Racconti di Viaggio

Vicini al Cielo: Etiopia, Terra Santa d’Africa

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12/11/2011

Il massimo piacere nel viaggiare si raggiunge quando allo spostamento nello spazio si unisce lo spostamento nel tempo.
Mario Praz

Un’avventura lungo le piste dell’altopiano nel nord dell’Etiopia è un viaggio nello spazio fra stupendi paesaggi, ma è soprattutto un viaggio a ritroso nel tempo. Non un tuffo nella preistoria come succede andando verso sud, lungo l’Omo River, ma un’immersione in un medioevo cristiano immutato nei secoli, in un passato che in qualche modo sentiamo appartenerci, fra genti e cerimonie che sembrano uscite dalle pagine dell’Antico Testamento.

Le strade polverose sono percorse da folle in cammino, donne piegate sotto il peso di enormi fascine, vecchi carri, carovane di muli, nomadi Afar con i loro cammelli. Nei campi, magri contadini pascolano mandrie di mucche altrettanto scheletriche, arano e mietono con gesti antichi, dividono la pula dai chicchi facendola calpestare da buoi e da cavalli. All’esterno delle chiese decine di mendicanti vestiti di stracci, intendo dire proprio di pezzetti di stoffa pazientemente cuciti insieme, stanno accovacciati in dignitosa attesa, i corpi devastati da malattie altrove curabili. Sulle colline gruppi di capanne di paglia e fango formano villaggi che si mimetizzano nel paesaggio circostante.

Così come in Europa, i monumenti più belli sono castelli medievali, antiche chiese, monasteri sperduti che custodiscono preziosi affreschi, testi miniati, corone e croci d’argento. Qui l’arte non si è espressa attraverso la scultura come nel resto d’Africa, ma soprattutto attraverso la pittura, che è stata capace di creare un modello peculiare, rifacendosi sia all’arte dell’Oriente che dell’Occidente cristiani, tramandandone poi soggetti e forme senza sostanziali variazioni nel tempo.

Durante le celebrazioni delle molte festività religiose copte, immense folle di uomini e donne avvolte in shamma bianchi, formano suggestive processioni o si raccolgono in preghiera per giorni e notti consecutive: si vedono fedeli chini sui testi sacri alla luce delle candele, altri appoggiati ai dula -i lunghi bastoni da preghiera- di legno e argento, eremiti immobili in piccole cavità rocciose, sacerdoti e diaconi coperti di sontuosi paramenti di broccato e oro che cantano lodi a Dio e danzano al ritmo lento di sistri e tamburi. Ma ciò che rende queste cerimonie assolutamente uniche, più che l’atmosfera solenne e rituale, è il profondo coinvolgimento dei pellegrini e la mescolanza di liturgie cristiane e di ritmi africani, delle litanie dei sacerdoti e degli ululati delle donne.

Inevitabile chiedersi come sia possibile che sull’acrocoro etiopico, in una terra circondata da paesi islamici verso nord e culture animiste verso sud, sia sopravvissuta questa fede cristiana arcaica.

Secondo la leggenda l’altopiano, dove già risiedevano molte comunità di religione ebraica, venne cristianizzato non per opera di missionari a seguito delle potenze coloniali europee come nel resto dell’Africa, ma più per caso che per scelta da Frumenzio, un giovane siriano naufragato sulla costa africana nel IV secolo d.C., quando il mondo era ancora in gran parte pagano. Il Kebra Negast, il libro dei re, saga nazionale etiope, racconta che Menelik, figlio di re Salomone e della regina di Saba (qui chiamata Makedba), diede origine intorno al 1000 a.C. alla dinastia salomonide, che, salvo alcune interruzioni, terminò solo nel 1975 con la morte di Hailè Salassiè, il 225esimo monarca. Proprio da questa leggendaria discendenza dal saggio re d’Israele, trae origine la legittimazione e la sacralità della dinastia dei Negus etiopici. Il cristianesimo etiopico, sviluppatosi in un sostanziale isolamento nonostante la dipendenza formale dalla chiesa copta di Alessandria d’Egitto, è stato da sempre strettamente alleato al potere politico statale, contribuendo così alla sopravvivenza e all’indipendenza, a parte la brevissima parentesi coloniale italiana, del più antico regno africano. A sua volta la fede cristiana sopravvisse nel X secolo alla vendetta della regina Ghedit, a cui si dice sia dovuto il crollo di Axum e agli attacchi del musulmano Ahmad Gragn nel XVI secolo, che pure distrusse chiese e costrinse molti a convertirsi all’Islam. Proprio per sfuggire alle minacce musulmane i sacerdoti si rifugiarono in luoghi isolati, nelle chiese rupestri del Tigray, nei monasteri nascosti sulle isole del lago Tana o fra le montagne di Lalibela, dove vollero ricostruire una nuova Gerusalemme nel cuore dell’altopiano africano. Anche il regime comunista di Menghistu negli anni ’70 e ’80 ha cercato di togliere potere alla chiesa, ma la metà della popolazione è tuttora di fede copta e il clero è rimasto molto autorevole e può contare su circa 400.000 fra monaci, preti, diaconi e dabtarà (cantori).

Questo cristianesimo arcaico affonda le radici nell’Antico Testamento, si esprime ancora in ghe’ez, antica lingua di origine semitica da cui sono poi derivati i diversi idiomi parlati nel Corno d’Africa, e ha molti punti in comune con l’ebraismo, dai digiuni alla circoncisione maschile, alle regole di macellazione e alla proibizione della carne di maiale. Fino a non molto tempo fa’ infatti, prima che venissero trasferiti in Israele, qui vivevano migliaia di Falasha, gli ebrei neri d’Etiopia, che praticavano una religione dal profondo carattere vetero-testamentario.

Qui soprattutto è rimasta fortissima una tradizione precristiana: la venerazione dell’Arca dell’Alleanza, il sacro contenitore delle Tavole della Legge consegnate a Mosè da Dio Padre stesso sul Monte Sinai e quindi simbolo del patto tra Dio e gli uomini, un oggetto dagli straordinari poteri, che per il popolo d’Israele aveva un’importanza superiore a quella della croce per i cristiani. In ogni chiesa copta vi è un sancta sanctorum chiamato Maqdas, interdetto ai fedeli ed accessibile ai soli sacerdoti, dove è custodita una copia delle tavole, il Tabot, che ogni anno viene portato in processione il 19 gennaio durante il Timkat.

Proprio questa profondissima venerazione dell’Arca, altrove del tutto scomparsa, credo possa essere una delle prove maggiori a sostegno della teoria secondo cui ad Axum è conservata non una copia, ma l’autentica Arca dell’Alleanza. Ben più dettagliate sono le prove portate a sostegno di questa tesi dal giornalista e studioso Graham Hancock, autore del bestseller Il Mistero del sacro Graal, titolo tradotto molto liberamente dall’originale The Sign and the Seal, a Quest for the Lost Ark of the Convenant. Secondo la sua teoria l’Arca fu portata via da Gerusalemme intorno al 650 a.C., perché il tempio di Salomone era stato profanato dalla presenza di idoli pagani. Per due secoli rimase in Egitto sull’isola di Elefantina, dove sono stati trovati resti di un tempio ebraico, poi fu portata in Etiopia lungo le antiche e trafficate rotte commerciali costituite dai fiumi Nilo e Tacazzè fino a Tana Kirkos, su una penisola del lago Tana, dove ancora oggi sorgono molti insediamenti monastici, e infine nel IV secolo d.C. ad Axum, divenuta cristiana, dove sarebbe attualmente custodita in una piccola cappella interdetta a chiunque ad eccezione del monaco guardiano. Hancock supporta con ricerche archeologiche, brani presi dalla Bibbia, dati storici, considerazioni etnografiche e linguistiche, questa sua teoria che pur discostandosi dalla leggenda narrata dal Kebra Negast, secondo cui l’arca fu trafugata da Menelik stesso di ritorno da una visita al padre Salomone a Gerusalemme,giunge alla medesima conclusione: nella cappella di Axum è davvero custodita l’originale Arca dell’Alleanza. Soprattutto Hancock cercando di seguire il cammino dell’Arca, traccia una mappa affascinante che collega il mito di Atlantide, la magia, gli antichi Egizi, Mosè, la Terra Santa, i crociati, San Bernardo, le cattedrali gotiche, Chartres, il Tempio di Salomone, i Templari, l’Etiopia, fino alla massoneria… E vi assicuro, davvero sembra più una rigorosa ricerca storica che un racconto di fantascienza.

Il viaggio nell’Etiopia storica sulle tracce dell’Arca acquista allora un ulteriore significato, diviene un’immersione negli antichi riti e nella profonda spiritualità di un popolo. Forse, come scrive Nelson Graburn, “Il viaggio è una ricerca del Santo Graal, e la riuscita di una vacanza è proporzionale al grado in cui il mito è realizzato”, ma questa volta, fuor di metafora.

IL VIAGGIO: ETIOPIA STORICA

Viaggio di eccezionale interesse per chi cerca paesaggi umani, naturali e artistici al di fuori delle rotte più battute dal turismo. L’itinerario tocca le più importanti località storiche dell’Etiopia: Lalibela, una delle meraviglie del mondo, Axum, antica capitale e città santa, Gondar con i suoi castelli medievali e Bahar Dar, punto di partenza per scoprire i tesori religiosi delle isole del Lago Tana. Bellissimi i paesaggi che si attraversano, spettacolare il parco dei Monti Simien, profondamente suggestive le cerimonie religiose e vive le tradizioni.

Il viaggio si svolge sull’altopiano a 2000-3000 m. di altitudine, in zone povere, afflitte in un recente passato da gravissime carestie e dove la guerra è finita da poco. E’ necessario perciò un certo spirito d’adattamento. In particolare le strade sono per lo più sterrate, le distanze notevoli, le infrastrutture discrete, ma la manutenzione è scarsa.

Axum, antica capitale e culla del cristianesimo etiopico è il luogo dove si dice sia custodita l’Arca dell’Alleanza. Fu fondata probabilmente nel I secolo a.C., anche se le guide locali tendono a far risalire le sue origini alla Regina di Saba. E’ solo alla luce di questo suo millenario e anche leggendario passato che si può apprezzare quanto è rimasto degli antichi monumenti, già ora considerevole, anche se molto deve essere ancora portato alla luce. Qui, a testimonianza della gloria di un regno che si estendeva fino in Egitto, Arabia e Yemen, si trovano centinaia di monoliti, alcuni in frantumi, altri ancora eretti, fra cui il più grande monolito costruito dall’uomo, alto 33 metri.

Lalibela, la Gerusalemme d’Etiopia, la città santa ricostruita nel cuore dell’Africa, creata dal re Lalibela intorno al XII secolo d.C., secondo la leggenda con l’aiuto degli angeli. Un’architettura raffinatissima che di primitivo ha solo forse il richiamo nel nome ‘rupestre’: chissà se davvero, come scrive Graham Hancock, queste chiese non siano state costruite dai Templari qui segretamente venuti da Gerusalemme alla ricerca dell’Arca… Le undici chiese sono enormi blocchi monolitici o semimonolitici, non costruiti, ma scavati nel tufo rossastro sotto il livello del suolo e scolpiti dentro e fuori, con archi, colonne e finestre, talvolta decorati con splendidi affreschi e bassorilievi, ancorati alla roccia attraverso il soffitto o le pareti o la base, collegati fra loro da cunicoli e gallerie secondo una simbologia complessa dove moltissimi sono i parallelismi con Gerusalemme. Meglio sapere che molte chiese sono purtroppo ingabbiate da impalcature in legno o in metallo per evitare infiltrazioni d’acqua, pare però che l’Unesco debba iniziare un programma per costruire protezioni di minor impatto visivo.

Chiese del Tigray: sono circa 150 chiese rupestri, costruite in luoghi isolati dall’VIII al XV secolo, quindi coeve di quelle della Cappadocia. Alcune sono trascurate e cadenti, altre suggestive e con magnifici affreschi. Purtroppo in molte di queste chiese, come nello splendido monastero di Debre Damo, è interdetto l’ingresso alle donne (e pare anche a mucche, galline, capre o altri animali di genere femminile per evitare tentazioni!).

Gondar: cittadella Imperiale del XVII-XVIII sec. dominata dai castelli in stile portoghese. Bellissima la chiesa di Debre Berhan Selassie, con il suo famosissimo soffitto dipinto con schiere di serafini.

Lago Tana: vasto lago da cui nasce il Nilo Azzurro; qui i pescatori usano ancora le tanqwas, delle barche di papiro del tutto simili a quelle degli antichi Egizi. Nell’isoletta di Dek vi è la magnifica chiesa circolare di Narga Selassie e molti monasteri nascosti sulle altre isole e penisole del lago custodiscono straordinari cicli pittorici.

Parco del Simien: offre panorami straordinari e selvaggi di vallate scoscese, pinnacoli e gole a perdita d’occhio. Dai 2750 m. di Debark una strada percorribile in jeep porta fin quasi ai 4430 m. della cima del Bwahit, da dove si può vedere (e per i più avventurosi anche raggiungere) il Ras Dashen, la quarta montagna africana per altezza. Lungo il percorso e nelle escursioni a piedi si incontra la rarissima volpe del Simien o lupo abissino (noi abbiamo avuto la fortuna di incontrarle due volte), il walia ibex, una sorta di stambecco endemico, il klipspringers o antilope saltarupi, la procavia e branchi numerosissimi di babbuini gelada, dei fantastici arrampicatori su roccia. Tra gli uccelli molti quelli endemici, fra cui il curioso corvo abissino e i grandi gipeti. Anche la flora offre numerose varietà, che si susseguono man mano si sale di quota, dall’erica arborea e dai semprevivi, fino alle alte spighe delle lobelie giganti per finire con muschi e licheni.

Le feste: Genna (Natale) il 7 gennaio; Timkat il 19 gennaio (non corrisponde all’Epifania cattolica, ma celebra il battesimo di Cristo in due giorni di processioni, veglie e cerimonie che culminano nell’immersione rituale nell’acqua o, in mancanza di una vasca, nell’aspersione dei fedeli con l’acqua benedetta); Fasika una settimana dopo la nostra Pasqua; Meskel il 27 settembre (ritrovamento della vera croce).

Letture consigliate

Etiopia, Eritrea e Gibuti, EDT, 2001
Andrea Semplici, Etiopia, Clup Guide, 1996
Dervla Murphy, In Etiopia con un mulo, EDT, 2000
Graham Hancock, Il Mistero del Sacro Graal, Piemme Pocket,1999
Nega Mezlekia, Dal ventre della iena, Mondatori, 2002
R. Kapuscinski, L’Imperatore, caduta di un autocrate, Feltrinelli 1983, Serra e Riva 1991
Chiese d’Etiopia, Il Monastero di Narga Sellase, Skira 1999
C. Beckwith, A. Fisher, Afrikan Ark, White Star

Un viaggio sulle tracce dell’Arca dell’Alleanza Di Anna Maspero – Dalla rivista Avventure nel Mondo – N.4-5 / 2002

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2 Comments
  1. Rispondi

    Alex

    17/08/2008

    Your blog is interesting!

    Keep up the good work!

  2. Rispondi

    rasgiulio

    29/03/2009

    Etiopia è la prima terra cristiana al mondo e l’unica a passare fisiologicamente dal giudaismo al crisianesimo senza fratture. Etiopia è Zion, Terra Santa, la Nuova Gerusalemme che ospita l’Arca dell’Alleanza. Terra del Negus Mesih RasTafari.

    Blessings. Selah

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ANNA MASPERO
Como, IT

A come Avventura, B come Bolivia , C come Colombia, M come Mondo… ma anche C come Casa e Cascina Chigollo… Potrebbe essere il titolo del racconto della mia vita di partenze e ritorni. Da mio nonno, soprannominato “Mericàn”, emigrato in Perù e poi ritornato fra le colline della sua Brianza, ho ereditato lo spirito d’avventura e l’amore per la mia terra. Perché di queste due cose sono fatta, un po’ nomade e un po’ stanziale. Andare e ritornare, proprio come le rondini che ancora nidificano sotto i tetti della fattoria del nonno dove vivo…. “Inverno in Egitto, giugno a Parigi. Snobismo delle rondini“, scriveva Paul Morand. Il viaggio è stato per me il primo amore. A quarant’anni ho dato le dimissioni dall’Istituto Sperimentale Linguistico dove insegnavo inglese, preferendo la vita a colori del mondo che è fuori, inseguendo nuove partenze e nuovi ritorni, ma sempre con la passione e la curiosità della prima volta.


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