Volare
Il 20 Maggio cadrà l’ottantesimo anniversario della prima trasvolata atlantica in solitaria compiuta da Charles Lindbergh sullo “Spirit of Saint Louis”. Una tappa fondamentale in quella lunga strada che ha trasformato in realtà uno dei sogni più antichi dell’umanità, quello di volare.
Non è trascorso neppure un secolo da quello storico volo, ma prendere un aereo è oggi diventata un’azione quasi scontata, che ha perso molto del fascino di cui godeva solo pochi decenni fa, quando i media avevano ribattezzato “jet society” l’alta società e fare l’hostess era il sogno di tutte le adolescenti.
L’aereo è diventato anche il bersaglio delle critiche di molti “veri viaggiatori”, perché cancella la dimensione dell’attraversamento dei luoghi facendo perdere il senso delle distanze e modificando la percezione dello spazio, tanto che questo non si misura più in chilometri ma in ore di volo. La risposta è fin troppo facile: se nel passato il viaggio via terra o via mare era una costrizione necessaria, oggi abbiamo libertà di scelta e possiamo combinare velocità e lentezza, raggiungendo rapidamente in aereo la nostra meta per poi spostarci senza fretta. E naturalmente chi lo desidera può continuare a muoversi a breve raggio o a prendersi il tempo necessario, se ne dispone, per avvicinarsi lentamente al paese meta del suo viaggio. Ma l’aereo è diventato anche un bersaglio degli ambientalisti, in questo caso a ragione, visto che una sola trasvolata atlantica genera la metà dell’anidride carbonica che ciascuno produce in un anno e sappiamo che la CO2 è la causa principale del cambiamento climatico. Le risposte a questa critica sono in parte tecnologiche (ci sono nuovi modelli con un impatto sull’ambiente decisamente inferiore) e in parte personali (ad esempio evitare le tentazioni dei voli low-cost per viaggi mordi e fuggi e riscoprire invece il piacere di un weekend fuoriporta). Inutile però demonizzare il mezzo, diventato parte integrante della nostra vita: l’importante è farne un buon uso.
Personalmente, lo confesso, amo volare, tanto che solo quando sono incastrata fra un americano straripante e un bimbo esuberante posso dare qualche segno di insofferenza. Nonostante i molti viaggi, non so abituarmi alla magia di vedere il mondo dall’alto. Mi piace guardare dall’oblò albe e tramonti, nuvole e catene di montagne, l’increspatura delle onde dell’oceano e la vera forma delle isole e delle coste, i paesaggi nuovi o quelli familiari, ma tutti visti da un’angolazione inedita e davvero speciale.
Mi piace sentire il motore rullare e aspettare il momento magico in cui le ruote si staccano dalla pista quasi senza che me ne accorga, se non guardando fuori dal finestrino e vedendo il vecchio mondo sotto di me allontanarsi e rimpicciolire. Chiudo alle mie spalle una porta metaforica e mi godo una pausa in uno di quelli che Marc Augé definisce “nonluoghi”. Forse l’aereo è proprio il nonluogo per eccellenza, visto che davvero si è sospesi nel tempo e nello spazio, senza poter dire dove si sia o che ora sia, aggiungendo o togliendo, anche se solo virtualmente, ore alla propria vita.
Il volo rappresenta per me una sorta di rito di passaggio verso il nuovo mondo che mi aspetta. L’aereo diviene uno spazio interiore e astratto, necessario per staccare da persone e luoghi, problemi e impegni. Appena salgo a bordo regolo subito le lancette dell’orologio con l’orario della destinazione, così da iniziare a entrare in sintonia, anche se solo temporale, con la mia meta. Poi, quando la porta dell’aereo si riapre, mi scopro altrove. Annuso l’aria e i nuovi odori, sento sulla pelle una temperatura diversa, ascolto i suoni di un’altra lingua. Sono in viaggio.
Consiglio di lettura: Hugo Pratt, “L’Ultimo Volo” Di Lizard Edizioni, 2004: il racconto illustrato della fine leggendaria di Saint-Exupéry, grande scrittore e appassionato di volo, abbattuto con il suo aereo in una missione durante la Seconda Guerra Mondiale.
Pubblicato su il reporter – Parole Nomadi – Volare