facendo_25.

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2 Comments
  1. Rispondi

    Latitudeslife

    29/01/2020

    L’articolo di Anna Maspero “Perché viaggiare? Il viaggio come terapia”, sulle motivazioni che ci inducono a viaggiare, pubblicato la scorsa settimana, ha stimolato un intenso dibattito suscitando riflessioni e opinioni che vogliamo condividere con i nostri lettori. Di seguito l’intervento di Marco Bortoluzzi. https://www.latitudeslife.com/2020/01/perche-viaggiare-il-viaggio-come-necessita-o-automatismo/

    • Rispondi

      Anna Maspero

      29/01/2020

      Grazie Marco! Grazie per questo stimolante intervento in risposta al mio post. Leggerlo mi ha suggerito qualche altro pensiero.
      Scrivi che quando seguiamo le mode del momento nel scegliere i viaggi “cerchiamo conferme, non disequilibri”. Questo mi ha fatto pensare a un altro motivo per cui il viaggio è una terapia, perché, poco o tanto, ci fa uscire dai nostri equilibri, dalla nostra “comfort zone” e quindi ci aiuta a potenziare capacità d’adattamento, flessibilità, resilienza. A mio parere l’aspetto terapeutico del viaggio non è però una “degenerazione”, ma è una sua valenza positiva e quando funziona si torna sì al punto di partenza, ma con qualche risposta nella valigia. Così come anche il suo “aspetto sociale” è positivo a patto che l’incontro non sia solo all’interno del gruppo, ma funzioni anche verso l’esterno e la realtà locale, ovviamente nei limiti di quel che un viaggio può permettere.
      Certo il viaggio non dovrebbe ridursi a una temporanea sospensione della routine, può invece essere un prezioso spazio di libertà, di socializzazione e realizzazione personale, capace di offrire nuovi stimoli, incontri, esperienze, emozioni ─ e anche una certa dose di svago ─ a chi lo affronta con passione e curiosità. Il viaggio è una grande occasione, l’importante è non sprecarla.

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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