Viaggiare
Dalla rivista mensile Cantù Oggi – 1993
In quest’epoca di crisi economica, lira debole e inquinamento cittadino, gli opinion leaders sembrano aver mutato rotta e voler celebrare le piccole gioie del soggiorno tranquillo nella casa di campagna, piuttosto delle meraviglie del viaggio esotico. Non vorrei rientrare in questa vena di forzata austerity, ma vorrei cercare di approfondire, al di là delle mode del momento e dei ‘doveri sociali’ di stare o andare, il perché dell’ansia e della passione per il viaggio che prendono alcuni di noi.
Nel passato non esisteva il viaggio liberamente scelto: era o decretato dagli dei, come l’Odissea, o finalizzato ad uno scopo preciso come per cavalieri e pellegrini, esploratori e mercanti. In epoca moderna le cose cambiano; già per i romantici, allo scopo formativo del grand tour si associava il piacere e la libera scelta; ma è solo molto più recentemente che questo fenomeno da ristretto diventa di costume e nasce il viaggio come vacanza.
Vacanza = mancanza. Mancanza di cosa? Delle ordinarie occupazioni, che danno un senso, per quanto provvisorio, al nostro esistere, spesso impedendoci di trovare il tempo di confrontarci con noi stessi.
La vacanza, questo spazio vuoto da riempire, può essere vissuta in modi diversi. Come semplice fuga dalle costrizioni, dai ritmi e dai problemi del quotidiano, meglio se in naesi lontani. E’ il caso del ‘turista’, cioè di chi ‘si lascia viaggiare’ , cercando di ridurre al minimo le scomodità, rifugiandosi nelle isole d’Occidente sparse un po’ su tutto il globo, non avendo mai un rapporto diretto con gente e luoghi visitati, ma sempre filtrato da tour operators, accompagnatori e guide. Al massimo colleziona immagini e oggetti che gli danno l’impressione di avere visto e toccato il diverso in un mondo sempre più uniforme. Il suo è un viaggio di piacere, il cui intento non è quello di produrre alcun cambiamento in chi lo compie: ‘Caelum, non animum mutant, qui trans mare currunt”, scriveva Orazio.
Una categoria diversa dal turista è quella del viaggiatore, ma qui le cose si complicano. “Non c’è viaggio se non cè pensiero”, ammonisce Ceronetti. Viaggiare significa mettere in movimento la propria mente, non vi è viaggio se essa rimane ancorata al luogo di partenza, vi è solo un corpo inutilmente e penosamente trasferito da un luogo all’altro. Il viaggiatore forzato, che vive la vacanza come surrogato del lavoro, con ritmo lavorativo, tabella di marcia e obiettivi da raggiungere, sia che riguardino lo sport, sia l’arte, l’avventura o la sopravvivenza, ancora una volta si impedisce di pensare. Meglio sarebbe una tranquilla vacanza—relax in qualche luogo ameno per riposare il corpo e forse anche ricreare lo spirito.
Il viaggio può invece essere un percorso solo mentale e non fisico, spaziando con la mente e lasciando il corpo immobile –
“Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete,
Io nel pensier mi fingo: ove per poco
Il cor non si spaura.”
(Leopardi, l’Infinito)
Una volta appresa la via per l’avventura interiore, quella esteriore può diventare solo una distrazione. In opposizione all’esasperato muoversi e non pensare, acquista allora significato rimanere entro i confini della propria casa o ritornare ai luoghi familiari, pietre miliari lungo il nostro cammino, immergendoci nell’otium e trovando nel pensiero la nostra geografia interiore. In fondo anche l’Odissea, il viaggio per eccellenza, significa ‘il ritorno’, non la partenza.
Si può però anche scegliere di viaggiare con la mente e con il corpo, purchè “tra le angosce della camera d’albergo e i disagi dei cambiamenti di luogo, non si sprechino i frutti dell’attenzione” (Ceronetti). I disagi sono insiti nell’abbandono della propria tana e delle proprie certezze; l’importante è che non assorbano la nostra attenzione tanto da impedirci di pensare. Non serve l’esotico e il diverso ad ogni costo, serve guardare e vedere con occhi diversi. La curiosità verso il mondo esterno diventa uno sguardo verso il mondo interno. La vacanza, questo spazio vuoto da riempire. Può diventare un’occasione per l’anima, uno strumento per una ricerca fuori da sé e il simbolo esteriore di una ricerca dentro se stessi. Può diventare un’occasione di spaesamento per intravedere degli altri io possibili, per uscire dal ruolo che ci è toccato in sorte rappresentare nelle commedia della vita, per diventare consapevoli della nostra casuale esistenza in una terra sostanzialmente indifferente, dove milioni di persone come noi, nascono, generano e muoiono con tanta più naturalezza di noi.
Il viaggio quindi come momento di trasformazione, attraverso la scoperta di se stessi e la possibilità di guardare oltre se stessi che esso offre.
Scrive Goethe in ‘Viaggio in Italia’ : “In generale nulla si può Paragonare alla novella vita che l’osservazione di un paese nuovo infonde all’uomo che pensa. Sebbene io sia sempre lo stesso, mi sembra di essere mutato fino al midollo delle ossa “Dunque, per tutti coloro che sono disponibili a ‘pensare il viaggio può tornare ad essere ‘viam agere’, fare strada, ‘travel’ , da ‘travail, lavoro fisico e mentale e progress’, progredire, che in antico inglese significava appunto viaggio.
A.M.