Viaggiatrice pentita 😉
È per me diventata una piacevole routine ferragostana leggere il numero speciale di Internazionale dedicato al Viaggio mentre dondolo cullata dalla mia amaca in giardino sotto il grande noce.
Lo scorso anno c’era un interessante (e triste) editoriale sulla fine della letteratura di viaggio. Quest’anno, sulla stessa falsariga, l’editoriale è dedicato alla “flight shame”, la vergogna di volare a causa dell’impatto dei voli sull’ambiente, argomento di discussione già prima della pandemia. Quella che più mi ha colpito è però colonna iniziale a fianco del Sommario a firma di Giovanni De Mauro che fa riferimento all’articolo “Contro il Viaggiare” di Agnes Callard pubblicato dal New Yorker. Vi rimando all’originale https://www.newyorker.com/culture/the-weekend-essay/the-case-against-travel (in inglese, ma non credo sia un ostacolo per la maggior parte di chi viaggia) perché davvero merita una riflessione.
L’articolo della Callard è decisamente pessimista sul viaggio come strumento di conoscenza e di cambiamento per chi lo pratica: se un cambiamento c’è, sostiene, questo avviene solo nella comunità ospitante e con anche diversi innegabili effetti negativi. Di fatto il turista viaggia per piacere e per spezzare quella routine che inevitabilmente appiattisce e accorcia la vita: inutile cercare di rendere il viaggio più attraente ricoprendolo con un’aura di virtù e significati esistenziali…
Cosa penso di queste sue affermazioni? Trovo ci sia del vero in quello che scrive, soprattutto focalizzando sulla realtà attuale del viaggio. No, non sono una viaggiatrice pentita 😉, ma, come può confermare chi ha letto i miei due libri, non ho mai smesso di chiedermi ad ogni viaggio “Cosa ci faccio io qui?”. Non a caso, il mio blog ha per sottotitolo “Ali e Radici” e il primo paragrafo del mio “Il Mondo nelle Mani” s’intitola “Partire, perché NO” (seguito da un punto non di domanda). Più che viaggiatrice, mi sono sempre definita un po’ nomade e un po’ stanziale, contenta a ogni partenza, ma con anche radici profonde nel luogo che abito (mi consola pensare che, curando la mia campagna, ho almeno in parte compensato le emissioni di anidride carbonica dei miei viaggi…). Se rivolgo uno sguardo il più possibile onesto a quello che il viaggio ha rappresentato per me, posso dire che mi ha aiutata a colmare un vuoto lasciato da ideali svaniti e da legami insoddisfacenti. E che, facendomi uscire dalla mia comfort zone e confrontandomi con situazioni nuove, mi ha dato forza, autonomia, capacità decisionale e autostima, aiutandomi a orientarmi nella vita e non solo nella geografia del mondo.
È ancora così? Credo di no perché sono cambiata io ed è cambiato il mondo e il mondo del viaggio. Non sono più una giovane che si sta formando, sono adulta, anzi, anziana a tutti gli effetti. Sono ciò che sono, vorrei dire sempre passibile di miglioramento, ma temo che a un certo punto della vita si possa solo sperare di non peggiorare troppo o troppo in fretta. È cambiato anche il viaggio, consumato sempre più rapidamente e trasformato in una specie di ego-tourism dei selfie con i luoghi ridotti a un semplice sfondo. Ci illudevamo che la pandemia avrebbe portato a una generale riflessione e invece i dati parlano di un over-tourism sempre più impattante sulle sue mete.
Riassumendo: per noi turisti di ieri come di oggi, il viaggio non è una necessità, fa parte del superfluo come molte altre cose che affollano le nostre vite. Certo, superfluo non vuol dire inutile se è capace di arricchirci di esperienze diverse e di ricordi. E, anche ove fosse inutile, potrebbe comunque giustificarsi e meritare il tempo e le energie investite semplicemente perché piacevole, proprio come scrive la Callard.
Non intendo smettere di viaggiare, anzi, oggi posso farlo per puro piacere e sono certa che mi regalerà nuove emozioni. Dopo aver accompagnato quasi 100 gruppi in giro per il mondo, mi sono pensionata non perché stanca di viaggiare, ma per poter scegliere con più libertà le mie mete e per prendermi il tempo necessario per viverle. Un viaggio più mio, più consapevole.
Ritorno allora alle prime righe di questa mia riflessione e chiudo il cerchio. Giro pagina dello speciale di Internazionale e leggo nell’editoriale del Financial Times “Viaggiare a cuor leggero” sulla vergogna di volare: “Bisognerà fare sforzi importanti a favore di mezzi di trasporto sostenibili, e spetterà ai governi, all’industria nel suo complesso e agli organismi internazionali, e non solo ai piccoli gruppi di viaggiatori con lo zaino in spalla e una forte coscienza ambientalista”. Anche se non possiamo essere noi a fare la differenza, cerchiamo di non peggiorare la situazione e sforziamoci di viaggiare in modo responsabile nei confronti di persone e luoghi e il più possibile sostenibile verso l’ambiente, visto che il turismo contribuisce non poco ad alterare le sue mete e ad aggravare la crisi climatica.
Ho nelle mani il mio nuovo passaporto: altri dieci anni di viaggi spero! Nel mio piccolo però, forse per diminuire un po’ il senso di colpa o forse per sentirmi ancora giovane, sto pensando a mete relativamente vicine e a viaggi in treno quando possibile. Vorrei tornare a girare l’Europa con la tessera Inter-Rail, proprio come ho fatto quando avevo 18 anni, visto che ora funziona anche per gli over 60. E sto studiando itinerari in giro per l’Italia con la mia e-bike, anche lei un dono del cielo per i falsi sportivi come me che, indipendentemente dall’età, mal sopportano la fatica di una salita pedalando.



alessandro@alessandroarrighi.com
Bellissimo articolo, non è sul viaggio o sullo stare ma sul tempo, sul suo trascorrere e quindi sul viaggio più grande.